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«I genitori? Come capre ignoranti». Parla la maestra dalla «sberla» facile

Redazione Spazio70

Da un articolo di Alida Militello per Epoca (giugno 1977)

«Se torna la maestra e i genitori non mi vengono a prendere, io scappo». Stefano, 8 anni, frequenta la terza elementare nella scuola di Bernareggio, un paese a pochi chilometri da Milano. Solo da poco tempo si è liberato dall’incubo in cui hanno vissuto lui e i suoi compagni per due lunghi anni e, ora, parla senza paura. L’incubo è la maestra Flora T., 53 anni, nata a Chieti, accusata di aver picchiato i suoi scolari imponendo loro un regime di terrore

«Stefano», dice Francesca, esprimendo la propria ammirazione per il compagno, «è sempre stato coraggioso: quando prendeva le botte non piangeva mai». Ora, Francesca, Stefano, Massimiliano e Nicola, seduti sulle ginocchia o accanto ai loro genitori, raccontano tutto. Raccontano la loro storia e quella degli altri sedici compagni che hanno vissuto nella loro classe, la III D di Bernareggio, come in un inferno. 

«I GENITORI? APPENA SEPPERO CHE ERA TORNATA, ANDARONO A RIPRENDERSI I FIGLI»

Nei primi mesi dell’anno scolastico, alcuni bambini hanno confessato alle mamme che la maestra li picchiava, tirava loro i capelli, li insultava e li scherniva crudelmente. Così, improvvisamente, è scoppiato il caso della scuola di Bernareggio. «Diedi a mio figlio», racconta la mamma di Stefano, «una lettera da consegnare alla maestra. Le comunicavo che disapprovavo i suoi metodi e le vietavo nel modo più assoluto di maltrattare Stefano. Neppure mezz’ora dopo l’inizio delle lezioni vidi arrivare, correndo verso casa mia, la bidella che mi pregava di recarmi immediatamente a scuola. Il mio bambino piangeva e la maestra “dava in escandescenze”. Quando arrivai in classe, la maestra negò di aver picchiato mio figlio. Chiesi agli altri bambini la verità e tutti mi risposero che la maestra aveva colpito con la riga Stefano. Di fronte all’evidenza la maestra prese in mano una riga e diede un leggero colpo in testa a un bambino per farmi vedere che, in fondo, il suo era soltanto un gesto simbolico di punizione. Ma Carolina, una compagna di Stefano, si alzò in piedi e intervenne dicendo che la maestra li picchiava più forte. Rimasi sconvolta e subito andai a riferire il grave accaduto alle famiglie». 

Nella polemica vennero coinvolti il direttore didattico, un ispettore scolastico, il provveditore agli studi di Milano e persino i carabinieri. I genitori dei venti alunni della III D scrissero una lettera al direttore della scuola, accusando Flora T. di aver insultato e percosso i suoi allievi e di aver sempre tenuto nei loro riguardi un atteggiamento troppo autoritario. A questo punto la maestra pensò di prendersi un periodo di riposo. «Mi tempestava di telefonate», racconta il direttore della scuola Nereo M., «mi chiedeva di aiutarla consigliandola sul da farsi, ma alla fine ha sempre fatto di testa sua. È tornata in classe prima che scadesse il periodo di riposo e fu un dramma. I genitori appena seppero che era rientrata, andarono a scuola per riprendersi i figli e proclamarono sciopero a oltranza».

 «IO QUI SONO LA LEGGE»

Lo stesso giorno, di fronte alla scuola, fra la maestra e le mamme volarono insulti, minacce e accuse pesanti. Flora T. chiamò i carabinieri e denunciò le mamme per adunata sediziosa. In seguito, non solo respinse ogni insinuazione ma inviò lettere a tutte le colleghe chiedendo la solidarietà di categoria, denunciò per diffamazione le famiglie degli allievi e fece tutelare la sua onorabilità da due avvocati. «Non sapevo più cosa fare», ammette il direttore della scuola. «Aspettavo che il provveditorato agli studi prendesse una decisione, ma non arrivò mai nulla. Mi trovai così costretto a convocare il collegio dei docenti per proporre il trasferimento della maestra. Non si poteva andare avanti con l’assurdo braccio di ferro tra lei e i genitori: se era di turno la supplente i piccoli frequentavano regolarmente, se era di turno la titolare rimanevano a casa». 

