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Le due Germanie e il golpe in Cile 1973: ombre, leggende e scabrose verità

Redazione Spazio70

Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, le relazioni tra il Cile e le due Germanie acquisirono una particolare dinamicità, a causa della concorrenza della DDR, che, affacciandosi sullo scenario della politica internazionale, mise in discussione il predominio della Repubblica federale sulle relazioni politiche ed economiche con lo Stato andino

di Gianluca Falanga

Il colpo di Stato che nel settembre 1973 instaurò in Cile la dittatura militare, rovesciando il legittimo governo socialista, ebbe un impatto molto forte sull’opinione pubblica internazionale. Sono indimenticate le fotografie del presidente Allende con l’elmetto, sotto le bombe che piovono sulla Moneda, il palazzo presidenziale avvolto dalle nubi di fumo delle esplosioni, e quelle dei prigionieri politici rinchiusi nello Stadio nazionale a Ñuñoa, vicino Santiago, trasformato in un campo di concentramento e tortura dei dissidenti arrestati in massa dalla polizia segreta del nuovo regime. Sono immagini che si sono impresse nella memoria collettiva, non solo dei cileni, come icone di uno dei passaggi più drammatici dell’epoca della cosiddetta Guerra fredda.

Negli anni Sessanta del secolo scorso, all’indomani della Rivoluzione cubana del 1959, gli acuti problemi sociali che affliggevano le società dell’America latina, la volontà di emancipazione politica ed economica dall’influenza statunitense manifestata da almeno una parte delle classi dirigenti di quei Paesi, fecero del subcontinente latino-americano una delle regioni più calde e contese del pianeta. Sebbene non fosse all’epoca né il più povero né il più instabile paese latino-americano, il Cile diventò nell’arco del decennio che sfociò nella brutale svolta autoritaria del 1973 un caso esemplare della vulnerabilità politica del Sudamerica. Al contempo, il Cile divenne anche teatro dello scontro per procura fra i sistemi politici e ideologici contrapposti della Guerra fredda, nella fattispecie arena della concorrenza fra i due Stati tedeschi sorti nel secondo dopoguerra sui versanti opposti della Cortina di ferro ed entrambi eredi della lunga tradizione di intense relazioni di amicizia e collaborazione economica intrattenute dalla Germania con lo Stato andino.

In occasione della recente ricorrenza del cinquantesimo anniversario del colpo di Stato del 1973, nuove investigazioni e l’accesso a fonti inedite hanno confermato e precisato il ruolo giocato in quegli eventi, a sostegno dei generali golpisti, da ex ufficiali nazisti (circa un migliaio) approdati in Cile nell’immediato secondo dopoguerra, alcuni dei quali, ex agenti del Sicherheitsdienst, il Servizio segreto delle SS, e della Gestapo. A quasi trent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, trovarono nuovi incarichi nella spietata polizia segreta del regime del generale Pinochet, la famigerata DINA (Dirección de Inteligencia Nacional), di cui contribuirono a plasmare i feroci metodi portando la loro esperienza acquisita sul campo nei ranghi degli apparati del terrore hitleriano.

Nuove testimonianze raccolte in Cile dal giornalista investigativo Wilfried Huismann nonché la parziale apertura degli archivi del Bundesnachrichtendienst (BND), il Servizio d’intelligence della Repubblica federale tedesca, hanno contribuito a fare luce sulle attività dell’ex comandante delle SS Walter Rauff, uno dei criminali di guerra nazisti più ricercati al mondo, che diventò consulente di Manuel Contreras, il capo della DINA e regista dell’Operazione Condor, nonché su quelle della setta tedesca Colonia Dignidad, ma anche sulla condotta tenuta dai diplomatici tedesco-occidentali in Cile e dai funzionari del BND nel periodo a cavallo del colpo di Stato contro il governo Allende. La diametrale contrapposizione alla contemporanea solidarietà manifestata dall’altra Germania, la Repubblica democratica tedesca (DDR), verso gli antifascisti vittime della feroce violenza della giunta, ha contribuito a rendere questi fatti, indubbiamente gravissimi, particolarmente imbarazzati e scabrosi per le istituzioni della Repubblica federale, di cui è impossibile fare a meno di notare l’ostinata quanto imbarazzata renitenza sull’argomento.

