Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.
di Gianluca Falanga
Lo conoscono in pochi, al di fuori degli addetti ai lavori. Werner Irmler nacque a Kühnau (oggi Kuniów), un piccolo paese dell’Alta Slesia (oggi in Polonia) il 15 aprile 1950. Suo padre era operaio, sua madre casalinga. Terminata l’ottava classe della Volksschule (corrispondente della terza media in Italia) cominciò l’apprendistato di commerciante, ma non riuscì a completarlo per la guerra. Costretto a fuggire con la famiglia verso il Brandeburgo, si trasferì a Joachimsthal, nel distretto di Barnim. Lì, nell’estate 1948, intraprese un nuovo apprendistato, questa volta come forestale. Contemporaneamente, entrò nel partito comunista Sed, abbracciando l’ideologia marxista-leninista ma anche intuendo che questo gli avrebbe aperto possibilità di carriera e crescita personale e culturale: voleva studiare. Nel 1951, completata la scuola per forestali, fu assunto al Ministero per l’Agricoltura e la cura del patrimonio forestale del Brandeburgo, lavorando come istruttore forestale distrettuale a Zehdenick. L’anno successivo entrò nella Stasi, prima a Potsdam e poi a Berlino nella II sezione della Divisione IX, che coordinava e supervisionava le attività investigative penali della polizia segreta in tutto il paese.
Dal suo fascicolo personale risulta essere stato addestrato nel marzo- aprile 1953 come ufficiale per gli interrogatori, ma si occupò principalmente di attività amministrativa e di supervisione delle indagini. In quella posizione, unitamente alla sua passione per la gestione dell’ecosistema forestale, cominciò a interessarsi per il funzionamento del sistema di gestione delle informazioni dell’apparato di sicurezza, di cui riconobbe presto tutti i limiti e i gravi deficit. I problemi della Stasi, lamentati dall’autorità politica negli anni Cinquanta, gli permisero di fare carriera come ufficiale, mentre procedeva di pari passo il suo impegno attivo nelle articolazioni del Partito.
Irmler era un tipico esponente di una generazione più giovane e dinamica rispetto a quella di Mielke e dei comandanti della Stasi, che venivano dalla lotta clandestina antifascista e dai campi di concentramento nazisti. Erano giovani ambiziosi, determinati e interessati a crescere nel loro contesto attraverso la formazione culturale, dotandosi di conoscenze e competenze professionali moderne che potevano essere messe con profitto al servizio dell’apparato, del Partito e della società socialista. Negli anni Cinquanta, la Stasi non aveva potuto dotarsi di un proprio sistema di analisi, il motivo è semplice: il Servizio tedesco-orientale era stato organizzato sotto stretta tutela sovietica e lavorava sostanzialmente per l’apparato informativo del Cremlino, che ne sfruttava il contributo informativo secondo i propri interessi e obiettivi, talvolta senza nemmeno informare i tedeschi dei risultati del loro lavoro operativo.
La struttura incaricata di custodire e gestire le informazioni acquisite era allora la Divisione schedari e statistica, ribattezzata nel 1952 Divisione XII, che amministrava l’archivio centrale della Stasi a Berlino. Questa struttura operava a livello centrale la registrazione di tutte le persone attenzionate e i fascicoli aperti o archiviati. Le possibilità di reperire le informazioni attraverso gli schedari erano ancora molto limitate, la circolazione delle stesse all’interno dell’apparato era lenta (si usavano i corrieri) e poco funzionale, le capacità analitiche degli archivisti, ai quali era affidata la produzione di relazioni e statistiche, erano rudimentali.
L’analisi è un momento chiave dell’intelligence moderna, che è in sostanza un processo intellettuale. La prima generazione del personale della Stasi era culturalmente impreparata (negli archivi si mettevano gli «sfigati», chi era più anziano, fisicamente meno in forma o caratterialmente introverso e non corrispondente all’immaginario eroico del soldato čekista) e intellettualmente poco flessibili, irrigiditi dal fanatismo ideologico e dai traumi di guerra. Per fare un esempio, nel 1959 un ufficio che richiedeva una informazione all’archivio centrale doveva attendere una risposta per almeno 3 settimane, dieci anni dopo addirittura 5 settimane, a causa del numero sempre più crescente di tali richieste (circa 2 milioni all’anno).
