Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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«Sono la mamma di Carlo e Lorenzo. Il primo ha ventidue anni, il secondo venti. Sono i primi di sei fratelli. Sono in prigione da undici e da sette mesi: questa è la terza volta che finiscono dentro. Sono drogati: gli ultimi tempi ormai usavano solo l’eroina. Carlo lavorava in fabbrica come operaio, poi non ha resistito più. Il suo fisico era ormai distrutto. E aveva bisogno di soldi, sempre più soldi, perché doveva aumentare la dose di eroina di giorno in giorno. Così è diventato anche un rapinatore. Se le altre due volte che è stato a San Vittore lo avessero curato, oggi non sarebbe considerato un criminale. Lui aveva anche provato a disintossicarsi: si era fatto ricoverare all’ospedale di Limbiate, ma è riuscito soltanto a ridurre la dose per un po’. Poi è crollato di nuovo. Forse gli è mancato l’aiuto morale. Forse avrebbe avuto bisogno di una ragazza che gli fosse stata vicina: ma appena la gente sapeva che era stato dentro per la droga, lo trattava come un delinquente e lo respingeva. Gli rimanevano così soltanto i vecchi amici, quelli che lo avevano trascinato nel giro degli stupefacenti. Lo stesso destino è toccato all’altro mio figlio, Lorenzo. Per due siringhe che gli hanno trovato in macchina è stato in prigione per quattro mesi. Quando è uscito (in carcere nessuno ha cercato di disintossicarlo) ha ricominciato a drogarsi. Era fuori da venti giorni che l’hanno preso di nuovo: veniva dall’Olanda con una dose piuttosto alta di eroina. Il processo è stato rinviato già cinque volte. Oggi i miei figli vivono malissimo e soffrono. Un giorno usciranno, ma se nessuno fa niente per loro sono sicura che si drogheranno di nuovo».
«Sono la mamma di due ragazzi rinchiusi a San Vittore. Uno si chiama Nicola e l’altra Daniela. Lui ha 27 anni e ha anche un bambino che vive con me. Sono dentro per la droga: eroina. Li trattano come dei criminali. Ma sono malati e nessuno li aiuta a guarire. In prigione riescono a procurarsi droga e vino. Quando vado a trovarli spesso sono ubriachi. Li curano con il bromuro. L’ho saputo da una ragazza che è uscita dal carcere. Glielo mettono nel mangiare: per il sesso, per calmarli. Daniela è finita dentro perché le hanno trovato in casa una bustina di eroina da diecimila lire. I carabinieri l’avevano cercata per interrogarla: una storia del maggio 1974. Quando ho telefonato al maresciallo per sapere che fine aveva fatto mia figlia, mi ha detto: “La portiamo in prigione perché abbiamo trovato una bustina”. “E’ una drogata”, ho detto io, “la troverete per tutta la vita con una bustina se non cercate di curarla. E’ naturale, in casa mia troverete il pane, il vino: in casa di mia figlia, l’eroina”. Daniela aveva incominciato con le amfetamine, poi si era messa a fumare hashish e alla fine è passata alla droga pesante. Adesso che è in prigione beve anche. Ora sta malissimo. Non ragiona più. L’ultima volta che l’ho vista in prigione ha fatto una scenata perché non avevo portato anche il bambino. Non era colpa mia. Mi era stato impedito perché sua mamma è una drogata. La storia di Nicola comincia il 3 dicembre 1974. Quel giorno i carabinieri presero la sua ragazzina: a 16 anni aveva già con se una bustina di eroina. Immediatamente pensarono a mio figlio. E mezz’ora dopo aver fermato la ragazza, sei o sette carabinieri in borghese entrarono nel suo appartamento sfondando la porta. Il mio ragazzo si trovava da me per caso: lui ha una casa per conto suo, se casa si può chiamare. Comunque hanno guardato dappertutto e poi l’hanno portato via. Da allora è a San Vittore e il processo chissà quando ci sarà. Intanto lui si sta consumando a poco a poco in carcere. E’ abbandonato a se stesso. Noi mamme chiediamo solo che i ragazzi come mio figlio vengano curati».
«Sono la mamma di un ragazzo di 20 anni avvelenato dall’eroina. La mia è una esperienza di impotenza. Non sono riuscita a fare niente per lui. E’ diventato completamente paranoico. Non è finito in carcere per puro caso. Quando si è accorto che stava veramente male, ha chiesto aiuto a un medico dell’Istituto di igiene. Per diciotto giorni è stato ricoverato a Villa Turro. Quando è uscito ha deciso improvvisamente di partire. “Vado a trovare la salute in un convento orientale”, mi ha detto lasciandomi. Forse lo ha fatto perché si sentiva respinto da tutti. Io lavoro in un ospedale psichiatrico e mi rendo conto che lo stesso rifiuto che c’è nei confronti dei malati di mente c’è anche per i drogati: anche loro sono considerati “diversi” e quindi da isolare. Anche questo contribuisce a renderli sempre più schiavi dell’eroina. Mio figlio era arrivato a farsi otto buchi al giorno. Per comprare la droga aveva venduto tutto ciò che possedeva ed era diventato schiavo di chi gliela forniva».
«Sono la mamma di Claudio. Il mio ragazzo ha studiato fino a un anno fa. Poi è venuto a lavorare con me nel nostro garage. Sono vedova. In casa andava tutto bene finché il mio ragazzo non ha incontrato due mascalzoni. Due vecchi dell’età che avrebbe oggi suo padre. Quando ho visto quelle due facce, ho chiesto a mio figlio: “Chi sono quelli lì?”. Mi ha risposto: “Continuano a tormentarmi, ma stai tranquilla. Io non faccio niente di male”. E la sera ha cominciato a uscire con loro. Finché una notte, al parco, Claudio incontra due carabinieri vestiti da barboni. “Di’, ce l’hai un po’ di roba da vendere?”, gli hanno chiesto. E lui: “Io non la vendo”. Ma i carabinieri hanno insistito: “Te la puoi procurare?”. Claudio ci è cascato: “Se volete là c’è uno che la vende: ve la posso far dare”. L’hanno arrestato. E’ successo il mese scorso. Non aveva mai rubato, non aveva mai fatto niente di male. Ma gli hanno dato due mesi di galera. Non posso rassegnarmi. A San Vittore cosa gli fanno a questi ragazzi che si drogano? Ho tanta paura che li rovinino del tutto».
«Sono il fratello di un uomo di 32 anni minato dall’eroina. E’ stato a lungo in carcere. Quando è uscito l’ultima volta, mi ha detto che in prigione era un inferno e che avrebbe preferito morire piuttosto che tornare dentro. E’ stato per non so quanto tempo in cella di isolamento: “Lì si impazzisce”, mi ha confessato con le lacrime agli occhi. Adesso è fuori di prigione. Vuole stare da solo per cercare di liberarsi dalla droga. Lui odia l’eroina, ma non può farne a meno. A volte ha dei momenti di lucidità e allora dice: “Come ho cominciato, voglio finire”. Ma si capisce che da solo non ha la forza. E’ a questo punto che bisognerebbe intervenire per aiutare i drogati: non solo tenendoli in carcere. Il fatto è che mancano le strutture. Mio fratello ha anche provato a farsi ricoverare in un ospedale di Milano, ma è stato tutto inutile. “Tanto”, diceva, “la droga circola anche lì”».