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Via Gradoli. L’assurda vicenda della «seduta spiritica» nei verbali della Commissione Stragi

Redazione Spazio70

Una dettagliata ricostruzione delle settimane immediatamente precedenti alla scoperta del «covo» Br

Zappolino è una frazione di Valsamoggia, nei pressi di Bologna. Nel lontano 1325 vi si combatté una battaglia tra guelfi e ghibellini con trentacinquemila fanti, cinquemila cavalieri e oltre quattromila uomini rimasti sul terreno. L’evento viene considerato tra i più grandi scontri militari del medioevo italiano, destinato a restare per chissà quanto tempo l’unico capace di far balzare all’attenzione degli storici questo tranquillo borgo dell’Appennino Bolognese. E così sarebbe stato ancora a lungo se il professor Alberto Clò, il 2 aprile del 1978, non avesse pensato di riunire, nella sua dimora di campagna proprio a Zappolino, un gruppo di amici per un pranzo domenicale a base di salsicce.

Romano Prodi

Clò, professore di economia, esperto di politiche energetiche, vent’anni più tardi ministro del governo Dini, era all’epoca uno dei leader di un gruppo di «giovani adulti», tutti orbitanti attorno all’università di Bologna, che nella gerontocrazia italiana di fine anni Settanta aveva già saputo farsi largo. Tra loro, il più maturo era Romano Prodi, mentore dello stesso Clò, destinato a occupare pochi mesi dopo l’ambita poltrona di ministro dell’Industria. Non mancavano Mario Baldassarri, futuro ministro di Berlusconi, all’epoca trentunenne professore di economia, e il professor Fabio Gobbo, giovane economista.

Ancora oggi i protagonisti di quel pranzo giurano che quel pomeriggio, a casa Clò, si sia tenuta una seduta parapsicologica volta a scoprire la collocazione della prigione di Moro, rapito dalle Br pochi giorni prima in via Fani, a Roma.

«SI CHIAMA UN PERSONAGGIO E IL PIATTINO SI MUOVE, MA NON PERCHÉ QUALCUNO LO SPINGA»

Mario Baldassarri è stato forse uno di quelli che negli anni ha dimostrato maggiore loquacità sulla strana riunione di Zappolino. Ascoltato nel 1998 dalla Commissione Stragi, descrisse un contesto ludico, amicale, pieno di interruzioni dovute alla presenza di ben cinque bambini. «Venimmo tutti invitati a pranzo presso la casa di campagna del professor Clò», disse Baldassarri a proposito della seduta, «ma non io potei accettare perché ebbi a mia volta ospiti a Bologna. Arrivai quindi alle quattro del pomeriggio con la mia ex moglie e i miei due figli. Ricordo la pioggia e gli amici fare questo gioco del piattino in una atmosfera rilassata. Alcuni cucinavano salsicce, mentre le donne preparavano il caffè […]. Pensai subito a uno scherzo per prendermi in giro, e proprio per questo provai a vedere chi muoveva il piattino, quale dito lo toccasse. Per quello che vidi, il piattino si muoveva per conto suo. La cosa è ridicola e imbarazzante, ma io continuo a dire questo».

Uno degli spiriti evocati durante la seduta sarebbe stato quello di Giorgio La Pira, sindaco democristiano di Firenze negli anni Sessanta. La seduta, secondo Baldassarri, funzionava così: «Si chiama un personaggio e il piattino si muove, ma non perché qualcuno lo spinga. Faccio l’economista, uso anche un po’ di matematica e mi rendo conto che è una assoluta apparente sciocchezza quella che vi sto raccontando. Però questo ho visto e questo dico. Il piattino in alcuni momenti si muoveva molto lentamente, in altri con estrema velocità. Non è che girasse pian piano sopra le lettere: in alcuni momenti vibrava velocissimo e poi all’improvviso si fermava sopra una lettera».

«DIFFICILE PENSARE CHE LE ANIME DEI MORTI POSSANO MANIFESTARSI TRA VIA VAI DI SALSICCE E CAFFÈ»

Giovanni Pellegrino

Baldassarri confermò agli increduli commissari anche le parole risultanti dalla seduta: «Che io ricordi non uscì fuori la parola Viterbo per intero, ma soltanto le lettere VT poi Bolsena e quindi Gradoli. Viterbo e Bolsena sono conosciute», dice il professore, «Gradoli no, nessuno conosceva un paese con questo nome. Solo dopo, consultando una cartina stradale, ci accorgemmo che intorno al lago di Bolsena esiste il paese di Gradoli». Gli spiriti, insomma, si sarebbero mostrati coerenti perché Gradoli, paesino di poco più di mille abitanti, si trova vicino al lago di Bolsena, in provincia di Viterbo, ma forse anche un po’ dispettosi perché non nel viterbese bensì in una via di Roma nord, appunto via Gradoli, in quell’aprile del 1978, c’è proprio il covo che ospita due pezzi da novanta dell’organizzazione brigatista: Mario Moretti e Barbara Balzerani.

