Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Quarantadue rapine in Milano e provincia dal 1° gennaio al 18 marzo di quest’anno, altre quarantaquattro nel resto della Lombardia. Un totale di ottantasei assalti banditeschi in due mesi e mezzo, naturalmente senza contare le aggressioni alle passeggiatrici e alle coppiette sorprese nell’intimità delle automobili in periferia o gli scippi ai passanti. Ottantasei rapine «vere», tutte compiute con le armi puntate. E spesso, troppo spesso, punteggiate da raffiche di mitra e da colpi di pistola.
«Si tratta di una ondata criminosa potente come da tempo non si vedeva», dice il dottor Enzo Caracciolo, dirigente della Squadra Mobile milanese. «Bisogna risalire agli anni dell’immediato dopoguerra per ritrovare una così violenta offensiva della malavita», afferma il dottor Mario Nardone, l’attuale questore di Como che ha lavorato a Milano per un quarto di secolo.
La gente è spaventata, ha paura di andare in banca, soprattutto nelle piccole agenzie di periferia o dei paesi della provincia. Ogni volto sospetto fa trasalire, ogni squillo di voci dai toni appena più alti del consueto fa correre brividi di terrore. E intanto il cittadino si chiede: che cosa sta succedendo? Banche, uffici postali, oreficerie, supermercati, anche piccoli negozi come possono essere una macelleria di paese e un parrucchiere di periferia: cos’è questa ondata di criminalità che non lascia nulla di intentato, che non esita a fare uso delle armi e che ogni giorno trova un nuovo filone d’oro al quale attingere?
Un’analisi del fenomeno non è facile. Vi entrano mille fattori che vanno da una incontrollata immigrazione, al processo di progressivo sfaldamento del concetto di autorità che investe a tutti i livelli ogni settore della nostra vita civile; dalla riforma del Codice di procedura penale che in molti casi ostacola il lavoro della polizia giudiziaria, alle troppe amnistie e indulti – più di trenta in venticinque anni – che praticamente rendono vana l’azione repressiva della Legge e restituiscono la libertà a legioni di individui antisociali e pericolosi. Ognuno di questi fattori ha concorso nel fornire il triste quadro attuale. Ad ognuno va attribuita una ben precisa responsabilità.
Il fenomeno migratorio, ad esempio: esso ha indubbiamente creato un gran numero di disadattati sociali, impazienti di inserirsi nella società dei consumi, che accentua i desideri ed esalta i bisogni. Tutti questi individui, proprio perché disadattati, reagiscono con il solo mezzo che conoscono: quello della violenza. La tesi del non inserimento di tanti immigrati è vivacemente sostenuta anche dal questore Mario Nardone: «È gente che sale al Nord senza una preparazione di alcun genere. Vedono quello che hanno gli altri e lo vogliono subito anche loro. D’altra parte per il buon successo di una rapina non occorre molto: bastano la sorpresa e la violenza. Allora, nell’immediato dopoguerra, era la fame a spingere sulla via del crimine. Oggi è il benessere. Potrà sembrare un paradosso, ma fame e benessere vanno a braccetto nella “formazione” dei banditi».
Si accennava poi al ruolo avuto dal continuo decadimento di ogni concetto di autorità. È chiaro che la malavita non può che sentirsi incoraggiata dal ricorso continuo alla violenza nei riguardi dei rappresentanti della Legge; ed era inevitabile che in certi strati della delinquenza si creasse il convincimento errato che se è lecito danneggiare beni pubblici, se è lecito bloccare servizi di pubblica utilità, se è lecito oltraggiare e aggredire gli agenti di polizia per motivi politici, altrettanto lecito deve essere sparare addosso ai difensori dello Stato per rapinare banche e uffici postali.
Esemplare, a questo proposito, è stata la dichiarazione recentemente rilasciata dal procuratore generale della Repubblica a Milano, dottor Domenico Riccomagno. Per l’alto magistrato, la terribile escalation di episodi delittuosi e il disprezzo per la vita umana mostrato dai tanti giovanissimi accorsi a infoltire le schiere della malavita, rappresentano «i frutti amari di quello spirito di insofferenza, di sopraffazione e di violenza che trova, purtroppo, nel costume corrente esaltatori e apologeti e che le innegabili ingiustizie di cui soffre la nostra società non valgono certo a giustificare».
Per molti degli esperti che in questi ultimi mesi hanno tentato di analizzare il gravissimo fenomeno che sta sconvolgendo buona parte dell’Italia Settentrionale, all’origine dell’ondata criminale stanno soprattutto le frequenti amnistie, le sanzioni troppo lievi che colpiscono il porto abusivo d’arma e il nuovo Codice di procedura penale. Si sostiene cioè che preoccupandosi di tutelare i sacrosanti diritti dell’imputato, si è finito per perdere di vista gli interessi della collettività offesa dal reato.
Oggi la polizia giudiziaria non può più compiere quell’opera di prevenzione grazie alla quale, con i «fermi» motivati dalla sola ragione di «accertamenti in corso» il mondo della malavita veniva costantemente setacciato. Oggi la polizia, quando opera un «fermo» o un arresto, non può più interrogare il sospettato. Deve limitarsi a inviarlo in carcere e affidarlo al magistrato. Ma i magistrati sono oberati da un superlavoro che non sempre consente loro la contestazione immediata del reato, capace generalmente di portare a un risultato positivo. E allora succede che l’interrogatorio avvenga anche dopo molti giorni, dando così modo all’incriminato di perfezionare una storia che «ammorbidirà» sensibilmente la sua responsabilità.