I problemi erano noti, sia alla direzione della Stasi che al Partito. Dopo la rivolta operaia del giugno 1953, i vertici della Sed lamentarono che la Stasi non era capace di assolvere al proprio compito ovvero quello di proteggere il Partito informandolo di ogni possibile minaccia al suo potere: la polizia segreta non era stata in grado di prevedere né reprimere la sollevazione, soffocata solo grazie al tempestivo intervento armato dei sovietici. Tre anni dopo, un duro conflitto scatenatosi fra il Primo segretario del Comitato centrale della Sed Walter Ulbricht e l’allora capo della Stasi Ernst Wollweber, generò l’impulso determinante per una profonda riorganizzazione dell’apparato di sicurezza, partendo da un vero e proprio riorientamento strategico della polizia segreta.
Il conflitto viene presentato nei manuali di storia come uno scontro di potere interno alla dirigenza nella fase della destalinizzazione. Un’analisi più attenta dei documenti, in particolare dei verbali del Politbüro e delle sedute del Kollegium, organismo di vertice della Stasi, rivela come il conflitto vide contrapporsi due diverse concezioni sui compiti della polizia segreta: Wollweber era del parere che la dissidenza ideologica dovesse essere materia del Partito e non del Servizio segreto, salvo se questa assumeva forme organizzate; inoltre la Stasi avrebbe dovuto limitarsi alle classiche competenze di una intelligence: spionaggio e controspionaggio contro l’Occidente.
Ulbricht era invece di opposto avviso: l’organo čekista, «scudo e spada del Partito», doveva andare ben oltre le funzioni classiche, facendosi sensore di ogni disfunzione del sistema politico, sociale ed economico, perché il nemico sarebbe stato pronto ad approfittare della coesistenza pacifica e della destalinizzazione, letta da Ulbricht come momento di debolezza e incertezza ideologica, per destabilizzare il socialismo con una guerra segreta ideologica diffusa, che avrebbe investito ogni aspetto della vita pubblica e privata nella Germania orientale.
Erich Mielke alla fine degli anni Cinquanta (fonte: Archivio federale tedesco)
Subentrato alla fine del 1957 a Wollweber, contro il quale aveva intrigato, il nuovo capo della Stasi Erich Mielke tradusse l’idea di Ulbricht nel concetto di «eversione politico-ideologica» o semplicemente PID (politisch-ideologische Diversion). Ogni orientamento o comportamento che deviava dalla norma di vita socialista decisa dal Partito, ogni disfunzione del sistema, ogni dinamica o evento che poteva minare il dominio del Partito, era da ricondurre alla sotterranea aggressione permanente del nemico imperialista: il tedesco dell’est che tentava di fuggire o diventava dissidente, che rifiutava di subordinarsi all’ordine collettivista, che assumeva comportamenti asociali perché non lavorava e non partecipava entusiasta alla vita pubblica nelle forme organizzate e controllate dal Partito, che simpatizzava con lo stile di vita occidentale, era solo manifestazione della silenziosa azione disgregante dell’Occidente, che avrebbe sfruttato qualsiasi debolezza del nemico pur di sabotare il socialismo.
Per rispondere efficacemente, proteggendo lo Stato e la società socialista ovvero il potere assoluto e incontrastato del Partito, la Stasi doveva estendere la propria sorveglianza a tutto o quasi, doveva entrare in ogni ambito dello Stato e della società, in ogni istituzione e organizzazione, per aiutare il Partito a riconoscere o prevedere e sopprimere sul nascere qualsiasi movimento e momento di difformità potesse disturbare il consolidamento del sistema socialista. La dottrina del PID divenne il cardine della nuova dottrina di sicurezza con la quale la Repubblica democratica tedesca si preparò ad affrontare gli anni della distensione.
Per assolvere a questa nuova funzione di sensore di ogni disfunzione e apparato di controllo generale della società, la Stasi mutò da una modesta polizia segreta di stampo prussiano-sovietico in un gigantesco e tentacolare Moloch della sicurezza, un apparato che alla fine della sua storia, con i suoi quasi centomila uomini, raggiungerà il primato di più grande apparato di sicurezza del mondo comunista in proporzione al numero degli abitanti (appena 16,5 milioni circa, meno di 90 cittadini adulti per ogni funzionario, senza contare gli informatori).
A stimolare questo processo non fu tuttavia solo il carattere paranoico di un potere repressivo, bensì anche una spinta ideale e utopistica positiva, costruttiva, la fede incondizionata nella programmabilità e regolabilità dei processi sociali, la convinzione che qualsiasi disturbo del sistema potesse essere rimosso, al fine di efficientarlo al massimo. L’attività informativa della Stasi poteva mettere l’autorità politica, cioè il Partito, in condizione di eliminare alla radice ogni forma di devianza e criminalità. Ad alimentare questa fede, in un periodo – fine anni Cinquanta, primi anni Sessanta – in cui il programma spaziale sovietico induceva a ritenere possibile che il progresso scientifico e tecnologico avrebbe dimostrato la superiorità del socialismo sul capitalismo, contribuì la disciplina cibernetica, accolta nei paesi comunisti come salvifica, quasi miracolosa perché prometteva di legittimare il dirigismo su basi matematiche tramite lo studio di sistemi complessi.
