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Fiumicino ’73 e il tema delle insufficienti misure di sicurezza adottate prima della strage palestinese

Redazione Spazio70

Da un articolo di Pietro Zullino per «Epoca» (1973)

«La strage di Fiumicino era prevista». Questa drammatica scritta apparve sulla copertina di Epoca all’indomani dell’orrenda carneficina del 17 dicembre. Qualcuno ha detto poi di no. E noi, invece, siamo in grado di ribadire e confermare: sì, era prevista, era attesa, ma non si fece abbastanza per prevenirla. Passiamo senz’altro al documento che ci consente di fare questa impegnativa affermazione. Un ufficiale delle Forze Armate della Repubblica ha consegnato a chi scrive, debitamente firmata, la seguente dichiarazione: «Io sottoscritto… (seguono il grado, il nome e il cognome, la funzione – assai qualificata – dell’ufficiale)… dichiaro di aver avuto modo di constatare personalmente che nel corso degli ultimi mesi sono stati più volte emessi, dall’autorità nazionale per la Sicurezza, documenti – diretti tra gli altri al Ministro degli Interni – contenenti avvisi e previsioni circa attentati contro installazioni aeroportuali italiane da parte di formazioni estremiste palestinesi.

«In particolare: uno di essi, datato 12 ottobre 1973, raccomandava la massima sorveglianza di tali installazioni; un altro, in data precedente, segnalava come probabile un attentato contro un grande aeroporto italiano per il 17 novembre 1973. Dichiaro anche che le date riportate su documenti ufficiali sono sempre “previsioni di massima” che non incidono sulla sostanza dell’informazione.

«La mia dichiarazione», prosegue l’ufficiale, «vuole essere un monito ai responsabili della sicurezza dei cittadini, affinché in futuro smettano la loro veste di superficialità, o peggio, e comincino a preoccuparsi seriamente delle attività loro delegate dal popolo italiano. E’ mia intenzione sottolineare che, nell’attuale situazione, i Servizi di Sicurezza hanno fatto il massimo consentito dalla loro struttura e dalle leggi in vigore, dal momento che la loro attività in merito è limitata a comunicazioni dirette alle autorità competenti. In fede (segue la firma)».

LE «IMMEDIATE CONSEGUENZE OPERATIVE» DI TAVIANI

Prima di analizzare il valore e la portata di questo grave documento ci corre l’obbligo di spiegare perché lo riteniamo estremamente attendibile. Primo: l’ufficiale che dichiara quanto sopra rompe la consegna del silenzio imposta dalla disciplina militare sotto la spinta di un «caso di coscienza» particolarmente grave e doloroso. C’è lo sdegno nei confronti dell’autorità politica, che con il suo pressapochismo vanifica la quotidiana fatica dei Servizi di Sicurezza, ma c’è anche qualcosa di più, un «qualcosa» che non sta a noi rivelare, per il momento. Secondo: abbiamo personalmente controllato, presso fonti la cui competenza non può essere messa in dubbio, che l’ufficiale gode nel suo ambiente della massima stima e che il contenuto delle sue dichiarazioni risponde a verità. Terzo: l’ufficiale – e ovviamente il testo integrale della sua dichiarazione che è in nostro possesso – sono a disposizione del magistrato che intendesse aprire un’inchiesta su questi fatti.

E passiamo al documento in sé e per sé. Esso dimostra che l’onorevole Paolo Emilio Taviani, Ministro dell’Interno, il 19 dicembre scorso ha dato informazioni incomplete al Parlamento sulla tragedia di Fiumicino. Già in quelle ore circolava la notizia di una azione che i palestinesi andavano preparando da tempo e che il Servizio Informazioni Difesa (SID) aveva battezzato col nome convenzionale di «piano Hilton». Taviani disse di proposito: «Si tratta di una informazione pervenuta ai Servizi di Sicurezza in data 17 settembre ultimo scorso. Pur sussistendo molte incertezze circa le fonti, ne sono state subito tratte immediate conseguenze operative. La notizia comunque non riguardava in alcun modo l’ipotesi di aerei né di aeroporti. Secondo tale informazione, terroristi arabi avrebbero predisposto azioni di guerriglia con prospettive di tre ipotesi: 1) una riguardante rapimenti di persone; 2) una riguardante le carceri; 3) la terza riguardante impianti industriali».

Dalla dichiarazione dell’ufficiale risulta invece che al Ministero dell’Interno non era solo pervenuta l’informazione riguardante il «piano Hilton». C’erano stati avvisi ben più concreti, pressanti e frequenti a proposito di prossimi «attentati contro installazioni aeroportuali». E queste informazioni non avevano niente a che vedere con il fantomatico «piano Hilton». Noi possiamo anche capire il politico che, in assenza di contestazioni precise da parte dei deputati a proposito di queste altre informazioni, ometta di farne menzione in Parlamento. Ma è più difficile capire come mai un organo responsabile della sicurezza pubblica ometta di impartire a tempo debito adeguate istruzioni agli organi tecnici che da esso dipendono, dopo aver ricevuto informazioni di questo genere.

