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Klaus Barbie. Dalla Gestapo al narcotraffico internazionale

Redazione Spazio70

Tra i criminali nazisti riciclati dopo la guerra, Klaus Barbie è forse il caso più clamoroso. Ex ufficiale della Gestapo a Lione, fu protetto dagli americani e poi attivo in Sud America tra golpe, armi e droga. Un’inchiesta ricostruisce le sue reti e il lungo silenzio che ne ha coperto le attività clandestine fino al processo del 1987

di Gianluca Falanga©

Il processo che nel luglio 1987 condannò Klaus Barbie all’ergastolo per crimini contro l’umanità fu un evento memorabile, con conseguenze significative. Fu celebrato davanti alla Corte d’Assise del Rodano a Lione, città dove il terrore nazista da lui incarnato e scatenato aveva lasciato ferite profonde. Gli americani, che nel dopoguerra gli avevano consentito di sottrarsi alla giustizia, aiutandolo a fuggire in America latina, furono costretti a riconoscere le proprie responsabilità, confermando i dettagli scabrosi, emersi nel corso del dibattimento, circa la collaborazione del Counter Intelligence Corps (CIC) con uno dei più spietati assassini nazisti. E, circostanza piuttosto rara nella storia recente, Washington porse le sue scuse al governo francese, il cui ministro della Giustizia, fra l’altro, aveva avuto il padre ucciso a Sobibor, fatto deportare da Lione dal comandante della Gestapo: appunto Klaus Barbie, il «macellaio di Lione».

Le dimensioni dei crimini commessi da Barbie e la protezione assicuratagli dalle autorità militari di occupazione statunitensi scandalizzarono l’opinione pubblica americana, perché non solo si era aiutato a sottrarsi alla giustizia un sadico criminale, ma la CIA era stata perfettamente a conoscenza del luogo dove questi aveva vissuto per ben trent’anni, celandosi sotto falsa identità, e nulla aveva fatto per segnalarlo a chi cercava di stanarlo e consegnarlo alla giustizia.

Il tema dei rapporti fra criminali nazisti e Servizi segreti restò di grande interesse pubblico, non solo negli Usa, per tutti gli anni Novanta, al punto che il Congresso americano approvò nel 1998 lo storico Nazi War Crimes Disclosure Act, rendendo possibile negli anni seguenti la declassificazione di montagne di fascicoli delle agenzie dell’intelligence statunitensi inerenti le relazioni segretamente intrattenute con i veterani nazisti negli anni successivi alla sconfitta del Terzo Reich e all’occupazione alleata della Germania. Essendo stata l’Organizzazione Gehlen nel dopoguerra fino al 1956 una struttura incardinata nella CIA, i file americani contenevano numerosi rimandi che chiamavano in causa la Germania, la quale si vide costretta ad ammettere che anche gli apparati di sicurezza della Repubblica federale tedesca (RFT) avevano cooptato nei propri ranghi decine di «esperti» degli apparati del terrore nazista, compresi esecutori della Shoah e di altri infami crimini del regime hitleriano.

Nel 2011, dopo anni di tentennamenti, discussioni e tentativi di guadagnare tempo, sono stati aperti gli archivi segreti del Bundesnachrichtendienst (BND), dai quali sono usciti nuovi documenti e nuovi dettagli sulle protezioni di cui godette Barbie. Ora, una recente inchiesta del giornalista investigativo tedesco Christian Bergmann aggiunge un nuovo capitolo alla terribile «saga» del «macellaio di Lione»: i rapporti di Barbie con i baroni sudamericani della cocaina e il cartello di Medellin.

HOTEL TERMINUS, CAMERA 68

Klaus Barbie, in una foto da ufficiale SD

Nato a Bonn, quartiere Bad Godesberg, alla vigilia della Prima guerra mondiale in una famiglia di insegnanti, l’infanzia e la gioventù di Klaus Barbie furono segnate dalle violenze domestiche
perpetrate dal padre alcolista, rientrato gravemente ferito e traumatizzato dal fronte occidentale, e dalla precoce morte del fratello minore Kurt. Nel 1934 completò con successo il liceo a Treviri, ma, morto il padre, la famiglia non era in grado di finanziargli gli studi universitari, così il ventunenne si arruolò volontario in una compagnia di lavoro del Reichsarbeitsdienst, un corpo ausiliario della Werhmacht, i cui membri prestavano servizio in progetti lavorativi in ambito civile e militare.