IL CILE, «ARENA» DELLA GUERRA FREDDA E DELLA CONCORRENZA TRA LE DUE GERMANIE

Ritratto presidenziale ufficiale di Salvador Allende

Una lettura equilibrata e quanto più possibile libera da pregiudizi ideologici delle relazioni intrattenute dalle due Germanie col Cile ci apre un quadro più completo e differenziato rispetto a quello che risulta dalla narrazione polarizzata adottata dalla stampa tedesca nella ricorrenza del golpe cileno lo scorso anno. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, quelle relazioni acquisirono una particolare intensità, poliedricità e dinamicità, a causa della forte politicizzazione e per la concorrenza della DDR, che, affacciandosi in quel periodo sullo scenario della politica internazionale, mise in discussione il predominio, fino ad allora incontrastato, della Repubblica federale sulle relazioni politiche, di cooperazione economica e sui programmi di investimento a favore dello sviluppo dello Stato andino. Come in quasi tutti i Paesi latinoamericani, anche in Cile il nazismo, la guerra e l’Olocausto non avevano compromesso l’immagine della Germania. In Cile vi era una grande comunità di immigrati tedeschi e una diffusa germanofilia nella popolazione cilena.

Insomma, nei confronti di Bonn non vi era nessuna seria riserva politica. Da contro, la DDR, isolata sul piano diplomatico, era quasi del tutto assente dalla percezione pubblica dei cileni. Povera di risorse e con interessi strategici non ancora maturi, la Germania orientale non era un partner particolarmente attraente per gli Stati sudamericani. Il quadro cambiò radicalmente con la vittoria dei guerriglieri castristi a Cuba. In Cile, il successo dei rivoluzionari cubani riaccese le ambizioni della sinistra marxista, mentre a Berlino Est si sperò che la rivoluzione cubana potesse aprire nuove opportunità di politica estera proprio nel cosiddetto cortile di casa degli Stati Uniti. A Bonn, invece, la vittoria dei castristi fu interpretata come un allarmante presagio della perdita di influenza dell’Occidente nel subcontinente sudamericano.

Il periodo 1960-1973 è ricordato nella storia del Cile come un’epoca segnata da profondi sconvolgimenti sociali, disordini e una lacerante polarizzazione politica, culminata nel golpe militare del 1973. Sul piano globale, quel tredicennio coincise con un passaggio chiave nell’evoluzione della Guerra fredda, che mutò da un conflitto di posizione bloccato ad uno di movimento su scala planetaria. Con l’assestamento dell’ordine internazionale sulla base della coesistenza pacifica dei blocchi, la concorrenza dei sistemi e la loro conflittualità coperta, di guerra combattuta in forma delegata e attraverso attività sotterranee di condizionamento e contenimento reciproco, spostò il proprio baricentro dalla Germania al cosiddetto Terzo Mondo.

I tre governi cileni che si avvicendarono nella gestione di quella fase, quello conservatore di Alessandri (1959-1964), quello riformista di Frei (1964-1970) e quello socialista di Allende (1970-1973), cercarono di domare le crescenti tensioni sociali e superare la condizione di prolungata stagnazione socioeconomica del Paese, proponendo ambiziosi programmi di varia ispirazione. Il timore che il modello cubano potesse fare scuola mosse Washington (amministrazione Kennedy) a promuovere un corso politico più avanzato di investimenti per incoraggiare lo sviluppo democratico delle società latinoamericane.

Nel solco del programma Alleanza per il Progresso, varato nel 1961, anche Bonn intensificò notevolmente la concessione di aiuti finanziari a favore dei governi democristiani cileni (nel 1968 il Cile, con meno di 10 milioni di abitanti, occupava il sesto posto nella classifica mondiale dei Paesi destinatari degli aiuti e investimenti della Germania Ovest). Quella di Bonn restava tuttavia una strategia difensiva, volta a conservare e consolidare le posizioni precedentemente acquisite, appoggiandosi prima sull’anticomunismo della destra cilena, poi sul riformismo dei democristiani. A questi ultimi guardava con interesse anche il regime della Germania orientale, nella fattispecie il Dipartimento Relazioni internazionali del Comitato centrale della SED (il partito-Stato della DDR), che aveva comunque nel Partito comunista del Cile (PCC) la prima forza politica di riferimento per promuovere i propri interessi nel teatro cileno.

