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Il caso Kukuczka è risolto. Ex ufficiale della Stasi condannato a 10 anni per omicidio: è la prima volta dal 1990

Redazione Spazio70

Basato essenzialmente su documenti storici e poche sbiadite testimonianze, il processo ha mostrato ancora una volta tutte le difficoltà incontrate dalla giustizia tedesca negli ultimi tre decenni nel tentativo di non lasciare impuniti i crimini del regime comunista tedesco-orientale

di Gianluca Falanga

Lo scorso 14 ottobre 2024, il Tribunale di Berlino ha condannato a dieci anni di carcere Martin Manfred Naumann, ex ufficiale della Stasi, oggi ottantenne, per l’omicidio di Czesław Kukuczka, un polacco di trentotto anni, che nel 1974 tentò di fuggire a Berlino ovest per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Il caso Kukuczka ha attirato l’attenzione dei media internazionali. «Al processo è stata attribuita in Germania particolare rilevanza storica», ha commentato la BBC, «paragonabile ai processi contro gli esecutori dell’Olocausto». Nel riportare la notizia della sentenza, il Washington Post ha ricordato ai suoi lettori che «il Ministero per la Sicurezza dello Stato della Germania orientale, in breve Stasi, è stato uno dei più sofisticati e oppressivi organismi di polizia segreta al mondo fino al suo smantellamento nel 1990 … l’importanza storica della causa Naumann è tale che gli atti processuali verranno versati agli archivi di Stato e resi immediatamente disponibili agli studiosi».

Il paragone coi carnefici nazisti appare francamente esagerato, resta il fatto che la sentenza qualcosa di storico ce l’ha per davvero. È infatti la prima volta dalla riunificazione della Germania dopo la fine della Guerra fredda che una corte tedesca riesce a condannare per omicidio un ex ufficiale della Stasi.

I CRIMINI IMPUNITI E I MISTERIOSI OMICIDI DELLA STASI

Veduta aerea della sede della Stasi a Berlino-Lichtenberg con vista sul cortile centrale. (Fonte: Archivio federale tedesco)

Basato essenzialmente su documenti storici e poche sbiadite testimonianze, questo processo ha mostrato ancora una volta tutte le difficoltà incontrate dalla giustizia tedesca negli ultimi tre decenni nel tentativo di non lasciare impuniti i crimini del regime comunista tedesco-orientale. Stando infatti a dati pubblicati dall’Università Humboldt di Berlino, di tutti gli abusi commessi dal regime di Ulbricht e Honecker portati a processo dopo la caduta del Muro di Berlino, le azioni criminose della Stasi presentano il tasso più elevato di assoluzioni (47,3%). Delle 753 condanne comminate, quelle a carico di uomini della Stasi sono state appena 69: in 31 casi i responsabili se la cavarono con una multa e in 36 fu concessa la sospensione condizionale della pena.

Solo in un caso un graduato della Stasi (organizzazione che nel 1989 contava oltre 91.000 effettivi!) ha dovuto scontare la pena in carcere. Si tratta del colonnello Helmut Voigt, dirigente della Divisione XX (antiterrorismo), condannato nel 1994 a quattro anni per concorso in omicidio, per avere restituito al terrorista Johannes Weinrich, braccio destro del meglio noto terrorista venezuelano Carlos, ventiquattro kg di esplosivo precedentemente confiscato, poi utilizzato per realizzare l’attentato del 25 agosto 1983 contro il centro culturale francese Maison de France a Berlino Ovest, che causò la morte di una persona.