In altre parole, bastava raccogliere abbastanza dati e saperli vagliare, trattare e interpretare per programmare e implementare la costruzione della società socialista con metodo scientifico (e in quanto tale infallibile).
L’impulso della cibernetica, l’acquisizione dei suoi principi, ispirò l’organizzazione di un moderno e più efficiente sistema di analisi e circolazione delle informazioni interno alla Stasi, funzionale al suo nuovo ruolo secondo la dottrina del PID. Dando seguito alle critiche mosse dai vertici del Partito, Mielke affidò proprio a Werner Irmler e al gruppo dei «cibernetici» della Stasi (i colonnelli Lothar Schwock, Rudi Taube e Günther Hackenberg, per citare i principali) il compito di studiare e sviluppare i principi e l’architettura di quello che, dall’estate 1965, entrerà in funzione col nome di Sistema integrato di gestione ed elaborazione informativa e che, con poche modifiche, resterà vigente fino al 1980, ossia fino all’introduzione dei terminali e delle banche dati elettroniche, che resero obsoleti i tradizionali schedari cartacei.
Già nel 1957 Mielke assegnò a Werner Irmler la direzione della Divisione Informazioni, che trasformò in un organismo più articolato e professionale, ribattezzato Raggruppamento centrale Informazioni (Zentrale Informationsgruppe, ZIG), con compiti di supervisione e coordinamento della gestione delle informazioni dell’intero apparato. Fu il primo passo per realizzare l’aspirata sistematizzazione dell’attività di gestione informativa e di analisi. Nel 1960, una prima direttiva ministeriale (n. 584/60) regolamentò l’attività di informazione diretta dei vertici politici e istituì distaccamenti decentrali del ZIG (cosiddetti Infogruppen) a livello di amministrazioni distrettuali e nelle divisioni centrali a Berlino.
A ogni livello (centrale-distrettuale-circondariale) il sistema informativo della Stasi fu collegato e addentellato con le strutture amministrative del Partito ai rispettivi livelli (nazionale, regionale e comunale), che per competenza territoriale o specifica dovevano ricevere le informazioni dalla Stasi. Fu aperta anche una fase sperimentale per sviluppare nuovi schedari più funzionali alla nuova dottrina di sicurezza e al lavoro di analisi matematica. La fase sperimentale si concluse alla fine di luglio 1965, quando una nuova ordinanza del ministro (n. 299/65) istituì il Raggruppamento centrale di Analisi e Informazione (Zentrale Auswertungs- und Informationsgruppe, ZAIG), assegnandone ancora la direzione a Werner Irmler, che per meriti fu nominato generale.
Lo ZAIG divenne rapidamente un organismo fondamentale per il funzionamento della Stasi, il suo «cervello», al quale era connesso il «sistema nervoso» dei centri di analisi periferici (AIG). Sotto la direzione di Irmler, lo ZAIG scavalcò per importanza la «memoria» dell’apparato, cioè l’archivio, concentrando tutte le funzionalità complesse del Servizio: il vaglio e lo studio dell’input informativo, la distribuzione delle informazioni a tutti i gangli dell’organizzazione, la produzione di relazioni informative, a cominciare da quelle dirette all’autorità politica a tutti i suoi livelli, l’ottimizzazione dei processi e delle strutture dell’intero apparato, l’effettuazione di controlli e verifiche dell’efficacia e dell’efficienza operativa di tutte le strutture di servizio dell’apparato, la pianificazione e l’elaborazione di normative e disposizioni che regolavano e miglioravano il lavoro del Servizio, la gestione del comparto informatico, compresa la cura del sistema di scambio dati con gli altri Servizi del Patto di Varsavia (programma SOUD).
Allo ZAIG erano subordinate la Divisione XII (archivio e schedari), la XIII (centro informatico) e l’ufficio legale della Stasi. Fra il 1965 e il 1970 il generale Irmler produsse gli elaborati principali che posero le basi teoriche per l’implementazione del sistema di analisi. Nella sua tesi di laurea, conseguita nel 1965 all’Accademia di Giurisprudenza della Stasi a Potsdam, analizzò i problemi di gestione e incanalamento dei flussi informatici fra i vari livelli dell’apparato, nella sua tesi di dottorato, consegnata nel 1970, si dedicò invece allo sviluppo delle capacità prognostiche, che avrebbero potuto consentire alla Stasi di riconoscere dinamiche e intenzioni eversive prima che queste maturassero e si manifestassero compiutamente, assicurando al Partito la facoltà di intervenire con le opportune contromisure.