 

IL GOVERNO BRANDT E IL REGIME DELLA SED NELLA CRISI CILENA DEL 1972/73

Manifesto elettorale SPD del 1972. Si legge: «Tedeschi, possiamo essere orgogliosi del nostro Paese. Votate Willy Brandt»

Raggiunta la stabilizzazione interna dopo la costruzione del Muro di Berlino nell’estate 1961, il regime della SED poté finalmente concentrarsi sullo sviluppo di una politica estera più offensiva. Al centro di questa vi era naturalmente la vitale questione del riconoscimento internazionale della DDR e la fine dell’isolamento diplomatico impostole dalla dottrina Hallstein di Bonn, che minacciava l’interruzione delle relazioni diplomatiche ed economiche ai paesi che riconoscevano lo Stato orientale.

L’interesse del governo Frei a ridurre la dipendenza dall’Occidente, in primis dagli USA, diversificando le relazioni con l’estero e intensificando gli scambi commerciali con i paesi socialisti, incoraggiò Berlino Est a muoversi. Non potendo compensare coi propri mezzi l’eventuale perdita degli aiuti occidentali, si cercarono di sfruttare altri canali, per esempio quello commerciale (mirando all’apertura di rappresentanze commerciali come teste di ponte) e quello degli scambi culturali per diffondere un’immagine positiva della DDR nella popolazione cilena.

Progetti più ambiziosi, come la creazione di una joint venture fra un’impresa privata cilena e un kombinat della DDR per realizzare un impianto per la lavorazione del rame (di cui il Cile è il principale produttore a livello mondiale), fallirono per divergenti interessi economici. Sul piano politico, contrariamente alla successiva pubblica eroizzazione, che iniziò nel 1973, la SED diffidava di Allende e dei socialisti, prima forza della sinistra cilena, considerati troppo eclettici e ideologicamente inaffidabili rispetto ai comunisti di osservanza sovietica: per i dirigenti della SED Allende era un «personaggio ambivalente» con forti tratti carrieristici, «il peggior candidato della sinistra»; il suo partito, che nel 1968 condannò l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, un partito populista e personalistico, con tendenze nazionalistiche, filocastriste e filocinesi.

Paradossalmente, fu proprio il gabinetto presieduto da Allende a permettere alla DDR di conseguire l’obiettivo del suo riconoscimento ufficiale da parte del governo cileno, anche se dopo la vittoria di Unidad Popular (UP) alle elezioni presidenziali del settembre 1970 Berlino Est dovette pazientare fino alla primavera successiva per l’agognata instaurazione dei rapporti diplomatici, poiché Allende chiese tempo per evitare di compromettere i rapporti con Bonn mentre affrontava la dura reazione americana alla nazionalizzazione delle miniere di rame (già cominciata, in forma negoziata, nel 1964 dal governo Frei, il rame rappresentava il 90% delle esportazioni minerarie del Cile), fino ad allora controllate dalle aziende statunitensi Kennecott e Anaconda.

Da Bonn il governo Brandt raccomandò alla sua diplomazia di non punire il Cile, di protestare «senza inutile durezza» ossia senza imporre sanzioni, onde evitare di concedere campo libero alla propaganda comunista. Nei confronti del governo Allende, eccetto un formale raffreddamento nei rapporti diplomatici, l’atteggiamento del governo tedesco-occidentale a trazione socialdemocratica fu tutto sommato moderato, improntato alla neutralità, addirittura di simpatia verso UP manifestata da ministri, sottosegretari e parlamentari della sinistra SPD. E non risulta che nella crisi cilena del 1972-73 la compagine social-liberale al potere a Bonn abbia partecipato attivamente alla destabilizzazione orchestrata da Washington per polarizzare la società cilena e fare fallire l’esperienza di una via cilena al socialismo. A dispetto degli espropri subiti da proprietari tedeschi, il governo federale non ritirò né ridusse drasticamente gli aiuti allo sviluppo, non bloccò la concessione di crediti alle imprese cilene né ridusse il volume complessivo dei commerci, che invece persino aumentò.

