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Un golpe della Stasi? Nuovi documenti sul collasso della Germania orientale e della sua temuta polizia segreta

Redazione Spazio70

I nuovi documenti individuati presso l’archivio centrale della Stasi a Berlino ci riportano alle giornate del dicembre 1989, quando le centrali regionali affrontavano l’assedio della popolazione. All’interno di quegli uffici le condizioni erano drammatiche: i funzionari, già disorientati dagli eventi, non solo subivano umiliazioni quotidiane da parte degli esponenti dei comitati civici, ma si percepivano minacciati anche nell’incolumità personale

di Gianluca Falanga

L’ormai ex ministro della Sicurezza dello Stato, Erich Mielke, di fronte alla Volkskammer (13 novembre 1989)

La fine cominciò con una risata fragorosa e liberatoria, che infranse l’incantesimo del potere inviolabile. Un uomo anziano che balbetta dal pulpito davanti alla platea di un parlamento gremito, troppo a lungo umiliato perché ridotto a organo di acclamazione del dominio assolutistico del Partito-Stato. Erich Mielke, ottantadue anni, per trentadue dei quali capo indiscusso della polizia segreta del regime comunista della Germania orientale, costretto a rispondere ai deputati della cosiddetta Camera del Popolo dell’arbitrio del comando che aveva esercitato quasi onnipotente.

Visibilmente a disagio, il ministro della Paura e della Paranoia, da dietro occhiali di corno troppo grandi commise l’errore di rivolgersi ai deputati appellandoli indistintamente «compagni!». Sciolti dalla disciplina del terrore discreto capillarmente esercitato dalla dittatura, a quattro giorni dalla caduta del Muro e a cinque dalle dimissioni in blocco dell’intero Politbüro del Comitato centrale della SED, si levò a contestarlo un deputato dei liberali, rammentandogli che in quell’assemblea non sedevano soltanto comunisti. «Chiedo scusa, è una questione formale», balbettò l’anziano incassando l’affronto.

Il re era nudo, come si suol dire. Così nudo, che perse il controllo strillando parole assurde ma non meno eloquenti: «io vi amo, amo tutti, mi sono sempre speso per questo, amo tutti gli esseri umani!». Fu esattamente in quel momento, il giorno in cui con il parlamento votata la fiducia al nuovo capo di governo Hans Modrow e i ministri dimissionari erano chiamati a rispondere dei loro abusi, che anche la Stasi, «lo scudo e la spada del partito», diede l’impressione fatale di essere un’organizzazione priva di guida e orientamento. E anche all’interno dello stesso apparato si comprese che, storicamente, si era arrivati al
capolinea.

Il ministero per la sicurezza dello Stato della Repubblica democratica tedesca (RDT) era dal 1950 il principale strumento a disposizione della SED per assicurare e consolidare il proprio potere sulla società socialista della Germania orientale. Con l’umiliante apparizione del ministro esautorato, usciva di scena quella che, coi suoi oltre 91.000 funzionari e quasi 180.000 informatori ancora attivi, annidati in ogni ganglio e settore della vita pubblica e privata, in proporzione al numero di abitanti del Paese del Muro, scarsi 17 milioni, era il più grande apparato di polizia segreta del mondo comunista.

Il «romanzo» dell’eclissi della Stasi non è stato scritto interamente e nasconde ancora qualche segreto, che probabilmente non conosceremo mai. Gli incartamenti che l’organizzazione ci ha lasciato, oltre cento chilometri di documentazione cartacea, quasi quaranta milioni di schede, materiali che da ormai più di trent’anni studiamo e analizziamo alacremente, hanno comunque ancora qualcosa da dare in termini di novità, elementi cui si è mancato di dare la giusta attenzione, passaggi che oggi, a distanza di maggiore tempo, valutiamo diversamente che in anni passati, e qualche volta fascicoli del tutto inediti.

È senz’altro quest’ultimo il caso dei file resi pubblici nei giorni scorsi dall’associazione Comitato civico 15 gennaio in collaborazione con il Bundesarchiv, in occasione della ricorrenza dei 35 anni dalla «caduta» della centrale della Stasi a Berlino, occupata per alcune ore da una folla di manifestanti la sera del 15 gennaio 1990. Si tratta di documenti che accendono un faro su un aspetto sconosciuto della vicenda terminale della Stasi, ciò che vi accadeva all’interno di fronte al mutamento epocale ovvero la reazione dei suoi componenti, passata alla storia come impotente e rassegnata.