Quanto all’omicidio, è fuori di dubbio che la Stasi vi fece ricorso in talune circostanze. Nei più di cento km di documenti archiviati oggi disponibili alla ricerca storiografica come alle indagini della magistratura, vi sono numerosi indizi e rimandi, ma quasi mai i dossier della Stasi sono stati sufficienti a provare in sede giudiziaria l’esecuzione di tali operazioni, che per la loro estrema delicatezza dovevano essere attuate senza lasciare tracce riconducibili a mandanti ed esecutori materiali. Nel 2021, la nota attivista per i diritti civili Freya Klier ha raccolto testimonianze di almeno una settantina di casi, nei quali sussiste il forte sospetto
che la Stasi abbia tentato di liquidare critici e oppositori del regime comunista, per esempio manipolando i freni per provocare incidenti d’auto o tramite sostanze tossiche.

In meno di una dozzina di casi si va oltre il sospetto: nel 1963 e nel 1985, la Stasi preparò l’omicidio dei disertori Rudi Thurow e Werner Weinhold, desistendo poi dal proposito; non riuscì invece, nel 1975, il tentativo di assassinare l’anticomunista Siegfried Schulze, come fallirono ben tre tentativi di eliminare Wolfgang Welsch, nemico pubblico della Rdt per avere aiutato oltre 200 persone a fuggire in Occidente. Il suo amico Peter Haack, incaricato dalla Stasi di avvelenarlo con una polpetta al tallio, è stato condannato nel 1994 a sei anni e mezzo di carcere per tentato omicidio. Simile il caso del dissidente Bernd Moldenhauer, strangolato nel 1980 in una stazione di servizio autostradale dal compagno di viaggio Aribert Freder, rivelatosi poi a libro paga della Stasi.

NEL 1999-2005 LA PRIMA INDAGINE DELLA PROCURA DI BERLINO

L’ambasciata polacca a Berlino Est

Di tutti gli abusi e le ingiustizie perpetrate dal regime della Rdt, dai sequestri di persona alle uccisioni di fuggitivi alle frontiere, raccolse per trent’anni testimonianze, prove e indizi di ogni genere l’Ufficio centrale di registrazione di Salzgitter, organismo creato nella Repubblica federale su iniziativa di Willy Brandt, quando era sindaco di Berlino Ovest, all’indomani della costruzione del Muro nel 1961. Fino alla sua chiusura nel 1992, l’Ufficio di Salzgitter riuscì a documentare oltre 42.000 casi di violenza di Stato, atti di giustizia politica e gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle istituzioni della Rdt, documentazione che fu alla base delle investigazioni giudiziarie degli anni Novanta. Come tanti altri casi, anche quello della misteriosa morte di un cittadino polacco, avvenuta nel 1974 nell’affollato padiglione per il controllo dei passaporti al passaggio di frontiera di Berlino-Friedrichstraße, fu esaminato e rapidamente archiviato dai magistrati nel maggio 1996 per assenza di elementi sufficienti per indagare.

Nel fascicolo di Salzgitter era contenuto poco più che un articolo del tabloid Bild, che in data 2 aprile 1974 riportava le parole di due ragazzine, testimoni oculari dell’omicidio. Le due scolare della Germania Ovest rientravano con la loro classe da una gita nella Rdt. Durante i controlli, avevano visto un uomo con gli occhiali scuri uscire da un nascondiglio e sparare un colpo di pistola alle spalle di un viaggiatore da distanza molto ravvicinata. Una vera esecuzione. La vittima era stata portata via immediatamente. Tre anni dopo, nel 1999, esaminando i referti autoptici archiviati presso l’Istituto di Medicina legale dell’Università Humboldt in cui erano menzionate ferite d’arma da fuoco, i commissari dell’Unità investigativa centrale per i crimini governativi (ZERV) si imbatterono nel referto di un cittadino polacco, tale Czesław Kukuczka, deceduto il 29 marzo 1974 per le ferite inflittegli con un colpo di pistola alla schiena e conclusero che il corpo sottoposto ad autopsia doveva essere quello della vittima del misterioso omicidio trattato nel fascicolo di Salzgitter. La Procura di Berlino si incaricò di indagare, ricostruendo i fatti accertabili attraverso la documentazione archiviata della Stasi.