Delegazione di diplomatici della DDR ricevuta dal presidente Allende (14 marzo 1973)

Sul versante della DDR, il sostegno prestato da Berlino Est al governo di UP fu modesto. Oltre ai dubbi nei confronti di Allende e al timore di sprecare preziose risorse materiali e finanziarie, pesò la linea adottata dal Cremlino, sì interessato a consolidare le sinistre al governo in Cile per indebolire, sul lungo periodo, il predominio statunitense in America latina, ma contrario a creare una seconda Cuba da alimentare con gravoso impiego di risorse) nonché conflitti come quello sul pagamento delle centinaia di tecnici inviati dalla DDR (il Cile si aspettava che li pagasse Berlino Est, come facevano le imprese occidentali, la SED chiedeva invece una partecipazione cilena ai costi) oppure sul prezzo del rame, che la DDR pretendeva di acquistare sotto il prezzo di mercato.

Nella fase più acuta della crisi cilena, Berlino Est respinse la disperata richiesta, avanzata nel novembre 1972 dal segretario del PCC Corvalán, di concedere un grosso prestito e migliori condizioni di pagamento negli scambi commerciali. I vertici della SED preferirono intensificare l’invio di migliaia di tonnellate di aiuti di solidarietà in merci, personalmente consegnate nei porti cileni da alti dirigenti politici del regime tedesco-orientale, per sfruttarne l’alto valore propagandistico sia a livello di politica interna, sia per accrescere il prestigio internazionale della DDR come Stato antifascista. Tali aiuti non ebbero grande effetto sulla difficile situazione economica e degli approvvigionamenti alimentari che affliggeva la popolazione cilena, ma contribuirono a incoraggiare la solidarietà internazionale verso UP, il cui destino era comunque ormai segnato: nel corso del 1973 a Berlino Est se ne era pienamente consapevoli, avendo Mosca di fatto già deciso di abbandonare il Cile alla sua tragica sorte.

 

11 SETTEMBRE 1973: ASSEDIO ALLA MONEDA

Il Palacio de La Moneda, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica del Cile, nelle drammatiche fasi del colpo di Stato dell’11 settembre 1973

Il BND fu informato dalla CIA dell’imminente colpo di Stato militare in Cile con meno di due giorni di anticipo sui drammatici eventi dell’11 settembre 1973. L’agente della CIA Jack Devine, in quel periodo operativo sotto copertura a Santiago, era venuto a conoscenza nella giornata del 9 settembre dalle sue fonti interne all’esercito cileno del piano di esecuzione del putsch e immediatamente aveva informato Langley, che a sua volta aveva allarmato la Casa Bianca. Tuttavia, il Servizio tedesco mancò di informare in tempo l’allora cancelliere Willy Brandt su ciò che si preparava. La notizia giunse invece ad Alfred Spuhler, nel 1973 tenente della Bundeswehr in servizio presso il Ministero della Difesa a Bonn con accesso alle informazioni riservate sull’infrastruttura, l’equipaggiamento, le capacità tecnico-operative, gli obiettivi e i risultati dello spionaggio informatico del BND e di altri Servizi collegati in ambito NATO, ma soprattutto spia doppia, che dal 1971 lavorava per lo spionaggio della DDR.