SCARICARE LA STASI PER SALVARE IL PARTITO

Hans Modrow

Lo spettacolo indecoroso offerto da Mielke alla Camera del Popolo il 13 novembre 1989 offrì alla direzione della SED, impegnata a salvare se stessa, il suo patrimonio e almeno un pezzo del suo potere, l’opportunità di scaricare ogni colpa del regime sulla Stasi, nonostante questa avesse operato sempre fedelmente al servizio della volontà del partito.

La strategia di salvataggio in extremis intendeva sacrificare la polizia segreta per proteggere il partito, assicurandogli un qualche avvenire politico. Il 17 novembre, il nuovo governo Modrow annunciò la riorganizzazione dell’apparato di sicurezza, che fu nettamente ridimensionato e ribattezzato Ufficio per la Sicurezza nazionale. Col cambio di nome, pura operazione di maquillage, il governo, l’ultimo a guida SED prima delle libere elezioni del 18 marzo 1990, tentò di scaricare, prendendone le distanze, la pesante eredità della polizia segreta di Mielke, il quale poco più di due settimane avanti, radiato dal partito e sollevato da ogni incarico, veniva arrestato.

Nel frattempo, nelle sedi della Stasi di tutto il Paese si distruggevano in fretta, tritandoli e bruciandoli, migliaia di fascicoli e dossier secondo le istruzioni impartite da Mielke già il 6 novembre, tre giorni prima che cadesse il Muro. Si agiva non solo per occultare le azioni criminali del regime e proteggere l’esercito invisibile degli informatori, ma anche per evitare che emergesse nelle sue reali e terrificanti dimensioni il sistema della sorveglianza totale alla quale era stata sottoposta la popolazione per decenni.

La profonda crisi del regime aveva però liberato le masse popolari dalla paura e le incoraggiava a dare sfogo alla rabbia, alle frustrazioni sopite, e a sfidare frontalmente il potere che vacillava. Il 4 dicembre, centinaia di cittadini circondarono e occuparono gli uffici della direzione distrettuale della Stasi a Erfurt: era la prima sede della polizia segreta resa inoperativa e «conquistata» dalla popolazione. Dopo avere bloccato la distruzione dei documenti e impedito ai funzionari l’accesso ai loro uffici, gli occupanti formarono il primo
comitato civico per lo scioglimento della Stasi. Era iniziato il processo di smantellamento e liquidazione della tanto temuta polizia segreta tedesco-orientale.

Nelle ore successive, simili comitati civici presero il controllo delle centrali distrettuali a Rostock, Suhl, Potsdam e Dresda e in decine di comandi circondariali in piccole città del Brandeburgo e di altre regioni. Polizia e procura militare, sopraffatte dalla determinazione dei cittadini, furono costrette a porre i sigilli ai locali, ai depositi delle armi e alle camere dove si trovavano archivi e schedari. Alla fine di dicembre 1989 sette delle quindici centrali regionali della Stasi non erano più operative, le altre otto solo più in misura assai limitata.

Restava funzionante invece la centrale nazionale, il complesso ministeriale di Berlino, che fu «preso», come già ricordato, solo la sera del 15 gennaio 1990, non per effetto di un assalto, come suggerivano le immagini televisive che fecero il giro del mondo, bensì come esito di una trattativa fra delegati dei comitati civici e dirigenti della polizia segreta per la pacifica resa dell’ultima fortezza, consegnata senza resistenza al controllo delle forze dell’opposizione democratica. Per la SED la simbolica «caduta» significò non solo il collasso definitivo di un sistema di dominio, la perdita del principale puntello del suo potere, bensì anche il fallimento del tentativo di salvare almeno pezzi della Stasi a garanzia della sopravvivenza dello Stato tedesco-orientale.

I documenti segreti sottratti alla distruzione e altre informazioni che i comitati civici di scioglimento installati negli uffici della Stasi erano riusciti a raccogliere confermavano il sospetto dell’esistenza di un sistema di sorveglianza totale. Ciò aveva spinto i rappresentanti dell’opposizione democratica a pretendere dal governo Modrow la completa liquidazione dell’intero apparato di sicurezza. Il governo proponeva invece l’istituzione di due nuovi servizi segreti, un’agenzia d’intelligence per l’estero e una per la sicurezza interna.