Czesław Kukuczka, nato il 23 luglio 1935 a Kamienica, nel distretto di Limanowa (Polonia meridionale), era sposato e padre di tre figli. Si guadagnava da vivere come muratore e vigile del fuoco. A indurlo a lasciare la Polonia fu probabilmente il desiderio di guadagnare di più per garantire alla famiglia una vita più agiata. Domenica 3 marzo 1974 Kukuczka non si presentò al lavoro. Dopo sei giorni di assenza ingiustificata, la stazione dei pompieri di Bielsko-Biała denunciò la scomparsa alla locale direzione della milizia. Il 26 marzo la polizia confermò che l’uomo doveva aver lasciato clandestinamente il Paese. Tre giorni dopo, venerdì 26 marzo, alle ore 12.30 circa, Kukuczka si presentò all’ingresso dell’ambasciata polacca a Berlino Est, sita nella centralissima Lindenstraße, a breve distanza dalla Porta di Brandeburgo. Disse di avere informazioni importanti da riferire e venne fatto entrare senza particolari controlli.

Lo accolsero all’interno due funzionari, il colonnello Karnowski, ufficiale di sicurezza, membro del gruppo operativo del Ministero dell’Interno polacco a Berlino Est, e un altro componente della rappresentanza diplomatica di nome Olszewski.

L’ALLARME ALL’AMBASCIATA POLACCA A BERLINO EST

Czesław Kukucka nel 1974

Ai funzionari dell’ambasciata polacca nella Rdt Kukuczka disse di volere emigrare negli Stati Uniti, precisamente in Florida, dove vivevano due sue zie. Pertanto, chiedeva che gli venisse immediatamente consentito il transfer a Berlino Ovest. Alla richiesta accompagnò un ultimatum: se ciò non fosse avvenuto entro le 15, avrebbe fatto esplodere l’ambasciata e tre altri edifici a Berlino Est, fra i quali il centro culturale polacco nella Karl-Liebknecht-Straße.

Nel rapporto steso da Karnowski si dice che l’uomo aveva con sé «una valigetta, che teneva poggiata sulle ginocchia e dalla quale fuoriusciva un laccio, che reggeva con la mano sinistra». Kukuczka spiegò di avere confezionato da solo l’ordigno, avvalendosi di nozioni apprese durante il servizio militare. «Da come parla, deduciamo che il soggetto disponga davvero di conoscenze circa l’uso di esplosivi», annotò l’ufficiale polacco, che era uomo dei servizi. Karnowski segnalò inoltre che la famiglia non era informata dell’iniziativa: «Venendo a parlare dei suoi cari si è commosso fino alle lacrime».

Kukuczka si mostrò diffidente nei confronti dei suoi interlocutori, rifiutò il caffè che gli venne offerto, ma si lasciò convincere del fatto che per consentirgli l’espatrio doveva essere prodotto un documento speciale firmato dalle autorità tedesco-orientali. Quindi, il colonnello Karnowski si alzò e andò nel suo ufficio a telefonare. Il telefono squillò nell’ufficio del colonnello Willi Damm alle ore 13.10. Damm dirigeva l’Ufficio X della Stasi, incaricato di gestire la comunicazione con i Servizi collegati dei Paesi del Patto di Varsavia. L’ufficiale di sicurezza dell’ambasciata polacca lo informava della situazione di pericolo, chiedendo aiuto. Damm interpellò immediatamente la direzione della Stasi, nella persona del viceministro Bruno Beater, il quale dopo un breve consulto diede disposizioni per intervenire. Il «terrorista» polacco, come si legge nella nota stilata da Damm, doveva «essere reso incapace di offendere se possibile all’esterno dell’ambasciata».