Spuhler riuscì a trasmettere il preannuncio americano del golpe in Cile a Berlino Est via corriere e attraverso un agente dell’HV A (struttura della Stasi preposta alle operazioni d’intelligence all’estero, diretta dal generale Markus Wolf) in Tirolo. Le autorità della DDR si sarebbero quindi precipitate ad avvisare il governo Allende, ma non è chiaro se l’informazione giunse in tempo a Santiago o meno. Ad ogni modo, come dimostra un audio recentemente pubblicato dell’allora ministro della Difesa cileno Orlando Letelier, Allende, allarmato per la situazione esplosiva venutasi a creare nel Paese, tentò in extremis di prevenire il colpo di Stato, annunciando ai suoi più stretti collaboratori, convocati d’urgenza nella giornata del 10 settembre, la rimozione dai comandi delle forze armate e della polizia dei generali sleali verso il suo governo nonché l’indizione immediata di un referendum sul proseguimento dell’esperienza di governo di UP (e di nuove elezioni in caso di sconfitta). Com’è noto, non si fece a tempo.

All’alba dell’11 settembre le forze armate cilene attaccarono il Palazzo presidenziale, rovesciando il governo democraticamente eletto. Allende perse la vita nel corso dell’assedio. Il generale Pinochet, comandante in capo dell’esercito, fu nominato capo della giunta militare che s’impadronì del potere, aprendo immediatamente la caccia all’uomo per annientare le sinistre e ogni altra opposizione, con arresti di massa (circa 130.000 persone nei soli primi tre anni), omicidi e torture. Il ministro Letelier fu arrestato il giorno del golpe, torturato in varie caserme e centri di detenzione, infine internato per otto mesi in uno speciale campo di concentramento riservato agli esponenti di spicco della classe dirigente cilena e ai più stretti collaboratori e ministri di Allende sull’isola di Dawson, nell’inospitale Terra del Fuoco.

Il 21 settembre 1976 agenti della DINA lo assassinarono a Washington insieme alla sua segretaria Ronni Moffitt con un’autobomba attivata a distanza. Dopo il rilascio dall’internamento a seguito delle pressioni internazionali e prima di andare in esilio negli Stati Uniti, Letelier aveva registrato una cassetta con i dettagli della riunione convocata da Allende il giorno prima del golpe. Il contenuto del nastro prova che Allende intendeva ricorrere a strumenti costituzionali per superare la crisi e smentisce l’esistenza del fantomatico Piano Z ovvero del piano di attuazione di un autogolpe per liquidare l’opposizione al suo governo, menzogna propagandistica diffusa all’indomani del colpo di Stato per giustificare il putsch dell’11 settembre come prevenzione di un colpo di mano comunista e per legittimare la brutalità dell’ondata repressiva scatenata dalla giunta militare come necessaria a bandire una seria minaccia di sovversione dello Stato.

IL CILE PALCOSCENICO DELLA PRIMA PROVA INTERNAZIONALE DELLA DDR

Una immagine di Clodomiro Almeyda, esponente dell’ala marxista-leninista dei socialisti cileni

Due settimane dopo il putsch a Santiago e appena una dallo storico conseguimento del tanto sospirato riconoscimento internazionale della sua sovranità (il 18 settembre 1973 entrarono all’ONU entrambi gli Stati tedeschi), la DDR volle dare prova della propria determinazione sui palcoscenici della politica internazionale, rompendo le relazioni diplomatiche con il regime di Pinochet e chiudendo la propria ambasciata. Come si legge in un documento della Sicurezza di Stato tedesco-orientale, non si optò per un boicottaggio completo: «Dopo il golpe militare in Cile il governo della DDR ha deciso di continuare i commerci con il Cile. Il motivo principale della decisione è stato il fatto che la DDR intrattiene relazioni commerciali con diversi Paesi in una simile situazione, inoltre il Cile svolge un ruolo particolare nel rifornire la DDR di importanti materie prime».

Le relazioni commerciali non solo non furono interrotte, ma nemmeno ridotte, anzi addirittura crebbero, raggiungendo nel triennio 1973-75 il picco più alto nella storia delle relazioni DDR-Cile. Berlino Est trattò e concluse con il regime di Pinochet anche nuovi contratti per l’acquisto del rame, meticolosamente rispettati da entrambe le parti. L’imbarazzante contraddizione degli affari con la proclamata irriducibile ostilità contro la giunta assassina dei generali cileni costrinse il regime della SED a tenere quanto più possibile segrete quelle transazioni, specie alla propria popolazione. Sul fronte della solidarietà ai cileni perseguitati, la DDR non solo si precipitò a offrire asilo politico a circa 2000 militanti di tutti i partiti di sinistra che avevano sostenuto il governo Allende, garantendo loro alloggio, lavoro e l’opportunità di studiare negli atenei della DDR, ma si fece carico della protezione fisica dei dirigenti comunisti e socialisti di UP da possibili attentati della DINA e consentì loro di installare a Berlino Est le proprie segreterie.