Quest’ultima si sarebbe dovuta occupare della preoccupante emergenza neonazista, secondo i dirigenti della SED dilagante nei territori tedesco-orientali perché non più «protetti» dal «vallo antifascista» ovvero il Muro di Berlino. Il problema aveva ben altre radici e cause, comunque la sua strumentalizzazione per costringere l’opposizione democratica ad accettare nuovi servizi segreti non ebbe successo: alla mobilitazione di piazza filogovernativa del 3 gennaio 1990 si contrapposero scioperi e manifestazioni di protesta in tutto il Paese contro la costituzione di una «nuova Stasi».

Le vivaci proteste costrinsero infine il governo Modrow a cedere, ritirando il progetto di decreto-legge per la riorganizzazione dell’apparato di sicurezza, che fu definitivamente smantellato entro il 19 aprile 1990.

I NUOVI DOCUMENTI: SI PREPARAVA UN GOLPE ALLA STASI?

La centrale Stasi di Karl-Marx-Stadt (oggi Chemnitz)

I nuovi documenti individuati presso l’archivio centrale della Stasi a Berlino (dal 2019 integrato negli archivi federali dello Stato) ci riportano alle giornate del dicembre 1989, quando le centrali regionali e i comandi delle strutture periferiche della polizia segreta affrontavano l’assedio della popolazione. All’interno di quegli uffici le condizioni erano drammatiche: i funzionari, già fortemente disorientati dal corso degli eventi e dalla mancanza di chiare disposizioni dell’autorità politica, non solo subivano umiliazioni e frustrazioni quotidiane da parte degli esponenti dei comitati civici, che impedivano loro di recarsi al lavoro, di raggiungere le proprie scrivanie e armadi, ma si percepivano minacciati anche nell’incolumità personale. Oltre alla paura di venire abbandonati alla «giustizia dei vincitori», si temeva la furia popolare e non solo contro luoghi e simboli dell’odiata polizia segreta. Gli uomini della Stasi e i loro familiari ricevevano minacce di aggressione e in qualche caso si passò anche dalle intimidazioni verbali alle vie di fatto.

Le condizioni di grande difficoltà in cui versavano le centrali della Stasi nelle ultime settimane del 1989 sono minuziosamente documentate, regione per regione, nelle relazioni inviate dai commissari mandati dal governo Modrow presso le amministrazioni distrettuali a partire dal 5 dicembre, ovvero all’indomani dell’occupazione della centrale di Erfurt, per verificare le capacità operative e le condizioni di sicurezza dell’apparato di polizia segreta e tenere aggiornato il governo Modrow sugli sviluppi della situazione. Le relazioni trasmesse al comitato di crisi formato a Berlino est confermavano lo stato di massimo allarme per il sentimento di delusione, precarietà e disorientamento che dominava il personale. Particolarmente interessanti sul piano storiografico sono un mazzetto di informative inviate in data 8 dicembre 1989 da Rudhard Riedel, incaricato governativo presso la centrale distrettuale dell’Ufficio di Sicurezza nazionale (ex Stasi) di Karl-Marx-Stadt (Chemnitz).

Alle ore 13.10 Riedel comunicava a Berlino:

«Riceviamo continuamente telefonate di compagni che temono per la loro vita (compresa quella delle mogli e dei figli). A destare le maggiori preoccupazioni non sono le proposte e le richieste dei rappresentanti del Neues Forum, ma l’inquietudine e l’agitazione che serpeggiano nelle strutture dell’apparato. Ci sono segnali allarmanti: i compagni più inquieti nella centrale distrettuale e nei comandi circondariali sono armati. Circolano voci che funzionari della Sicurezza di Stato vogliono marciare su Berlino

Alle ore 19 della stessa giornata (intanto era «caduta» anche la centrale distrettuale di Lipsia) l’incaricato Riedel inviava una seconda relazione, questa volta più lunga e dettagliata:

1. Si è tenuta oggi una riunione con delegati della piattaforma dell’opposizione
democratica Neues Forum e della Chiesa luterana (ca. 12 persone) sull’impegno
congiunto per
– assicurare l’ordine e la legalità
– la messa in sicurezza dei documenti riservati secondo disposizioni […]