In meno di un’ora, Damm raggiunse la sede della rappresentanza diplomatica del Paese amico, accompagnato da due ufficiali della Stasi in borghese, il colonnello Hans Sabath, membro della centrale operativa ZOS, competente per il coordinamento di operazioni speciali in situazioni di acuta minaccia alla pubblica sicurezza, e il maggiore Sanftenberg della Divisione VI, incaricata di sorvegliare il traffico in entrata e uscita dalla Rdt. Nell’ufficio del colonnello Szarszewski, superiore di Karnowski, Sanftenberg consegnò ai colleghi polacchi il documento col visto straordinario per Berlino Ovest. Mancava solo una fototessera di Kukuczka, al quale fu detto che avrebbe potuto scattarla in pochi minuti alla cabina automatica alla stazione di Friedrichstraße: «Doveva servire a tranquillizzare il soggetto», si legge nel referto della Stasi inviato alla Procura.

LA BOMBA? UN BLUFF, KUKUCZKA NON ERA ARMATO

Il padiglione Tränenpalast

Mentre si preparavano le carte, Karnowski domandò ai tedeschi se davvero avessero intenzione di lasciare andare Kukuczka. Nel rapporto del colonnello Damm si dice: «Al compagno Karnowski è stato comunicato che l’obiettivo principale consiste nell’impedire all’uomo di realizzare il minacciato atto terroristico». Nell’immediato la priorità era evitare un incidente all’interno dell’ambasciata. La situazione doveva essere risolta sul territorio della Rdt. Poteva essere necessario fare uso delle armi per mettere fuori gioco l’attentatore. Damm: «Il compagno Karnowski, visibilmente sollevato, ha dato il suo benestare». A quel punto, i polacchi cedettero completamente la gestione del problema ai tedeschi. Intorno alle 14.40 Kukuczka lasciò l’ambasciata a bordo dell’auto del colonnello Sabath, insieme al quale raggiunse la vicina stazione di Friedrichstraße. Stando alla relazione stilata da Damm, che è il documento centrale per ricostruire l’accaduto, Kukuczka passò i controlli previsti nel come sempre affollatissimo padiglione, chiamato dai berlinesi Tränenpalast («il palazzo delle lacrime») e sotto il completo e permanente controllo delle forze della Divisione VI della Stasi.

Quest’ultime erano solite operare indossando uniformi delle truppe di frontiera. Appena uscito dalla cabina, dove aveva esibito i documenti che gli erano stati consegnati, mentre si accingeva a imboccare il passaggio che lo avrebbe condotto ai binari della stazione, Kukuczka fu impietosamente freddato. Intorno alle ore 15, così scrisse Damm, «le forze operative impegnate sono riuscite a neutralizzare l’uomo senza destare particolare scalpore fra gli altri viaggiatori presenti». Subito informato, il consigliere dell’ambasciata polacca Kucza riferì a Varsavia: «Nel tentativo di fermarlo, si è dovuto ricorrere alle armi e Kukuczka è rimasto ferito».

Nonostante fosse in condizioni gravissime, la vittima non fu portata nell’ospedale più vicino,
bensì nella struttura ospedaliera riservata ai detenuti politici presso il carcere della Stasi di Hohenschönhausen, che era assai più distante. Si persero minuti preziosi per salvare la vita dell’uomo, che morì dissanguato in sala operatoria, prima che un giudice potesse emettere l’ordine di cattura. Il colpo di pistola esplosogli alla schiena da distanza ravvicinata gli aveva spappolato un polmone, la milza e il fegato.

La valigetta, che doveva contenere la bomba, fu esaminata il giorno dopo, 30 marzo 1974, dai tecnici della Stasi, che vi trovarono secondo il referto un tombino per idrante, una bottiglia di whisky frantumata, un pennello da barba, un rasoio, una spazzola, lucido per scarpe, aghi e filo per cucire. Dell’ordigno nessuna traccia, e fino a quel momento nemmeno della pistola, che avrebbe avuto con sé Kukuczka prima di morire. Dalla documentazione esaminata risulta che solo dopo la pubblicazione della notizia sul Bild, il 2 aprile, la Stasi si premurò di rilevare le impronte digitali della vittima.