In Cile, gli otto funzionari del Ministero per il Commercio estero lasciati da Berlino Est per curare gli affari e le questioni correnti fungevano anche da informale centrale di collegamento fra la resistenza antifascista clandestina e i dirigenti in esilio a Berlino Est e Mosca. Nelle settimane immediatamente successive al putsch, si attivarono anche per sottrarre all’internamento e alla tortura personalità politiche di spicco, aiutandole a uscire illegalmente dal Cile. Il caso più noto e spettacolare è quello del segretario del partito socialista Carlos Altamirano, trasferito in Argentina il 6 novembre 1973 da una coppia di agenti della Stasi, Rudolf e Margot Herz, che lo nascosero nel bagagliaio di un’auto (dettaglio interessante: metodo appreso dalla Stasi sequestrando veicoli simili a chi aiutava cittadini della DDR a fuggire verso la Germania Ovest). Dopo un passaggio a Cuba, Altamirano raggiunse la Germania orientale, rimanendovi in esilio fino al 1979.

L’accoglienza del regime di Honecker nei confronti degli esuli antifascisti cileni, in particolare dei dirigenti di UP orfani di Allende, non era politicamente disinteressata né libera da diffidenze caratteristiche del sistema politico della DDR. L’organizzazione Büro Antifaschistisches Chile (pilotata dai funzionari della SED come tutte le organizzazioni sociali e gli apparati nello Stato comunista) non svolgeva solo le funzioni di una centrale di accoglienza e assistenza per gli esuli, al fine di integrarli rapidamente nel tessuto sociale, produttivo e culturale del Paese, bensì si occupava anche di verificare gli orientamenti politico-ideologici dei fuoriusciti sia per conto della SED e della Sicurezza di Stato, sia per conto della dirigenza dei comunisti cileni.

La tentacolare polizia segreta tedesco-orientale non si limitava solo a proteggere i dirigenti e le sedi dei partiti cileni in esilio ma sorvegliava gli esuli cileni che intrattenevano relazioni con i loro compagni a Berlino Ovest e nella Germania occidentale, quelli che si recavano frequentemente all’ovest, operando sequestri di materiali, volantini, riviste, e reclutando spie fra gli esuli per controllarne i movimenti e le intenzioni, per carpire e seguire i dibattiti e gli intrighi interni alle organizzazioni politiche. Le informative erano inviate ai vertici della SED, che voleva influenzare il corso e l’evoluzione politica dell’opposizione al regime di Pinochet, intervenendo direttamente sui vertici delle forze principali, i comunisti e i socialisti.

Morto Allende, Honecker fece sostenere finanziariamente l’ala marxista-leninista dei socialisti incarnata dall’ex ministro degli Esteri di Allende, Clodomiro Almeyda, a discapito del segretario Altamirano, il quale deluso dall’opprimente realtà politica della DDR, abbracciò un corso di rinnovamento ideologico del suo partito, spostandolo su posizioni socialdemocratiche, e si trasferì infine a Parigi, nel 1980, per lavorare con Mitterand. La lezione cilena spinse la dirigenza della SED a rivedere la propria dottrina in materia di ricorso alla violenza rivoluzionaria nei Paesi del Terzo Mondo, dove la DDR era impegnata nell’addestramento dei quadri politici e combattenti delle guerriglie liberazione nazionale in Asia, Africa e Sudamerica.

