Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Il corsaro dello spionaggio se n’è andato all’alba di novembre dopo un’esistenza di ardori, delusioni, problemi di salute e rimpianti per un’indagine che gli è rimasta addosso per tutta la vita. Perché il nome e il vissuto professionale di Giulio Gangi sono sempre stati uniti alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Tanto da fare di lui “lo 007 dei misteri”. Una definizione alquanto spettacolare e per niente realistica di questo grande appassionato di cinema, nato a Roma nel 1960 e che proprio grazie al suo amore per Hollywood entrò giovanissimo nelle stanze del potere.
Nel 1979 era già assistente per il settore cinetelevisivo alle dipendenze del parlamentare repubblicano Mario Dutto. L’anno dopo, segretario particolare di un’altra foglia d’edera, Vittorio Olcese. La presenza in così alti salotti istituzionali, frequentati anche da Mario Meneguzzi, zio di Emanuela Orlandi e funzionario alla Camera dei Deputati nonché uomo di fiducia di Mario Peruzy (nel 1986 nominato Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana), gli consentì di conoscere l’allora vicecapo del SISDe Vincenzo Parisi, il quale lo ingaggiò in un Servizio a corto di uomini e mezzi, nato nel 1977 dopo la riforma che aveva posto fine al vecchio SID, e appena uscito dal recente scandalo della P2 che ne aveva azzerato i vertici. Era il 16 aprile 1983, quando Gangi diventava ufficialmente un uomo della nostra intelligence. Il suo compito? «Tenere occhi e orecchie aperte in quell’ambiente lì (il cinetelevisivo, ndg)» come mi raccontò nella nostra telefonata dell’ottobre 2014. Ignorava che di lì a poco più di un anno la sua vita sarebbe cambiata. Per sempre.
Suor Dolores, nata Lidia Salsano, all’interno della scuola di musica Da Victoria (immagine tratta dal libro Atto di dolore, di Tommaso Nelli, Fabiano&Castaldo editore)
Era il 26 giugno 1983 quando si presentò in Vaticano, a casa Orlandi, per sapere che ne fosse stato di Emanuela. Aveva appreso la sua scomparsa dai giornali; la conosceva perché cugina di Monica Meneguzzi (figlia di Mario) con la quale aveva allacciato amicizia dall’estate precedente a Torano di Borgorose, piccolo paese del reatino meta di villeggiatura sia degli Orlandi che dei Meneguzzi. La prima mossa di Gangi fu informarsi degli ultimi movimenti di Emanuela. Parlò con suor Dolores, la direttrice della scuola di musica frequentata dalla ragazza, e poi con i due ufficiali in servizio davanti al Senato, il vigile Alfredo Sambuco e il poliziotto Bruno Bosco.
Dalla reverenda apprese di una studentessa scioccata dal dramma al punto da barricarsi nella sua stanza, non voler rispondere al telefono e rifiutarsi di ritornare a lezione. Il suo nome? «Purtroppo, non ho potuto approfondire, ma la mia intenzione era proprio quella…» mi disse Gangi. A impedirglielo, i suoi superiori: «Aspettavo l’ok della divisione di competenza, perché era sempre lei che decideva cosa approfondire, ma il capo mi disse che preferiva di “no” perché erano minorenni, ci doveva pensare l’autorità giudiziaria…». Un compito però mai portato a termine. Come la mancata identificazione in quasi quarant’anni dell’ultima persona che vide Emanuela quella sera, la studentessa della “Da Victoria” con lei alla fermata dell’autobus di fronte Palazzo Madama, la “rosa blu” di Atto di Dolore. Ed è molto probabile che queste due ignote giovani fossero la stessa persona.
Successivamente, con spirito da bucaniere salgariano, Gangi si mise sulle tracce della BMW Touring vista di fronte al Senato il pomeriggio della scomparsa insieme a un uomo che aveva fermato Emanuela per proporle di volantinare per conto della “Avon” a una sfilata di moda delle “Sorelle Fontana” in cambio di una cifra per quei tempi astronomica (375.000 lire). Dette credito alla versione del poliziotto – «Bosco era un intenditore di autovetture, mi descrisse persino i fanali posteriori» – e con l’ausilio della sede italiana della casa tedesca individuò un modello analogo in riparazione presso un’autofficina sulla Circonvallazione Nomentana, a settecento metri da piazza Bologna (e non a piazza Vescovio, come riportato da diverse fonti), per la rottura del finestrino anteriore lato passeggero.
L’aveva lasciata una signora che all’epoca abitava al residence “Mallia”, situato nella distinta zona della Balduina. Dove Gangi salì a bordo di una “Panda” insieme a una collega, tale Monica. Alla reception chiese di parlare con questa donna, che scese nella hall in abiti balneari. Gangi sfoderò il tesserino e le rivolse più domande sulla vettura, ma questa «si rifiutò, con fermezza e ripetutamente» di fornirgli informazioni. Così al “Sandokan di Roma Sud” non rimase che ammainare le vele e rientrare alla base, allora situata nel rione Prati, vicino Cola di Rienzo. Dove però si prese un’immediata lavata di capo dai suoi superiori, che gli rimproverarono di aver importunato personaggi del genere. Avevano saputo di quell’incontro nonostante fossero trascorsi quaranta minuti.
