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Torino, 1972. Nella notte tra il 30 settembre e il 1°ottobre, tra le mura della cappella del Guarini si verifica un principio di incendio doloso ai danni della Sacra Sindone. Grazie alle molteplici strutture di protezione e alla modesta entità del rogo, la reliquia resta intatta e le fiamme si limitano a danneggiare la tovaglia dell’altare e il drappo che ricopre una delle custodie dell’antico lenzuolo. Nell’immediato i giornali parlano di «atto vandalico», probabilmente ad opera di uno squilibrato, ma questa spiegazione non convince tutti. Con il passare delle ore l’episodio viene ammantato da una serie di ipotesi che conducono a scenari inquietanti e anche gli investigatori iniziano a prendere seriamente in considerazione la pista «oscura» dei rituali satanici.
Il primo a esprimere pubblicamente perplessità sulla ricostruzione dell’accaduto è Monsignor José Cottino:
«Alla congettura della liturgia sacrilega siamo giunti per esclusione — afferma l’ecclesiastico ad un giornalista del quotidiano La Stampa — dopo aver vagliato e scartato le altre ipotesi possibili: l’attentato o il tentativo di furto. Al di là di ogni considerazione sul “valore commerciale” di una reliquia, escluderei l’ipotesi del furto perché nessun ladro può pensare di riuscire a raggiungere in poche ore la cassa che contiene il lenzuolo, tante sono le inferriate e le casse metalliche che lo proteggono. Chi conosceva così bene la cappella della Sindone da riuscire a raggiungerla in piena notte, doveva anche sapere che rubarla era impossibile, a meno di usare una fiamma ossidrica».
Visto l’innocuo materiale impiegato (alcuni fiammiferi e un po’ di olio per lampade) il cardinale scarta anche l’ipotesi dell’attentato terroristico. Quel fuoco, dunque, non sarebbe stato acceso con l’intenzione di danneggiare la Sindone ma per la celebrazione di un rito, forse di natura esoterica o frutto di una religiosità esasperata partorita dalla mente di qualche esaltato. A suggerire tale ipotesi, secondo il sacerdote, vi sarebbero anche i recenti casi di profanazione di tombe, come quelli verificatisi presso il cimitero abbandonato di San Pietro in Vincoli. Inoltre Torino è una città nota anche per la presenza di numerosi cultori di «arti magiche» e «discipline occulte». Non è tutto. Sul luogo del misfatto, secondo Cottino, vi sarebbero alcuni segni evidenti di una cerimonia, come la bruciatura sulla tovaglia, che presenta un’insolita forma circolare, quasi a formare una sorta di pentacolo. In più nella cappella sono stati rinvenuti i resti di una candela accesa, elemento imprescindibile per quasi tutti i rituali. In data 4 ottobre La Stampa titola così la notizia: «L’ipotesi più probabile sulla misteriosa violazione: un rito di “Magia nera” all’altare della Sindone».
Chiunque sia stato, ha avuto accesso alla cappella tramite il tetto della cattedrale, rompendo una finestra e percorrendo delle scale pericolanti fino a un buio labirinto di corridoi. Nel frattempo la polizia indaga e mentre l’opinione pubblica si divide tra le ipotesi su «vandali» e «messe nere», nonostante le numerose proteste dei cittadini in materia di sorveglianza, la notte del 21 ottobre la Sindone finisce nuovamente sotto attacco.
Dal quotidiano «La Stampa» del 23 ottobre 1972:
«Il maniaco della Sindone ha ripetuto il rito magico. Dopo il primo attentato, gli accessi erano stati murati. Lo sconosciuto ora è sceso dall’organo aggrappandosi alle statue. Ha bruciato il ritratto della principessa Clotilde. Interrogazione alla Camera. Il misterioso individuo che l’altra notte è penetrato nella cappella della Sindone è certamente lo stesso che compì la prima incursione alla fine di settembre. Ha infatti lasciato un fazzoletto bruciacchiato identico a quello che aveva abbandonato dopo la prima impresa. Sembrano anche confermate le ipotesi di “rito magico” avanzate da ecclesiastici qualificati, mentre prima alla supposizione della “liturgia sacrilega” si era arrivati dopo avere escluso l’ipotesi del furto o dell’attentato. Questa volta elementi ben precisi suffragano la tesi. Infatti lo sconosciuto (molte circostanze fanno pensare ad una sola persona) la notte scorsa ha bruciato davanti all’altare un quadretto della principessa Clotilde di Savoia».