Nel caso della resistenza armata clandestina contro Pinochet, sebbene la documentazione negli archivi della Stasi sia molto frammentata, risulta che il training strettamente militare richiesto dai fuoriusciti cileni avvenne a Cuba e in Urss, mentre la DDR si fece carico della preparazione teorica e strategica, stando a un documento conservato, datato 4 agosto 1989, fino alla fine degli anni Ottanta. Quando nel 1991 Erich Honecker, in fuga dalla giustizia tedesca, chiese asilo all’ambasciata cilena a Mosca, i media si domandarono sorpresi perché l’ex segretario generale della SED volesse andare proprio lì. La risposta era semplice: l’ambasciatore del Cile a Mosca era Clodomiro Almeyda, che non aveva dimenticato l’ospitalità e la protezione ricevuti da esule nella DDR.

ALL’OMBRA DELLE ESITAZIONI DI BONN, INFELICI RAPPORTI CLIENTELARI E TORBIDE ATTIVITÀ DEL BND

Anche in Germania Ovest il golpe di Pinochet e la brutalità della giunta suscitarono scalpore e sgomento. Nella società civile come nell’establishment politico la polarizzazione degli anni precedenti ebbe i suoi strascichi nella contrapposizione fra chi, da posizioni conservatrici, esprimeva comprensione per la deposizione di un governo giudicato troppo radicale e chi invece reclamava la rottura immediata delle relazioni diplomatiche e commerciali con il nuovo regime e l’accoglienza delle centinaia di persone che cercavano rifugio nella sede dell’ambasciata tedesco-occidentale a Santiago.

Proprio su questo terreno il governo social-liberale tedesco-occidentale diede la sua prova meno brillante, indugiando per settimane ad aprire le porte dell’ambasciata e a concedere l’asilo ai rifugiati, ufficialmente per timore di accogliere elementi estremisti coinvolti in attentati e atti di violenza politica commessi nei mesi precedenti, più probabilmente per non scontentare gli americani e gli altri alleati europei con iniziative non coordinate. Solo a metà ottobre vi fu un cambio di rotta e la Repubblica federale accolse oltre 4.000 cileni in cerca di protezione, fino al blocco dei salvacondotti disposto dalla giunta il 10 dicembre 1973 contro chi cercava riparo in un’ambasciata straniera.

I dispacci inviati a Bonn dall’ambasciatore Kurt Lüdde-Neurath smentiscono l’attribuzione della causa di questa condotta esitante delle istituzioni tedesco-occidentali all’influenza nel corpo diplomatico di ex nazisti simpatizzanti per il regime di Pinochet. Lüdde-Neurath era effettivamente un ex membro delle SA, aveva fatto carriera in diplomazia durante la guerra come attaché a Tokio, dopo il 1945 come console nella Spagna franchista ed era stato ambasciatore in Indonesia nel 1966, assistendo ai massacri di comunisti perpetrati dal generale golpista Suharto. I carteggi diplomatici attestano che il ministro di Bonn a Santiago si impegnò sollecitando ripetutamente la concessione dell’asilo ai perseguitati cileni che domandavano aiuto alla sua ambasciata e mise anche disposizione la sua residenza privata. Furono piuttosto differenze di vedute fra socialdemocratici e liberali a ostacolare il raggiungimento di una posizione netta del governo. Il risultato fu il congelamento delle relazioni diplomatiche, non ufficialmente interrotte ma ridotte al minimo, e uno stallo politico, alla cui ombra trovarono spazio infelici rapporti clientelari coltivati da taluni rappresentanti diplomatici e torbide attività dei Servizi.

Il tasto dolente è la vicenda della Colonia Dignidad, setta religiosa tedesca filonazista organizzata nel 1961 dal predicatore laico Paul Schäfer, latitante fuggito dalla Germania per denunce pendenti a suo carico per molestie su minori. Nell’insediamento che riproduceva un villaggio bavarese ai piedi delle Ande, a oltre 300 km a Santiago, vigeva un regime di terrore, lavoro forzato in condizioni di semi-schiavitù, abuso di droghe e psicofarmaci, violenze sulle donne e abuso sessuale di minori rapiti o sequestrati. La Colonia era anche al centro di affari illegali e traffici di armi (sui conti esteri della setta e da dove provenissero i cospicui fondi a disposizione di Schäfer non è mai stata fatta chiarezza) e, dopo il colpo di stato del 1973, divenne un partner strategico della giunta di Pinochet, trasformandosi in un centro di detenzione, tortura e assassinio degli oppositori politici arrestati dalla DINA. Il tutto, per decenni, nella più totale impunità.