La donna, come raccontò Gangi, lo aveva seguito fuori il “Mallia”, riuscendo ad appuntarsi il numero di targa della “Panda”. Per lui era «l’amante di qualche pezzo grosso fra i Carabinieri, la Polizia o i Servizi»; di certo non si trattava di Sabrina Minardi, come invece si è vagheggiato su alcune cronache per strumentalizzare l’episodio con la pista della “Banda della Magliana”. A smentire la connessione, le caratteristiche fisiche della donna descritte dallo 007 in Procura nel 2008: «Bionda vistosa, capelli lunghi fino alle spalle, ‘palestrata’, con gambe muscolose, parlava senza inflessioni dialettali». Niente a che vedere con l’ex moglie di Bruno Giordano: mora, fisico minuto, gambe sottili e spiccato accento trasteverino.
Fatto un buco nell’acqua con la BMW del “Mallia”, il ruolo di Gangi iniziò a scemare. Anche perché il 6 luglio 1983 i Servizi presero a interessarsi ufficialmente del caso. Lui prima andò a parlare con le Sorelle Fontana, apprendendo che in passato altre ragazze avevano contattato l’atelier perché al centro di offerte simili o analoghe a quella proposta a Emanuela. Dopodiché ebbe un’incomprensione con la madre di Emanuela, che fu anche oggetto di un confronto tra i due davanti alla giudice Adele Rando. Secondo la donna, lui aveva promesso l’immediato ritorno a casa della figlia entro quindici giorni. Una tesi respinta con fermezza dal diretto interessato anche nella nostra conversazione: «Io non ho mai detto quelle cose lì. Mi era venuto in mente solo il flash di un collega che aveva detto che sentivano di essere sulla pista giusta».
Ai giudici Gangi raccontò anche come dal 1984 fu estromesso del tutto dalla vicenda Orlandi. Sempre maggiori le divergenze con i suoi superiori, che seguivano la pista del ricatto politico internazionale mentre lui è sempre stato convinto che la soluzione fosse nel mercato del sesso a pagamento: «Non ho mai pensato che la scomparsa della ragazza potesse essere ricondotta a una scappatella o a un fatto privato, ritenendo che dietro vi fosse qualcosa di più serio e più concreto, probabilmente riconducibile a un giro organizzato di prostituzione internazionale» fece mettere a verbale il 19 luglio 1993. Quando fu ascoltato per la prima volta – «Non sono mai stato sentito nel contesto del precedente procedimento né dal P.M. né dal G.I.» – e quando era già uscito dal Servizio. Dopo essersi occupato di questioni meno gratificanti – «Scrivere di minorenni che spacciavano, una cosa umiliante» – e aver manifestato aperta insofferenza verso l’ambiente del Servizio. Dentro – «C’era qualcuno che arrivava la mattina presto, faceva l’autista ad alti papaveri, ed era già ubriaco fradicio. C’era chi, pur essendolo, non sapeva parlare italiano» – e fuori: «Ai ricevimenti mi capitava di incontrare chi, per fare colpo, si vantava di stare nei Servizi, ma non l’avevo mai visto. E signore che ascoltavano rapite uno soltanto perché sentivano parlare di ‘agenti segreti’…».
Quando al vertice del SISDe si insediò Riccardo Malpica, gli fu proposto di ritornare nell’ambiente dello spettacolo. Ma lui rifiutò: «No, nei centri operativi non ci voglio tornare». E poco dopo lasciò la struttura per un posto al Ministero dell’Economia. Dove rimase fino al prepensionamento.
Uomo dall’indole inquieta, soggetto a cali di umore, amante delle auto di lusso e al centro di una vita costellata anche da delusioni sentimentali, Gangi aveva il rimpianto professionale di non aver mai domandato niente a Parisi: «Mi portava in palmo di mano, aveva un’alta considerazione affettuosa di me. Se gli avessi chiesto “Capo, mi porta con lei?”, lui mi avrebbe fatto entrare in Polizia». Molto affezionato alla mamma, dopo la sua scomparsa aveva venduto la loro casa all’Infernetto e alloggiava da un amico. L’indagine su Emanuela Orlandi gli era rimasta nella mente e nell’animo. Non accettava di essere stato messo da parte, avrebbe voluto fare di più, era convinto di essere sulla pista giusta. Specchio della sua generosità d’animo, il suo apporto al caso fu però pervaso dall’evidente conflitto di interessi frutto dell’amicizia con la famiglia Meneguzzi. L’aspetto personale, la voglia di fare bella figura per non deludere le aspettative, si intrecciò e prevalse su quello professionale, inducendolo a slanci arditi, come l’incursione al “Mallia”, quando invece la cautela operativa deve essere il biglietto da visita di uno 007.
Negli ultimi tempi era stato anche molto male. Le cure avevano indebolito il suo corpo, trasformato la voce e minato lo spirito. Ci eravamo sentiti l’ultima volta il 10 giugno 2021. Parlammo quasi mezz’ora, però declinò l’invito a un incontro, era giù di morale anche a causa della pandemia e mi promise che ci saremmo risentiti non appena sarebbe stato meglio. Purtroppo, è andata diversamente.