Il dibattito che si sviluppò in Commissione Stragi dopo questa testimonianza fu interessante ed emblematico. Il presidente Giovanni Pellegrino, uomo pragmatico di scuola Pci, non credette allo spiritismo e lo disse chiaramente osservando con una certa perspicacia che chi al contrario ha fede nel potere delle anime evocate raccomanda di solito alcune accortezze: per esempio la presenza di un medium e soprattutto di una atmosfera particolare, fatta di silenzio assoluto, molto diversa da quella descritta da Baldassarri. Paradossalmente a un racconto come quello narrato dall’economista bolognese potrebbe difficilmente credere proprio chi è disposto a giurare sul potere delle sedute medianiche. «Anche chi ha fede nello spiritismo non riuscirebbe a pensare che le anime dei morti possano manifestarsi nella disordinata atmosfera che avete descritto come partecipanti», ebbe modo di osservare Pellegrino, «con bambini che giocano, via vai di salsicce e caffè».

«IL MIO CONFESSORE MI TIREREBBE LE ORECCHIE, MA I CATTOLICI SONO PECCATORI E IO LO SONO»

Il sospetto da parte della Commissione fu insomma che la seduta parapsicologica sia stata soltanto un espediente per coprire l’autore di una soffiata. Lo stesso presidente Pellegrino rivelò di aver partecipato da giovane a sedute medianiche, esperienza, questa, utilizzata per sviluppare un ragionamento sottile: «Quello che ho trovato inverosimile in tutte le vostre dichiarazioni è che abbiate sempre escluso che qualcuno spingesse il piattino. Come fa lei, Baldassarri, a essere sicuro che fra i partecipanti non ce ne fosse almeno uno in possesso di una informazione che sapientemente affidava al piattino?»

La convinzione di Pellegrino è stata del resto suffragata da una serie di testimonianze: Adriana Faranda, parte attiva del gruppo brigatista che gestì l’operazione Moro, in una audizione presso la Commissione Stragi,  affermò che il covo di via Gradoli, «era stato abitato anche da esponenti di altre colonne o da persone che transitavano per Roma», un elemento questo che avrebbe forse potuto far «arrivare una indiscrezione negli ambienti universitari»*.

Perché, si domandò quindi Pellegrino, dovrebbe essere così ingiusto o forzato il sospetto che il nome di Gradoli sia arrivato in ambienti universitari di Bologna attraverso il «tam tam» del movimento?

Sulla tesi dell’escamotage per coprire una fonte forse troppo prossima a uno dei protagonisti della seduta spiritica si ritroveranno singolarmente d’accordo, in tempi diversi, politici come Andreotti **, Forlani ***, Cossiga e gli ex brigatisti Morucci e Franceschini. Quando alla fine della lunga audizione i commissari faranno notare a Baldassarri che la partecipazione a sedute medianiche è severamente vietata ai cattolici praticanti come lui e Prodi, l’economista se la caverà così: «Il mio confessore potrebbe anche tirarmi le orecchie, ma i cattolici sono peccatori e io lo sono!»

«LE VOSTRE CONGETTURE MI FERISCONO PROFONDAMENTE»

Alberto Clò

Dopo l’audizione di Baldassarri la Commissione Stragi convocò il professor Alberto Clò, che esordì promettendo disponibilità massima e senso di verità nel riferire fatti che hanno «aspetti di irrazionalità». Secondo il professore, essendo quelli i giorni immediatamente successivi al rapimento Moro, l’attenzione degli ospiti si focalizzò su alcuni titoli di giornali nei quali si faceva riferimento all’utilizzo di parapsicologi stranieri per trovare la prigione del presidente Dc. Da qui, sempre secondo Clò, si sarebbe iniziato a discutere del cosiddetto «gioco del piattino» anche come una simpatica idea per passare del tempo considerate le condizioni atmosferiche avverse.

«Al gioco partecipavano tutti», disse Clò ai commissari, «anche se in modo diverso perché coloro che sfioravano il piattino con il dito non potevano essere più di tre, quattro, essendo questo molto piccolo» in evidente contraddizione con quanto sostenuto da Baldassarri («Il piattino si muoveva da solo, è quello che ho visto e che ancora ricordo»).