CHIUDERE LE PORTE DELLA STALLA QUANDO I BUOI SONO SCAPPATI

Non è esatto, infatti, che «l’organizzazione dei servizi di sicurezza negli aeroporti era già da tempo intensificata» e che l’intervento di «speciali squadre anti-terrorismo» non poté purtroppo «impedire un’azione che ha avuto la fulmineità di pochi minuti» (lasciamo pur stare questa umoristica «fulmineità dei pochi minuti», lasciamo anche stare l’obiezione più ovvia che gli esperti muovono al ministro Taviani e cioè che anche un solo tiratore scelto appostato sulla terrazza dell’aeroporto avrebbe potuto falciare a tempo i due fedayn che si dirigevano con le bombe in mano verso l’apparecchio della Pan American gremito di passeggeri).

E del resto sono in contrasto con le affermazioni del ministro anche le dichiarazioni del nuovo dirigente dei servizi di sicurezza di Fiumicino, il questore Ugo Macera, il quale ha detto pubblicamente: «La tempestività di intervento e la rapidità delle decisioni sono elementi quasi sempre decisivi nelle azioni anti guerriglia. Su questi due concetti dovrà fare perno la futura struttura di sicurezza aeroportuale che sarà formata da uomini molto addestrati, con grande familiarità nell’uso delle armi, dotati di mezzi che consentiranno loro rapidissimi spostamenti».

Le parole di Macera sono del 28 dicembre: quando il nuovo dirigente, al termine del suo primo sopralluogo a Fiumicino, lasciò chiaramente intendere che i dispositivi di sicurezza fino a quel momento esistenti presso l’aeroporto romano erano completamente inidonei a proteggerlo da attacchi di terroristi. Non è possibile capire a quali speciali squadre antiterrorismo volesse riferirsi Taviani parlando a Montecitorio, visto che solo ora si pensa a «uomini molto addestrati», provvisti sia di «grande familiarità con l’uso delle armi» sia di «mezzi che consentiranno loro rapidissimi spostamenti»; visto che Macera parlava, dopo la strage, di futura struttura di sicurezza aeroportuale. E’ la storia di sempre: si chiudono le porte della stalla quando i buoi sono già scappati.

IL TENTATIVO ITALIANO DI NON URTARE LA «SUSCETTIBILITÀ» DEI PAESI ARABI

Le polemiche sull’orrendo episodio di Fiumicino sono state rinfocolate da recentissime rivelazioni del quotidiano The Times di Londra. Il gruppo terroristico che ha agito a Roma sarebbe stato direttamente finanziato dal dittatore libico Gheddafi con 370 milioni di lire. I banditi arabi avrebbero ricevuto le armi a Madrid. Ma a ventiquattr’ore dalla diffusione di queste e altre notizie, ecco la sconcertante «messa a punto» del Ministero degli Esteri italiano che, senza curarsi di fornire qualche elemento di valutazione nuovo o diverso, si premura di definire «inesatte» le rivelazioni del Times.

A questo punto non possiamo non domandarci: perché «inesatte»? Il dittatore libico Gheddafi si è più volte pubblicamente vantato di essere il maggior finanziatore dei gruppi di guerriglia nel mondo; ha detto ripetutamente che una cospicua parte di ciò che la Libia ricava dalle vendite del suo petrolio viene destinato ai cosiddetti «movimenti di liberazione» che però a quanto pare non sanno esprimere altro che bande di assassini; e allora perché i risultati di una inchiesta di un giornale serio come il Times dovrebbero essere giudicati a priori «inesatti»?

Forse perché l’Italia ha bisogno del petrolio di Gheddafi? Forse perché la segreta e sotterranea lotta per l’accaparramento di una buona piazza accanto ai pozzi del cosiddetto «oro nero» deve essere sorretta anche da dichiarazioni, diciamo così, «diplomatiche»? Oppure perché Roma continua a fidarsi della parola di Gheddafi in base a elementi che, a quanto pare, l’opinione pubblica italiana non è ammessa a conoscere?

E’ molto importante che si risponda a queste domande perché – sia detto senza mezzi termini – qui continua a circolare con insistenza una voce che davvero non fa onore al nostro governo. Cioè si dice: nel contesto della crisi petrolifera l’Italia sta cercando in ogni possibile modo di non urtare la suscettibilità dei Paesi arabi; uno dei modi di urtarla era appunto quello di tenere severamente d’occhio ogni movimento di arabi nei nostri aeroporti. Come conseguenza di questo pavido atteggiamento non si tennero nel debito conto o si giudicarono esagerate le segnalazioni del SID, rendendo involontariamente tutto facile agli assassini del 17 dicembre. Vociferazioni di questo genere devono essere spazzate via al più presto con i chiarimenti più precisi.

Il cerchio si chiude e torniamo al punto di partenza. E’ necessario sapere: 1) E’ vero o non è vero che più volte i Servizi di Sicurezza segnalarono il pericolo di imminenti attacchi contro «installazioni aeroportuali» e raccomandarono di rafforzare la vigilanza? 2) E’ vero o non è vero che ancora il 28 dicembre i dispositivi antiterroristici di Fiumicino si trovavano nelle deplorevoli condizioni descritte, senza peli sulla lingua, dal questore Ugo Macera? 3) Per quale ragione i terroristi palestinesi si trovarono di fronte soltanto un gruppetto di agenti giovanissimi, praticamente disarmati e scarsamente esperti?

Il documento con cui abbiamo aperto questo servizio – e cioè la coraggiosa sortita del «Capitano X» – è da questo momento a totale disposizione del Magistrato che vorrà esaminarlo.