Nell’archivio della setta, custodito presso l’Archivio di Stato cileno e consultabile dal 2019, sono conservati i verbali delle telefonate effettuate dai collaboratori di Schäfer, che il paranoico leader-guru faceva registrare e trascrivere, e copie dei documenti diplomatici prodotti dall’ambasciata tedesco-occidentale a Santiago, prova di un collegamento diretto fra funzionari dell’ambasciata e la Colonia. Tali fonti, visionate dal giornalista Christian Bergmann, attestano che fin dal 1970 la setta ordinò armi in Germania Ovest per rovesciare Allende, attraverso il più noto trafficante di armi tedesco del periodo, Gerhard Mertins.

Ex ufficiale delle Waffen-SS, paracadutista pluridecorato, Mertins aveva fatto parte del commando speciale delle SS che al comando di Otto Skorzeny liberò Mussolini dalla prigione del Gran Sasso nel settembre 1943. Negli anni Cinquanta era stato consigliere militare dell’esercito egiziano e collaboratore di vari Servizi segreti occidentali, nel 1963 aveva fondato in Svizzera con Skorzeny la società Merex AG, specializzata in esportazione di armi per conto del Servizio iraniano SAVAK e del BND, di cui fu agente (nome in codice Uranus) dal 1956. Mertins aveva un rapporto speciale con il Cile, in particolare con il capo della DINA Contreras e con la Colonia, che sostenne attivamente attraverso il Circolo degli amici della Colonia Dignidad, fondato nel 1978, che contava fra i suoi iscritti anche taluni uomini politici tedeschi.

Anche membri dell’ambasciata tedesca in Cile ebbero strette relazioni d’affari e complicità con la setta, fino a metà anni Ottanta, quando l’ambasciatore Horst Kullak-Ublick vietò ai suoi funzionari di intrattenervi rapporti. Il suo predecessore Erich Strätling, incaricato nel 1977 dal Ministero degli Esteri di indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse nella Colonia e denunciate da Amnesty International, dichiarò che le accuse di abusi e torture erano infondate. Dopo la fine della dittatura militare in Cile nel 1990, non solo le accuse si rivelarono vere, ma emerse anche che l’ambasciatore tedesco era stato in rapporti di amicizia con Schäfer e Mertins, aveva protetto e sostenuto la setta con procedure privilegiate nel disbrigo delle questioni consolari e pensionistiche e aveva interessi privati in un’impresa mineraria cilena.

È accertato che il BND, attraverso Mertins, fosse a conoscenza di questi rapporti e del traffico di armi destinate ai generali golpisti che volevano rovesciare il governo di Allende. L’intelligence della Germania Ovest non intervenne a impedirlo, al contrario lasciò fare. La contraddizione fra l’agire dei governi Brandt e Schmidt e quella del loro Servizio segreto si può spiegare soltanto con la sudditanza di segmenti del BND verso gli americani, il valore della Colonia Dignidad come testa di ponte per le strutture informative del BND in Cile e l’influenza che ancora avevano all’interno del BND uomini legati al passato nazista, fortemente ostili alla compagine di governo socialliberale e con forti legami di lealtà e collaborazione con i numerosi criminali di guerra tedeschi fuggiti in Sudamerica, moltissimi proprio in Cile.

Uno di questi, fra i più ricercati al mondo, Walther Rauff, operava nella direzione della DINA. Ormai quasi settantenne, l’inventore delle camere a gas mobili, coi quali furono assassinati almeno mezzo milione di ebrei in Polonia e Unione sovietica, comandò nel 1973 un nucleo speciale composto da esuli tedeschi, che organizzò la costruzione di un campo di concentramento per oppositori di Pinochet nel deserto di Atacama e, successivamente studiò come fare sparire i corpi dei prigionieri assassinati per cancellare le tracce degli orribili crimini della giunta.