Quando Pellegrino osservò come una ammissione sulla vera origine dell’informazione sarebbe servita a disinnescare sospetti maggiori, la reazione di Clò fu improntata allo sdegno: «Una congettura che dipinge quanto ho detto come una verità falsa costruita da più persone su questa vicenda è una congettura che mi ferisce profondamente». Clò si disse pronto anche a giurare sulla correttezza dei commensali: «Confermo la mia totale e assoluta stima riguardo al convincimento che nessuna di queste persone avesse dei coinvolgimenti».

IL RUOLO DELL’UFFICIO STAMPA DELLA DC

La catena di passaggi dell’informazione contenente la parola «Gradoli» può del resto essere ricostruita con un grado di relativa certezza in alcuni punti e maggiori dubbi in altri. L’informazione potrebbe essere giunta dall’area del cosiddetto «movimento» spesso definita «contigua» al terrorismo, con la quale le Br hanno spesso avuto rapporti controversi.  «Gradoli» potrebbe quindi essere filtrato da studenti o persone vicine ai professori bolognesi o comunque da soggetti che a loro volta avrebbero recepito l’informazione da ambienti prossimi all’Autonomia.

Un uomo di una certa importanza in questa vicenda è Umberto Cavina, dell’ufficio stampa della Democrazia cristiana, al quale, durante il sequestro Moro, arrivarono svariate indicazioni sulla possibile prigione del presidente Dc. Cavina si limitò a passare tutto, o almeno così disse, al ministero dell’Interno, astenendosi da qualsiasi tipo di valutazione sul merito della attendibilità o meno delle informazioni. Quando gli pervennero due strane soffiate, l’una su un appartamento a Milano e l’altra proprio su «Gradoli», il responsabile dell’ufficio stampa democristiano telefonò al capo di gabinetto del ministro Cossiga, Luigi Zanda ****. Quest’ultimo, a sua volta redasse un appunto recante le seguenti informazioni: «Casa Giovoni, via Monreale 11, scala d, int.1, piano terreno, Milano» e «lungo la stradale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località Gradoli, casa isolata con cantina». *****

«GRADOLI». UNA PAROLA CHE TORNA DIVERSE VOLTE NELL’ODISSEA DEL CASO MORO

L’appartamento di via Gradoli

Cavina non ricordò chi gli avesse dato la prima segnalazione; la seconda, quella contenente la parola «Gradoli», venne invece fornita allo stesso Cavina da Prodi, andato appositamente presso la sede della Dc. Naturalmente balza subito agli occhi una differenza: quando Prodi, Clò e Baldassarri parlarono di fronte ai commissari, dissero che gli «spiriti» avrebbero suggerito tre località: Viterbo, Bolsena, Gradoli. ******

L’appunto redatto da Zanda sembra, invece, essere stato «arricchito» da informazioni di provenienza sconosciuta. Se Cavina disse che l’appunto di Zanda era fedele a quanto comunicato dallo stesso addetto stampa della Dc, è chiaro che una soffiata tanto dettagliata non poteva essere certo stata il frutto di una seduta parapsicologica. Un aspetto di non poco conto, perché la segnalazione passata da Zanda alla Direzione Generale di Ps il 5 aprile 1978 diede il via a un inutile blitz delle forze dell’ordine in alcuni casolari di Gradoli.

La parola «Gradoli» tornò diverse volte nell’odissea del caso Moro. Il 18 marzo 1978, due giorni dopo l’agguato di via Fani, la polizia fallì una perquisizione nel covo Br della via omonima: nessuno aprì la porta, i poliziotti rinunciarono a perquisire l’appartamento e se ne andarono. Il 2 aprile ci fu la seduta spiritica di Zappolino; il 6 aprile l’irruzione in alcuni casolari nel paese Gradoli. Il 18 aprile, infine, il covo venne finalmente scoperto a causa di una infiltrazione d’acqua: ancora «caldo», ma senza la coppia Moretti-Balzerani.

 


RIFERIMENTI

* Commissione Stragi, trentunesimo resoconto stenografico, seduta mercoledì 11 febbraio 1998, pag. 1378

** Commissione Stragi, tredicesimo resoconto stenografico, seduta venerdì 11 aprile 1997, pag. 467

*** Commissione Stragi, diciottesimo resoconto stenografico, seduta giovedì 15 maggio 1997, pag. 692

**** Tribunale di Roma, verbale di testimonio senza giuramento, prima Commissione Moro, volume quarantaduesimo, pag. 431

***** Relazione prima Commissione Moro, volume primo, pag. 39

****** Prima Commissione Moro, volume ottavo, pag. 295