La votazione diede dei risultati che non portarono ad alcuna conclusione: 10 astenuti, 7 favorevoli, due contrari. «Durante le riunioni con i genitori», racconta Lucia C., mamma di Francesca, «la maestra ci diceva: “Io qui sono la legge e voi non lo volete capire”. Non ci lasciava mai parlare e affermava che nella scuola non dovevamo ficcare il naso».

«Le altre insegnanti», dice Armando B., padre di Massimiliano, «ci hanno riferito che anche durante l’intervallo, sul volto dei bambini, c’era un sorriso spento. Gli alunni delle altre classi cercavano di stare lontani da quella maestra. Se vedeva qualcuno di loro correre lungo il corridoio, volavano sberle. Tutti la chiamavano “la matta” e avevano paura».

Viene spontaneo domandarsi perché un così lungo silenzio da parte dei genitori o perché, a loro volta, non hanno sporto denuncia. La risposta è unanime: «Non sapevamo nulla», dicono, «i bambini avevano paura di parlare perché la maestra li minacciava e poi non volevamo rovinarla completamente. Ci basta che venga allontanata dalla nostra scuola e dall’insegnamento. Ci fa pena ma, nello stesso tempo, non vogliamo pensare che altri bambini o genitori si possano trovare nelle nostre stesse condizioni. Quando è scoppiato lo scandalo il direttore le ha proposto una sistemazione nell’amministrazione scolastica, ma la maestra ha rifiutato. Ora non sappiamo proprio che cosa fare».

«SONO UN’INSEGNANTE DI POLSO, MA I BAMBINI MI VOLEVANO BENE»

Flora T. insegna da 14 anni nelle scuole della Lombardia. Nel suo fascicolo personale, secondo quanto affermano i genitori e il direttore didattico, esistono già dei precedenti. Trattandosi di fatti privati non se ne conosce la vera natura. Si sa, però, che l’insegnante è stata più volte trasferita d’ufficio. 

Come risponde, Flora, alle accuse? 

«Quello che i genitori dei miei alunni hanno fatto», afferma, «non corrisponde a verità, così ho messo tutto in mano agli avvocati. Vede, in questo paese, dove tre anni fa sono capitata per insegnare, accade un fenomeno che offende, a parer mio, tutta la scuola: i genitori sono troppo inseriti nelle faccende scolastiche, ficcano il naso ed esorbitano dai loro diritti. La scuola di Bernareggio sembra una stazione, sono tutti lì a controllare. Succhiano il sangue dell’insegnante. Io ho tenuto lontano i genitori e loro hanno inventato calunnie contro di me». 

Ma i decreti delegati non conferiscono ai genitori certi diritti?

«I genitori ignoranti come sono», ribatte, «non sanno fare altro che seguire come capre i consigli delle colleghe più in vista. Le faccio un esempio: un insegnante, all’inizio dell’anno scolastico, ha deciso di adottare un testo di educazione sessuale. Be’, maestri e genitori era tutti d’accordo. Io no. Non è giusto, dico, spiegare certe cose e far vedere tutto bello e naturale quando invece non sempre lo è». 

Perché i bambini affermano di essere stati picchiati? 

«I bambini mi volevano bene», risponde con un tremito nella voce, «sono stati strumentalizzati dai genitori». 

Non è forse vero che il suo metodo educativo è stato giudicato un po’ troppo rigoroso? 

«Io sono un’insegnante di polso», ammette, «ho il mio metodo e non sono tenuta a copiare quello degli altri. Vede, in quella scuola un po’ di disciplina ci vuole. Dovrebbe assistere all’intervallo. Tutti i bambini si buttano per terra uno sull’altro, sembrano animali allo stato brado. Io non voglio che si comportino così e alle bambine dico che sono delle signorine e che non si devono buttare per terra. Se mi ubbidiscono li premio altrimenti li castigo e li privo della ricreazione. Però non li ho mai picchiati». 

Avevano paura di lei? 

«Assolutamente no», afferma con decisione la maestra, «io li persuadevo, parlavo a loro come se fossero degli adulti». 

Una decisione difficile quella che dovrà prendere il provveditore. Forse la maestra attraversa un periodo abbastanza grave sul piano psicologico e, anche per questo, ha ottenuto diversi congedi per malattia. In ogni caso la situazione è ancora al punto di partenza e il braccio di ferro fra l’insegnante della terza elementare di Bernareggio e i genitori dei suoi allievi continua.