Della fantomatica pistola si faceva menzione per la prima volta in un rapporto della Divisione IX (ufficio indagini) datato 4 aprile 1974, dunque ben sei giorni dopo il fatto. Con quella pistola Kukuczka avrebbe minacciato due funzionari di frontiera, uno dei quali avrebbe reagito sparandogli. Ferito all’addome, l’uomo sarebbe morto sotto i ferri. Questa versione, contraddetta dal referto dell’autopsia effettuata all’Istituto di Medicina legale dell’Università Humboldt, che certificava come Kukuczka fosse deceduto per le lesioni riportate da un colpo di pistola esplosogli alla schiena, fu accolta dalla Procura generale della Rdt come ufficiale e riportata alle autorità polacche. Il 5 aprile una perizia tecnica della Stasi confermò la presenza sull’arma delle impronte di Kukuczka.

Quindi, senza consultare i familiari della vittima, fu autorizzata la cremazione del cadavere e l’emissione del certificato di morte.

L’ENNESIMA ARCHIVIAZIONE PER «IMPOSSIBILITÀ DI IDENTIFICARE L’AUTORE DEL CRIMINE». POI LA SVOLTA

Una carta Stasi approntata per la sorveglianza della stazione di frontiera Friedrichstraße

È evidente che la pistola con le impronte della vittima sia stata apparecchiata dalla Stasi per giustificare a posteriori la liquidazione di Kukuczka. I governi della Rdt e della Repubblica popolare di Polonia si accordarono per tenere segreto l’accaduto. Il capo della Stasi Mielke respinse la proposta polacca di indicare come causa della morte il suicidio con la propria pistola. Ai primi di maggio, l’urna con le ceneri e gli effetti personali della vittima furono consegnati al console polacco Supruniuk. L’ambasciatore Dmochowski concordò col Ministero degli Esteri a Varsavia la segretazione della sua relazione sull’incidente e fu
impedito alla famiglia di Kukuczka l’accesso al territorio della Rdt.

Le ceneri e il certificato di morte furono consegnate alla vedova Emilia Kukuczka il 24 maggio 1974. Ignara delle circostanze della morte del marito, la donna organizzò il funerale, che si tenne in condizioni di stretta sorveglianza da parte della polizia segreta del regime comunista polacco. «La cerimonia si è svolta senza assumere alcun carattere di contestazione», commentò soddisfatta l’autorità. E a Berlino Est anche la direzione della Stasi chiuse il caso soddisfatta dell’operato degli agenti coinvolti. Alla fine di maggio 1974 Mielke firmò il conferimento della medaglia d’oro al merito «per il servizio reso al Popolo e alla Patria» al colonnello Sabath «per avere evitato una grave provocazione alla frontiera di Stato, contribuendo alla neutralizzazione di un terrorista». Le indagini della Procura di Berlino si conclusero nel dicembre 2005 con l’archiviazione, motivata dalla «impossibilità di identificare con certezza una persona quale autore del crimine».

Ci è voluto un altro decennio prima che storici polacchi e tedeschi trovassero fra i documenti della Stasi nuove prove, che hanno infine consentito l’individuazione dell’esecutore materiale dell’omicidio. Non solo il colonnello Sabath fu insignito di una medaglia al merito. Da un documento ritrovato a brandelli e ricostruito si evince che altri undici ufficiali furono decorati per «l’esemplare adempimento dei loro doveri nel prevenire con successo un attacco terroristico tramite azioni prudenti, coraggiose e decisive». Fra questi c’era il tenente Naumann, elogiato per avere «svolto questo compito con attenzione, coraggio e determinazione, riuscendo a neutralizzare il terrorista usando l’arma da fuoco». Naumann era uno specialista di armi, addestrato al combattimento. Faceva parte di una speciale task force assegnata alla stazione di Friedrichstraße e fu ripetutamente promosso, come si legge nel suo fascicolo personale, «per il suo impegno incondizionato, la sua disposizione ad agire fino alle estreme conseguenze e la sua capacità ad operare senza compromessi».