2. I media locali sono stati informati.

3. Sono stati ispezionati gli uffici dei comandi circondariali ad Aue e Zwickau, di cui è in
preparazione la liquidazione. Ad Aue la situazione è critica, perché si è appreso della
volontà di occupare con la forza i locali. […]

4. Il personale dei comandi circondariali e delle direzioni distrettuali è profondamente
scosso.

5. In una lunga conversazione avuta col compagno Riedel un comitato dei funzionari
della centrale distrettuale ha manifestato i seguenti problemi:
– massima apprensione per le sorti del Paese
– la sicurezza nazionale è in pericolo
– il silenzio dei vertici del servizio
– si rifiuta l’affidamento della direzione a Schwanitz

-condizione di massimo stress fisico e psichico cui è sottoposto il personale.

Si chiede al governo:

– protezione legale (il personale ha sempre lavorato onestamente)
– ci rifiutiamo di consegnare le nostre armi
– ci organizzeremo in tutto il Paese, nel caso non ci sarà dato aiuto
– siamo disposti ad affrontare il processo di riorganizzazione con tutto ciò che comporterà, ma non ci lasceremo sacrificare.

Rinnovamento sì, ma senza demolire tutto. Le conversazioni hanno calmato i funzionari, ma la calma non durerà molto. La preoccupazione maggiore non è il Neues Forum, bensì l’immobilismo all’interno dell’apparato. La direzione distrettuale della Volkspolizei si farà carico della sicurezza delle infrastrutture del servizio segreto. La situazione è grave.

L’avvertimento lanciato da Karl-Marx-Stadt, dove risiedeva una delle centrali distrettuali più grandi e importanti della Stasi, non era l’unico a raggiungere il governo Modrow a Berlino. La particolare importanza di questo documento sta tuttavia nell’esplicita minaccia rivolta dai funzionari all’autorità politica, dalla quale si sentivano traditi dopo averla per anni servita lealmente, di non accettare il disarmo dell’organizzazione e di volere «marciare» su Berlino, se necessario di organizzarsi in tutto il Paese: per cosa? Per la resistenza armata contro il partito e il governo? Per rovesciarlo con un «golpe»? Per ripristinare una direzione politica capace di riprendere il controllo della situazione o di bloccare il processo di smantellamento della Stasi voluto dall’opposizione democratica e dalle piazze?

Su questo punto, il più scabroso, è difficile andare oltre la formulazione di ipotesi, supposizioni e congetture. Il caso di Gera, una delle ultime centrali distrettuali a venire occupate, precisamente l’8 gennaio 1990, sembrerebbe confermare la volontà di almeno una parte del personale della morente polizia segreta di tornare alla linea dura per evitare il rompete le righe: il personale inviò ripetutamente via telex ai compagni delle altre amministrazioni distrettuali un appello intitolato Oggi a noi, domani a voi, nel quale si esortava alla resistenza armata contro il governo. Lo stesso fecero altri comandi a vari livelli in Sassonia, Turingia e Brandeburgo.

LA FRATTURA PROFONDA ALL’INTERNO DEI QUADRI DELLA POLIZIA SEGRETA

L’occupazione della centrale Stasi di Berlino (15 gennaio 1990)

Restando ai fatti storici, nulla di eversivo avvenne: né un golpe né una «marcia» su Berlino e nemmeno il rifiuto di consegnare le armi e gli archivi. La spiegazione di ciò va sicuramente cercata nella frattura prodottasi all’interno del corpo dei funzionari rimasti inquadrati nel dicembre 1989/gennaio 1990, che vedeva contrapporsi all’ala dura, minoritaria, decisa a resistere, un’ala che giudicava impraticabile ogni ritorno al passato e inevitabile lo smantellamento del sistema di sorveglianza totale costruito negli anni della direzione di Mielke. Quest’ultima fazione non voleva però che la Stasi venisse liquidata completamente, sperando di potersi riciclare in una nuova agenzia di sicurezza di una Rdt probabilmente non più socialista, ma ancora sovrana e in qualche misura autonoma dalla Germania occidentale.