L’anno successivo, divenuto intanto un fervido seguace di Hitler, entrò nelle SS. Subito inquadrato nel Sicherheitsdienst (SD), il servizio segreto del Partito nazista comandato da Reinhard Heydrich, cominciò la carriera negli uffici centrali della Gestapo a Berlino. Raccolte le prime esperienze sul campo e concluso l’addestramento per ufficiali SS presso le scuole di polizia e del SD a Charlottenburg e Bernau, nel 1936 gli fu assegnato il comando della Divisione Ovest del SD a Düsseldorf, con l’incarico di reclutare spie da infiltrare nella resistenza clandestina socialdemocratica e comunista. Nella primavera 1940, col grado di tenente delle SS, fu inviato nell’Olanda occupata, dove ci restò fino all’estate 1942, operando presso l’Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica ad Amsterdam. L’ufficio era incardinato nella struttura del Comando regionale delle forze di sicurezza del Reich nella capitale olandese, il suo compito era organizzare la persecuzione e l’internamento degli ebrei, ma Barbie si distinse anche nella feroce conduzione della lotta antipartigiana e della repressione delle logge massoniche.

Quando nel novembre 1942 l’esercito nazista invase il sud della Francia, fino ad allora amministrata dal governo collaborazionista di Vichy, Barbie assunse il comando della Gestapo a Lione. In riva al Rodano, confermò tutta la crudeltà di cui era capace e aveva già dato prova in precedenza, guadagnandosi il soprannome di macellaio di Lione. Nella famigerata suite numero 68 al secondo piano dell’Hotel Terminus, Barbie faceva torturare brutalmente per giorni, spesso fino a provocarne la morte, preti e civili, donne accusate di sostenere la resistenza e anche bambini, vere orge di sadica violenza, perpetrata col contributo di aguzzini tedeschi e francesi, per esempio Francis André e i milizionari collaborazionisti del Mouvement national antiterroristes.

Questi ultimi erano arruolati e comandati dal tenente delle SS August Moritz, che nel dopoguerra sarà agente del Bundesnachrichtendienst (Bnd) tedesco-occidentale e spia doppia della Stasi tedesco-orientale.

«THE ENEMY OF MY ENEMY IS MY FRIEND»

L’Hotel Terminus di Lione

Dopo la guerra, Barbie fu accusato di avere ordinato personalmente numerosi altri crimini, fra i quali la spietata deportazione del 6 aprile 1944 dei 44 bambini di Izieu (figli di ebrei deportati di diverse nazionalità ospitati in un campo estivo, tutti assassinati ad Auschwitz insieme ai loro educatori), la retata di Rue Sainte-Catherine del 9 febbraio 1943 ovvero la cattura di 86 ebrei alla sede dell’Unione generale degli israeliti francesi, di cui 83 furono deportati e assassinati nei campi di sterminio in Polonia, il massacro di Saint-Genis-Laval del 20 agosto 1944 e numerose altre fucilazioni di prigionieri nel carcere di Fort Montluc. Una settimana prima della ritirata tedesca da Lione dell’agosto 1944, Barbie, che nel frattempo era stato richiamato in Germania, tornò a Lione per fare il «bucato» ovvero eliminare tutti i documenti che attestavano le sue responsabilità, facendo uccidere anche venti dipendenti francesi della Gestapo che potevano testimoniare, compresa la sua amante francese, Antoinette Murot.