Era lui il liquidatore di Kukuczka? Sì secondo la Procura, che inizialmente ipotizzò un’incriminazione per omicidio colposo (non doloso perché commesso per ordine di superiori), reato che però a quel punto era già caduto in prescrizione, pertanto l’inchiesta fu nuovamente archiviata nel 2017.

PER RAGIONI D’ETÀ IL CONDANNATO NON SCONTERÀ LA PENA IN CARCERE

Martin Naumann, condannato, si copre il volto

A seguito di insistenti richieste da parte della magistratura polacca che chiedeva l’estradizione dell’ex ufficiale della Stasi per un processo in Polonia, è stato emesso un mandato di cattura europeo. Questo ha spinto il Tribunale regionale di Dresda, competente per l’estradizione di Naumann (residente a Lipsia), a chiedere alla Procura di Berlino un riesame dell’incriminazione per omicidio. Nel 2023, la magistratura berlinese ha infine deciso che il criterio del dolo era soddisfatto, essendo stata la vittima tratta in un perfido agguato e
uccisa senza pietà con un colpo mortale esplosogli alle spalle. Martin Naumann è stato quindi arrestato a Lipsia. Il processo, iniziato a marzo 2024, ha visto l’imputato avvalersi del diritto di non rispondere, con la sua difesa che ha chiesto l’assoluzione, provando a contestare sia il dolo sia che fosse sufficientemente provata l’identificazione dello sparatore.

Il pubblico ministero Henrike Hillmann ha invece chiesto per il pensionato una condanna a dodici anni di carcere, aggiungendo al dolo (pur eseguendo un ordine, Naumann avrebbe potuto mirare alle braccia o alle gambe per impedire al trentottenne di lasciare il Paese) l’aggravante dell’interesse personale, essendosi chiaramente giovato dell’omicidio per ottenere una promozione e fare carriera, come attestato dal suo fascicolo personale conservato negli archivi della Stasi. Il tribunale ha chiamato a testimoniare anche le due ragazze e un’insegnante che accompagnava la scolaresca presente a Friedrichstraße al momento del fatto.

Inoltre, hanno partecipato al processo anche i familiari di Kukuczka, due figli e la sorella del defunto, che
hanno chiesto la condanna per omicidio dell’impuntato, ma senza una pena specifica, precisando soltanto attraverso il loro legale di non cercare vendetta ma solo che venisse fatta definitivamente chiarezza sull’accaduto. Si può dire che il procedimento abbia soddisfatto questo loro diritto. L’avvocato della famiglia, Rajmund Niwinski, ha persino dichiarato di giudicare troppo dura la condanna di dodici anni richiesta dalla Procura, considerata l’età ormai avanzata dell’imputato e non ritenendo che questo avesse perseguito
allora fini egoistici.

Sia l’accusa che la difesa hanno sottolineato il significato storico del processo. Per lo storico polacco Filip Ganczak, che ha contribuito a ricostruire gli eventi del 29 marzo 1974 esaminando la documentazione sia tedesca che polacca, il fatto che questo processo, nonostante le ripetute archiviazioni, sia stato celebrato e sia giunto a sentenza, «dimostra come, a tanti anni di distanza dalla caduta del Muro di Berlino, sia ancora possibile giudicare anche in sede giudiziaria i crimini dei regimi comunisti, e forse non solo in Germania».

Naumann ha ancora il diritto di ricorrere in appello contro la sentenza di condanna a dieci anni decisa dalla Corte di Berlino e la sua difesa ha già annunciato che lo farà. Se la sentenza di condanna a dieci anni sarà confermata o meno, è comunque cosa certa che l’ex tenente della Stasi, per motivi di età, non sconterà la pena in carcere.