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Giuseppe Salvia, il funzionario che non volle piegarsi al potere di Cutolo

Redazione Spazio70

Nel 2013 Salvia è stato insignito della medaglia d'oro al valor civile

Napoli, 14 aprile 1981. Ore 14:00. Al volante di una Ritmo Diesel di colore bianco, il trentottenne Giuseppe Salvia si sta dirigendo verso la propria abitazione di via Pigna, percorrendo la lunga arteria stradale che collega la zona di Capodichino all’area Flegrea.

Giuseppe Salvia

L’uomo ha da poco lasciato il carcere di Poggioreale nel quale presta servizio in qualità di vice-direttore. Sono le 14:15 e dallo specchietto retrovisore il dottor Salvia nota qualcosa di strano: una Giulietta di colore blu si sta avvicinando in modo sospetto. A bordo di quel veicolo ci sono due giovani che dopo un’improvvisa accelerazione affiancano la Ritmo.

Per una manciata di secondi le due automobili procedono parallele ad alta velocità. Salvia capisce di essere in pericolo e tenta un manovra disperata ma dal finestrino della Giulietta spunta una mano armata di una Colt Cobra calibro 38 special che inizia a sparare pallottole a ogiva blindata. Il vice-direttore cerca riparo bloccando il veicolo e aprendo lo sportello, ma viene investito da una serie di colpi al viso.

Salvia, sposato con l’insegnante Pina Troianiello e padre di due bambini, Antonino e Claudio, di 5 e 3 anni, rimane riverso sull’asfalto in una pozza di sangue a pochi metri dal tunnel che conduce alla stazione di pagamento del pedaggio.

«LEI È SOLO UN DETENUTO COME GLI ALTRI»

Inizialmente si pensa a un omicidio di matrice politica, tuttavia, in mancanza di una rivendicazione attendibile, con il passare delle ore prende sempre più piede l’ipotesi di un agguato di camorra. Del resto, il movente è molto facile da individuare.

Nel novembre del 1980 Raffaele Cutolo è all’apice del suo immenso potere criminale. All’interno del carcere sembra lui il vero capo. Cutolo ordina, ammonisce, intimidisce, uccide. Tra le mura di Poggioreale «non si muove foglia senza che ‘o Professore voglia».

La regola sembrerebbe questa, ma non tutti sono d’accordo. Giuseppe Salvia, in servizio a Poggioreale dal 1974, è tra quelle persone che non riconoscono l’autorità di un camorrista. Infischiandosene dell’omertà, il vicedirettore del carcere ordina continue e accurate perquisizioni nella cella del «boss».

Tale atteggiamento irrita profondamente il leader della Nuova camorra organizzata. Una frase che dovrebbe apparire ovvia, logica, scontata, in quella prigione riecheggia come una bestemmia, un oltraggio all’autorità: «Cutolo, la faccia finita, lei è solo un detenuto come tutti gli altri!». Spazientito dai continui «affronti», il camorrista schiaffeggia il dottor Salvia e lo minaccia di morte.

Nel marzo del 1987 Raffaele Cutolo e sua sorella Rosa vengono condannati all’ergastolo come mandanti dell’omicidio.

Dal quotidiano Il Mattino del 17 marzo 1987:

«Con una sentenza che ha riconfermato la credibilità dei pentiti, la I sezione di Corte d’Assise ha ieri sera condannato all’ergastolo Raffaele Cutolo, la sorella Rosetta, Carmine Argentato e Mario Jafulli per concorso nell’uccisione del dottor Giuseppe Salvia, vice direttore del carcere di Poggioreale, crivellato di colpi il 14 aprile 1981 mentre faceva ritorno alla propria abitazione. Con lo stesso verdetto, pronunciato dopo cinque ore di camera di consiglio, i giudici hanno condannato a 17 anni di reclusione il figlio del capo della NCO, Robertino, che avrebbe presenziato al feroce delitto per “garantirne” l’esecuzione (dopo che l’incarico – come hanno affermato alcuni dissociati -era stato rifiutato da due pregiudicati, entrambi poi assassinati per questa loro “insubordinazione”. Infine è stata comminata la pena a 24 anni per il pentito Mario Incarnato che si è confessato autore materiale dell’assassinio, chiamando in correità gli altri cinque imputati: mandante, organizzatori, killer. Rosetta è la prima donna condannata al carcere a vita per un delitto di camorra, mentre per il fratello Raffaele quello di ieri è stato il quarto ergastolo».

A Giuseppe Salvia, originario di Capri, è stata intitolata una scuola sulla sua isola e nel 2013 il funzionario è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile. A Giuseppe Salvia è stato intitolato anche il carcere di Poggioreale.

«Mi permetto di aggiungere — afferma Antonino Salvia, commentando l’articolo sulla pagina Facebook di Spazio70 nel 2019 —  che la sentenza di condanna all’ergastolo di mandante ed esecutori materiali ricostruì l’antefatto ed accese un faro sulla camorra cutoliana che, tramite i suoi affiliati, detenuti in carcere, tentava di controllare anche l’istituto di Poggioreale. Il vaso di Pandora che venne scoperchiato rivelò all’opinione pubblica in quale immondo contesto di lavoro mio padre, ben conscio del pericolo cui andava incontro, esigeva il rispetto del regolamento penitenziario, senza lasciarsi intimidire dalle varie minacce di morte subite, nell’interesse superiore dello Stato e per il bene della collettività. In un passaggio della sentenza si legge “il dott. Salvia venne ucciso poiché la sua politica penitenziale, priva di condizionamenti e caratterizzata dalla scrupolosa osservanza del regolamento, riduceva la forza ed il peso della Nuova Camorra Organizzata nel carcere di Poggioreale e nell’intera Campania.” Con questo gesto il suo insegnamento più grande… l’importanza del senso del dovere».