Il nome di Klaus Barbie divenne per la prima volta di dominio pubblico quando un elenco di membri della Gestapo di Lione, compilato dalla partigiana francese Dora Schaul, venne diffuso da Radio Londra. Intanto, nel 1945, Barbie si teneva nascosto in Germania, dove sopravviveva sotto falso nome (Kurt Becker), cambiando spesso domicilio e dedicandosi al mercato nero, mettendo a segno anche qualche rapina per finanziare la sua esistenza clandestina. Più volte catturato dai militari statunitensi e britannici, riuscì sempre a evadere. Nel novembre 1946, si fece rimuovere il tatuaggio del gruppo sanguigno, segno di riconoscimento delle SS, da un medico di Amburgo. Fino al 1955 godette della protezione dei Servizi segreti degli Angloamericani, coi quali collaborò come confidente. Condannato a morte in contumacia da un tribunale francese nel 1947, fu salvato dall’estradizione dall’allora Alto Commissario statunitense John McCloy in quanto informatore del CIC, l’agenzia di controspionaggio militare americana impegnata a monitorare le reti di assistenza che aiutavano i criminali nazisti ad abbandonare l’Europa e insieme a sorvegliare i movimenti sotterranei dei reduci SS, paventando tentativi di organizzare clandestinamente gruppi di resistenza.

Per fare ciò, gli agenti americani si servivano di elementi come Barbie, che mantenevano rapporti con molti altri ex membri delle SS che si tenevano nascosti e conducevano una vita in semiclandestinità. Questi ultimi erano altresì interessati a guadagnarsi da vivere vendendo ai Servizi segreti degli Angloamericani informazioni e indiscrezioni sul recente passato e sulla situazione presente di molti camerati e, qualora avessero rivestito cariche importanti negli apparati di sicurezza del Terzo Reich e durante la guerra, i britannici e soprattutto gli statunitensi erano interessati ad acquisirli come informatori esperti del mestiere, come persone bene informate e capaci di organizzare reti di veterani potenzialmente mobilitabili per operazioni di intelligence. Quando, con l’inizio della Guerra fredda, il nemico numero uno divennero i comunisti, ex nazisti divennero ancora più interessanti, nel caso specifico di Barbie: gli fu chiesto di spiare l’attività dei Servizi segreti francesi in Germania per conto del CIC, perché si temevano infiltrazioni di agenti e militanti della resistenza comunista.

BARBIE E GEHLEN

Foto segnaletiche di Klaus Barbie, 1948

Foto segnaletiche di Klaus Barbie, 1948

Fino al 1951, Klaus Barbie fu una delle figure centrali nelle reti di soccorso e assistenza clandestina per veterani SS che riuscivano a fuggire dai campi di internamento alleati o ne venivano rilasciati. Insieme a Kurt Barkhausen, ex sottotenente delle Waffen-SS (fu irriducibile nazista e negazionista della Shoah fino alla sua morte nel 2016) organizzò a Marburg un centro illegale di falsificazione di tessere annonarie, registration cards, per la zona di occupazione statunitense e fogli di rilascio per prigionieri di guerra delle autorità americane, di cui necessitavano i camerati per sopravvivere sotto falsa identità. Anche le rapine in appartamenti servivano a finanziare il network di assistenza ai criminali di guerra, per i quali nello stesso periodo cominciarono a interessarsi anche gli emissari reclutatori di Reinhard Gehlen, che stava organizzando il suo Servizio segreto sotto l’egida americana, ma sfruttando l’autonomia che gli veniva lasciata per arruolare personale a suo modo di vedere esperto nella guerra anticomunista.

La rete organizzata attorno a Barbie intrattenne rapporti con l’Organizzazione Gehlen, fino a che gli ufficiali americani del CIC, per via della condanna a morte pendente (nel 1952 ne arrivarono altre due), decisero che era venuto il momento di farlo scomparire dall’Europa. Nel marzo 1951, con il contributo determinante di Padre Draganović, che gli fornì documenti falsi e un visto a nome Klaus Altmann (il teologo croato fu il principale organizzatore delle famose ratlines, le vie di fuga per nazisti in Sudamerica), Barbie poté raggiungere con la sua famiglia (la moglie Regine e i due figli, Ute e Hans-Jörg) prima l’Argentina, poi il Perù, infine si stabilì in Bolivia.