Una volta, molti successi della polizia erano dovuti alla possibilità di interrogare l’indiziato «a caldo», appena catturato: in quei momenti il sospettato non aveva certo il tempo e la lucidità per organizzare una linea difensiva e fatalmente finivano per sfuggirgli le ammissioni, i nomi dei complici, gli accenni ai «colpi» compiuti in precedenza. Oggi la possibilità di un interrogatorio immediato e incalzante non esiste più. I banditi lo sanno e ne approfittano, mostrandosi sempre più spavaldi.
Molti dei giovanissimi rapinatori tratti in arresto in queste ultime settimane si sono presentati ai fotografi sorridendo. Antonio Sette, un vecchio arnese della malavita catturato con le armi in pugno il 4 marzo dopo un assalto a una banca milanese, ha avuto la spudoratezza di sostenere: «Ero lì per caso. Visto che tutti sparavano, mi sono messo a sparare anch’io».
«Ci meraviglia soprattutto il fatto di non riuscire a intimorirli», dice il dottor Enzo Caracciolo che con i suoi uomini sta conducendo da mesi una lotta senza quartiere contro la nuova malavita. «In questi ultimi tempi, di dispiaceri ne abbiamo dati parecchi anche noi ai banditi; ottocento arrestati fra gennaio e febbraio, duecentoquaranta fra cui ben venti rapinatori, nei primi diciotto giorni di marzo. Non è servito a niente, le rapine continuano. Fino a pochi anni fa, dopo un successo delle forze dell’ordine, dopo che la polizia riusciva a sgominare una banda, la malavita si paralizzava impaurita. Per molte settimane, di rapine non si parlava più. Guardi invece ora. Recentemente di gang ne abbiamo sgominate tre in pochi giorni: una a Milano, in via Padova, una seconda ad Opera, una terza a Saronno. Ebbene il giorno successivo all’operazione di Saronno, dove tra l’altro c’è stato anche un conflitto a fuoco, sono state assaltate in piena Milano altre due banche nel giro di quaranta minuti. La nostra paura costante è che questi episodi provochino delle vittime. Fino a ora è proprio il caso di dirlo è andata bene perché sia in via Padova, sia a Saronno, molta gente è stata sfiorata dalla morte. E noi viviamo sotto questo incubo, oppressi da questa paura».
Quando è cominciata a lievitare la nuova delinquenza? Che cosa, secondo il dottor Caracciolo, ha contribuito a trasformare pochi sparuti plotoni in un esercito? Il capo della Squadra Mobile milanese sostiene che analisi di questo genere richiederebbero troppo tempo. Tutt’al più è possibile tracciare un rapido diagramma dell’escalation.
«L’ondata criminosa che precedette l’attuale», rievoca Caracciolo, «si concluse con la cattura della banda Cavallero. Dopo questo successo tutte le banche vennero piantonate da agenti e carabinieri e per l’Italia del Nord ci fu un lungo periodo di pace. Poi arrivò l’amnistia, con l’esodo dalle carceri che tutti ricordiamo, quindi le nuove norme del diritto penale. Quasi contemporaneamente ripresero le rapine. È una coincidenza che salta subito agli occhi di tutti, non si tratta certo di farneticazioni. Cominciarono dapprima le bande di giovani. Noi ci dicevamo: “La malavita qualificata, il ‘professionista’, non compare ancora. Ma quanto tarderà ad apparire?”. Non ha tardato molto. Circa quattro mesi fa sono cominciate anche le rapine fatte veramente “a regola d’arte”. La prova che pure la malavita professionale era scesa in campo ce l’ha fornita la recente rapina di via Padova, durante la quale abbiamo messo le mani su vecchissime conoscenze. Così ora sappiano che oltre a dover lottare contro le tante formazioni di giovanissimi, dobbiamo anche fronteggiare una nuova offensiva dei vecchi gangster, Siamo dunque in guerra contro due fronti. Come andrà a finire, francamente non lo so».
«Dottor Caracciolo, che cosa si può fare per arginare questa marea criminosa?»
«Guardi, così com’è congegnata ora la questione penale, sono convinto che bisogna ulteriormente puntare su una intensificazione dei servizi su strada, i cosiddetti servizi preventivi. Soltanto se cogliamo i banditi sul fatto abbiamo la possibilità di assicurarli alla giustizia. Per ottenere questo risultato è però necessario che l’allarme ci giunga in tempo. Anche due minuti di ritardo sono sufficienti per ridurre a zero le nostre probabilità. I rapinatori giostrano sempre con due o tre auto: basta quindi che girino un angolo e che cambino vettura per interrompere il filo che li lega a noi. In altre parole, ci occorre la collaborazione di tutti i cittadini».
«Mi consenta dottor Caracciolo: ma se era stato sufficiente mettere un agente o un carabiniere davanti a ogni banca per ottenere un lungo periodo di tranquillità, perché non si può ripetere l’esperimento?»
«È un problema grosso. Per piantonare le banche occorrono centinaia di uomini…»
«E perché prima si poteva?»
«Oggi si sono presentate nuove esigenze, nuovi tipi di servizi»
Pensiamo non sia difficile dare corpo a queste «nuove esigenze». Basti soltanto pensare a quanti uomini sono necessari per controllare una delle manifestazioni anti-questo o anti-quello che quotidianamente percorrono le nostre strade. E intanto le rapine continuano.