La spaccatura interna si era palesata già il 20 novembre 1989, come rivelato da un ex colonnello della Stasi (che ha voluto restare anonimo) qualche anno fa in un’intervista concessa all’emittente radiotelevisiva regionale MDR nel gennaio 2020. Quel giorno si sarebbe tenuta nel cortile interno della centrale di Berlino est una spontanea manifestazione di protesta, alla quale avrebbe partecipato almeno un centinaio di funzionari della Stasi, rivolta contro la direzione del servizio e l’autorità politica, accusate di immobilismo e di voler fare della polizia segreta il capro espiatorio, al quale accollare tutti gli errori commessi e le responsabilità criminali, per salvare il partito SED.

L’azione sarebbe stata organizzata da personale dell’intelligence estera HVA, orientato a sostenere la politica di rinnovamento gorbacioviana, ritenuta l’unica via per ridare ossigeno al fallimentare sistema realsocialista in procinto di collassare. La protesta dei membri di un organismo militare fu senza dubbio un evento eccezionale, al di fuori dell’apparato non trapelò nulla, trattandosi di una forma grave di insubordinazione, penalmente perseguibile. Sarebbe stato impensabile fino a poche settimane prima che čekisti, quali erano gli ufficiali della Stasi secondo la tradizione leninista dei fedelissimi «guardiani» del partito, si ribellassero ai loro comandanti e dirigenti politici. Ottennero qualcosa? Forse poco in termini politici, ma incoraggiarono l’emergere di simili posizioni all’interno di altre strutture dell’apparato, fino a provocare una seconda più grande azione di protesta, stavolta direttamente davanti alla Haus 1, dove si trovava l’ufficio di Erich Mielke.

Un altro giovane ufficiale del controspionaggio, intervistato da MDR, confermò di avere assistito dalla finestra del suo ufficio a un corteo di almeno mille persone capace di invadere il cortile della centrale in silenziosa protesta. Nei corridoi, aggiunse lo stesso ex ufficiale, i funzionari più anziani reagivano allibiti e furiosi, accusando i compagni che manifestavano di invocare la controrivoluzione, alcuni auspicando persino che venissero immediatamente arrestati e fucilati per alto tradimento. Evidentemente, la rivoluzione d’autunno che attraversava e scuoteva il Paese del Muro aveva raggiunto persino il cuore dell’istituzione più chiusa e conservatrice del regime comunista tedesco-orientale: i soldati si ribellavano ai generali, la frustrazione nei ranghi della Stasi era immensa, debordante.

Ne prese atto il 5 dicembre 1989 la segreteria del ministro (posto rimasto vacante dopo la destituzione di Mielke) attestando in una nota che i funzionari lamentavano di «avere prestato giuramento di fedeltà incondizionata a un gruppo di criminali», di «essere stati strumentalizzati da nemici del popolo», di non essere disposti a «venire impiccati» per errori commessi da altri. In un altro documento pubblicato da MDR nel 2020 si riportava come una parte dei funzionari della Stasi intendesse sostenere il processo di riforma dell’architettura di sicurezza portato avanti dal governo ma si ribadiva il rifiuto «di pagare in modo sommario per le malefatte e i crimini della direzione politica del regime e per la politica di sicurezza sbagliata da loro voluta».

I funzionari dell’ala riformista-gorbacioviana rimasero delusi come i loro colleghi dell’ala dura. Ad abbandonarli fu Hans Modrow, che inizialmente avrebbe voluto salvare almeno un segmento della Stasi, quello operativamente più utile in vista dei tempi nuovi, ma che gradualmente lasciò cadere ogni piano di riorganizzazione dell’apparato di sicurezza per smorzare le tensioni, non aizzare le piazze e non disturbare la collaborazione con l’opposizione democratica, alla quale era interessato per stabilizzare il suo debolissimo governo.

Evidentemente, i conflitti sul campo apparivano a personalità come Modrow più violenti di quanto il nome di rivoluzione pacifica lasci oggi intendere. La Stasi fu sacrificata sull’altare della politica, anche se di una politica che non riuscì a ottenere molto, perché altre forze presero il sopravvento (sicuramente Kohl e il governo di Bonn, ma anche l’impazienza di una netta maggioranza di cittadini tedeschi orientali che reclamava l’immediata riunificazione delle due Germanie).

Un’immagine eloquente della desolante impotenza dei funzionari della Stasi, sul finire del 1989, la troviamo nel consiglio dato da un ufficiale di Berlino ai colleghi di Karl-Marx-Stadt che chiedevano come difendere le proprie mogli da possibili aggressioni: che cercassero protezione in chiesa.


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