Nel 1966, quando Ernesto Che Guevara lasciò Cuba per tentare di «esportare» la rivoluzione castrista in Bolivia, il BND di Gehlen tornò a interessarsi a Barbie, che da anni viveva nella città di Cochabamba come cittadino boliviano e uomo d’affari ben inserito negli ambienti della giunta militare del generale Barrientos. L’esperienza raccolta in guerra nella lotta alla resistenza partigiana in Olanda e soprattutto in Francia lo aveva reso interessante anche agli occhi del Ministero dell’Interno boliviano, che lo assunse come istruttore e consigliere, col rango di tenente colonnello ad honorem, per organizzare le forze di sicurezza del dittatore, in particolare le unità delle forze armate che dovevano combattere la guerriglia guevarista. Da documenti declassificati del BND risulta che l’intelligence della RFT ingaggiò uno dei più brutali carnefici di Hitler come fonte informativa col nome in codice «Adler» (aquila), senza tuttavia riconoscere in Klaus Altmann il criminale nazista fuggito. La collaborazione confidenziale durò solo pochi mesi. Il Servizio tedesco-occidentale ricevette dalla fonte «Adler», dietro documentati pagamenti, almeno 35 relazioni scritte sulla situazione politica interna alla Bolivia e la guerriglia comunista.

Contemporaneamente, Barbie fungeva da rappresentante in Bolivia dell’impresa di import-export Merex AG di Gerhard Mertins, ex Waffen-SS e noto trafficante di armi, che sbrigava per conto del BND la vendita di armi in esubero della Bundeswehr (forze armate della RFT) sui mercati internazionali. Dopo circa sei mesi dall’acquisizione confidenziale, l’intelligence di Bonn liquidò il rapporto di collaborazione con un ultimo versamento di mille marchi e «spense» la fonte, seppur qualificata nei documenti come «intelligente», «molto ricettiva e capace di adattamento», «riservata e affidabile».

AL SERVIZIO DEL CARTELLO DI MEDELLIN

Un tesserino militare boliviano di Barbie

Un tesserino militare boliviano di Barbie

All’inizio degli anni Settanta, sotto la giunta del generale Hugo Banzer, che nel 1971 mise fine con un nuovo golpe militare alla breve presidenza del socialista Juan José Torres, Klaus Barbie intensificò la sua collaborazione con le autorità boliviane cominciata sotto Barrientos, ancora una volta mettendo a disposizione la propria esperienza nel campo della tortura, degli interrogatori violenti e delle operazioni di guerra non ortodossa. Avvalendosi della consulenza del criminale nazista, Banzer represse brutalmente ogni opposizione con arresti illegali, omicidi di intellettuali e militanti di sinistra, rapimenti di attivisti e giornalisti che denunciavano le sistematiche violazioni dei diritti umani e i crimini perpetrati dai paramilitari. Proprio in quel periodo, quando si sentiva più al sicuro, la coppia di giornalisti Beate e Serge Klarsfeld, famosi per la loro infaticabile caccia ai criminali nazisti sfuggiti alla giustizia postbellica, riuscì a rintracciare Barbie in Bolivia grazie a una soffiata della Procura di Monaco di Baviera. Seguirono nel 1972 un tentativo fallito di rapirlo, preparato dal filosofo francese Regis Debray e dalla guerrigliera tedesca Monika Ertl, nel 1975 un tentativo, anche questo fallito, di assassinarlo intrapreso dal francese Michel Goldberg per vendicare la morte del padre, deportato da Lione ad Auschwitz nel 1943 e lì assassinato, nel 1980 un secondo tentativo di ucciderlo, questa volta a tentare fu il Mossad israeliano, nuovamente senza fortuna.

Intanto, Barbie contribuiva a organizzare le milizie che nel luglio 1980, con l’aiuto determinante del Batallón de Inteligencia 601 (unità speciale del Servizio segreto militare della giunta argentina, famosa per il suo ruolo nel programma di guerra segreta dell’Operazione Condor) portarono al potere a La Paz il generale Luis Garcia Meza Tejada, con il cosiddetto «golpe della cocaina».