Chi è il «maniaco della Sindone» di cui parlano i giornali? Perché agisce? Colpirà ancora? Sono queste le domande che si pongono tutti. Fino a ora non si sa nulla di questo personaggio ma gli inquirenti ipotizzano che si tratti di un uomo giovane e con doti da acrobata, viste le manovre non proprio agevoli che ha dovuto compiere per penetrare indisturbato nella cappella. Nel frattempo, mentre viene installato un antifurto elettronico a tutela della reliquia, giunge una lettera al parroco del Duomo:
«Dovete darmi dei soldi, mezzo milione, altrimenti farò saltare tutto. So adoperare bene la dinamite. Non scherzo. Non fatevi illusioni: è inutile che mi cerchiate, non mi troverete mai! Non bastano i vostri sistemi di allarme e di controllo, anche quelli che avete appena messo in funzione. Io posso colpire quando voglio, nulla mi fermerà. Sono imprendibile. Avete ormai una sola via d’uscita. Fino a oggi ho solo voluto dimostrare che posso entrare e uscire quando voglio. Adesso dovete pagare altrimenti farò saltare tutto!»
Non si hanno certezze circa l’autenticità della lettera, che potrebbe anche essere opera di un mitomane, tuttavia, nonostante i sistemi di allarme, il maniaco continua realmente ad accedere indisturbato alla Sindone, realizzando in totale ben cinque incursioni notturne.
Da «Stampa Sera» del 4 dicembre 1972:
«Un misterioso individuo entra, nelle notti fra venerdì e sabato, nella cappella della Sindone, fa suonare l’allarme e scompare. L’altra notte ha lasciato un fazzoletto intriso di sostanze aromatiche non identificate. Prima aveva appiccato il fuoco alla tovaglia dell’altare. Monsignori e carabinieri fanno indagini. Ricerche tra i seguaci d’uno strano predicatore in Svizzera (…) Per la quinta volta in due mesi il “maniaco” della Sindone è riuscito a entrare nella cappella, ad avvicinarsi al lenzuolo che si dice abbia avvolto il corpo di Cristo insanguinato e a scomparire nel nulla. Quali passaggi misteriosi, quali sotterranei e cunicoli egli conosce? Viene voglia di ricordare le vecchie leggende torinesi, le quali raccontano che l’abate Guarini nel 1600, per costruire la cupola della cappella, tra il Duomo e Palazzo Reale, nel cuore dell’antica Torino, avesse stretto un patto col diavolo, tanto l’opera è ardimentosa».
La vicenda giunge a una conclusione la sera del 30 dicembre, quando il «maniaco» viene colto nell’atto di arrampicarsi lungo una grondaia del Duomo.
«Era agile come un gatto — afferma Antonio Macrì, il giovane che lo ha visto per primo — in pochi secondi è arrivato al tetto. Gli ho gridato di scendere, quello mi ha risposto in inglese: “Go away!” e poi: “Lasciatemi in pace”. Mio fratello è corso ad avvertire il custode e la polizia». Vistosi braccato, l’uomo si convince a scendere. Si tratta di un quarantenne senza fissa dimora, originario di Cerignola, che afferma di chiamarsi Matteo Moccia. La spiegazione che darà dei suoi gesti è a dir poco folle:
«Il Signore non mi ha aiutato, mi sono voluto vendicare. Quando eravamo in carcere insieme, Gesù Cristo non voleva mai giocare a carte con me. Allora gli ho detto: so dove trovarti, quando esco ti vengo a cercare e ti brucio!»