Meza instaurò nuovamente un regime di terrore, che durò tredici mesi. Furono messi al bando i partiti politici, silenziata la stampa e perseguitata duramente ogni opposizione. Il nuovo regime era profondamente coinvolto nel traffico della droga e finanziato dai cartelli della cocaina. La recente inchiesta di Christian Bergmann, pubblicata nel maggio 2025 dal settimanale amburghese Der Spiegel, rivela quanto anche Barbie fosse profondamente coinvolto nell’organizzazione di uno dei più importanti cartelli della droga sudamericani. In Bolivia, Barbie non divenne dunque solo consigliere delle milizie paramilitari dei generali golpisti boliviani e dei loro Servizi segreti, bensì anche collaboratore del barone della droga Roberto Suarez, quando ne fece la conoscenza negli anni Settanta. Barbie si era fortemente legato al paramilitare neonazista Álvaro de Castro, che gli faceva da guardia del corpo e col quale organizzava operazioni e affari criminali.

De Castro aveva rapporti con potenti baroni della droga e con il traffico illegale di stupefacenti. Insieme ad Altmann alias Barbie e con l’aiuto di una società austriaca, De Castro vendeva armi ai cartelli della droga. Quando quest’ultimo fu arrestato, Barbie portò avanti i rapporti con i trafficanti, facendo la conoscenza di Roberto Suarez, anche detto il «Re della cocaina», da molti considerato il più grande produttore di cocaina del mondo e principale fornitore del cartello di Medellin.

FINE DI UNA CARRIERA CRIMINALE

Klaus Barbie a processo

Il boss boliviano imparò presto ad apprezzare le preziose conoscenze del tedesco in materia di sicurezza, strategia militare e lavoro d’intelligence e, alla fine degli anni Settanta, lo presentò ai trafficanti colombiani. Klaus Barbie incontrò personalmente Pablo Escobar, il fondatore del cartello di Medellin, nonché altri membri di alto livello dello stesso cartello e accettò la loro offerta di garantire la sicurezza delle forniture di coca grezza, dalla coltivazione fino agli impianti di lavorazione in Colombia. In cambio, Escobar avrebbe accettato di finanziare le attività anticomuniste di Barbie. Un dispaccio della CIA del maggio 1974 conferma che l’Agency sospettava il coinvolgimento di Barbie nel traffico della droga. Stando alle testimonianze raccolte da Bergmann da membri della famiglia Suarez, anche Fidel e Raul Castro contattarono Suarez ed Escobar per offrire la protezione cubana al business della cocaina. Fidel Castro avrebbe pensato di usare la droga come arma contro l’imperialismo americano. Ma Suarez preferì fare affidamento su Barbie, col quale condivideva un interesse comune: che in Bolivia non si instaurasse una stabile democrazia, che il Paese diventasse un Narcostato.

Sotto la dittatura del generale Meza e di Luis Arce Gomez, ministro dell’Interno e cugino di Suarez, il boss boliviano godeva di ogni protezione e libertà per i suoi affari. Barbie invece, nominato da Suarez capo del suo servizio di sicurezza, una forza di diverse centinaia di uomini addestrate in Libia, poteva sentirsi al sicuro: il regime boliviano non lo avrebbe estradato in Europa né consegnato a chi gli dava la caccia o lo voleva morto.

Negli anni Ottanta, i rapporti di Suarez con Escobar andarono deteriorandosi per la ferocia del colombiano, che il boliviano considerava eccessiva e dannosa per gli affari. Contemporaneamente, l’agenzia federale antidroga statunitense DEA riuscì a infiltrare con agenti sotto copertura l’impero boliviano della cocaina, stroncando la carriera criminale di Suarez, che fu arrestato dalla polizia boliviana il 20 luglio 1988. Fu condannato a 15 anni per traffico illegale di stupefacenti, di cui ne scontò sette. Rilasciato nel 1996 per buona condotta e le sue cattive condizioni di salute, trascorse il resto della sua vita il Bolivia come allevatore di bestiame. Il regime del generale Meza, isolato a livello internazionale, cedette. Il presidente fu costretto alle dimissioni il 4 agosto 1981 e il governo sostituito da una nuova giunta, che mise finalmente termine alla dittatura militare nel 1982.

Nel 1993, al primo processo in America latina contro un despota deposto per reati commessi durante il suo governo, Meza fu condannato in contumacia a 30 anni di carcere senza diritto alla grazia. Privo di protezioni, cadde anche Barbie. Estradato dalla Bolivia alla Francia nel 1983, fu condannato al carcere a vita nel 1987. È morto in prigione nel 1991.