Irmler impose il principio che ogni singolo funzionario della Stasi era tenuto a trasmettere ogni informazione raccolta al centro di analisi della struttura competente per la sorveglianza di un certo territorio o ambito competente per quel genere di informazione. Ciò doveva avvenire dentro un sistema piramidale nel quale, primo, le informazioni venivano filtrate e riassunte mano a mano che venivano trasmesse verso l’alto, fino agli organi apicali del Servizio e, secondo, le informazioni di una struttura, nei limiti imposti dalla compartimentazione, venivano sistematicamente scambiate e incrociate con altre strutture dell’apparato, generando reti.
Al posto di un sistema di comunicazione interna rigidamente gerarchico, ne prese forma uno di flussi informativi in continuo movimento fra le «linee», cioè fra le strutture e fra i diversi livelli amministrativi dell’organizzazione. Raccogliendo i risultati di uno studio realizzato dal colonnello Schwock sulla determinazione algoritmica del fabbisogno informativo, lo ZAIG si incaricò di presentare alle strutture periferiche dell’apparato piani annuali del loro fabbisogno informativo specifico per orientare la raccolta impiegando in maniera mirata le risorse operative e istruendo gli informatori. Con questi piani i capi di tutti gli uffici potevano precisare i loro obiettivi informativi e sviluppare relativi piani di lavoro. Ciò rispondeva alla visione di Irmler maturata nella sua tesi di dottorato del 1970, intitolata Sviluppo qualificato dell’attività prognostica come componente del sistema di comando e direzione scientifica del Ministero per la Sicurezza di Stato.
Irmler non fu solo l’architetto del sistema di analisi della Stasi, ma anche colui che preparò l’introduzione dello strumento che consentì di sviluppare le capacità prognostiche e di operatività preventiva, desiderata dal Partito e teorizzate dallo stesso capo dello ZAIG. Dopo cinque anni di sperimentazione, furono introdotte le cosiddette Kerblochkarten (KK), schede perforate a traforazione manuale, che consentivano l’immissione codificata in serie alfanumeriche di informazioni e il loro utilizzo per l’attività analitica per mezzo di apparecchiature di selezione, potenziando sensibilmente le capacità analitiche e investigative del Servizio.
Le schede KK permisero alla Stasi di svincolare la registrazione di informazioni sensibili su persone e circostanze dalla conduzione di indagini formalizzate, divennero cioè strumento di schedatura di massa, anche di persone non sospettate o indagate per attività illegali o ostili al regime: potevi non avere commesso alcun reato, ma se un qualche elemento nella tua vita risultava interessante o rilevante in termini info-operativi chiunque poteva essere schedato e la raccolta di materiale su di te, anche se non confluiva in un procedimento operativo formalizzato, restava in giacenza nei depositi informativi delle diverse strutture della Stasi di competenza e poteva essere utilizzato in qualunque momento.
In taluni casi poteva avere effetti sulla vita professionale o anche privata, senza che la vittima ne avesse conoscenza, come uno stigma latente. Se risultavi schedato, era meglio che non studiassi medicina o non vivessi nelle vicinanze di una caserma o non apprendessi un mestiere che prevedeva viaggi all’estero o la conoscenza di informazioni sensibili. L’obiettivo era rimuovere a monte quelle condizioni che potevano potenzialmente generare manifestazioni negative per la collettività socialista. Sul retro delle schede si potevano aggiungere a mano o a macchina informazioni aggiuntive e note consentendo di seguire l’evolversi di percorsi individuali, professionali e privati.
Le schedature KK erano inoltre funzionali al controllo territoriale, perché mettevano in condizione ogni singolo ufficio della Stasi di tenere sotto sorveglianza non solo gli abitanti e tutte le strutture entro le quali questi si muovevano ma anche tutto quanto di significativo poteva verificarsi nella loro area geografica o nel loro specifico settore di competenza, valutando ogni anomalia e dinamica con la massima tempestività e sistematicità. Ogni anno venivano compilate e inserite in un sistema integrato di quattro schedari (anagrafico est, anagrafico ovest, detenuti e autoveicoli) centinaia di migliaia di nuove schede. Alla fine degli anni Ottanta, la Stasi aveva schedato oltre il 50% della popolazione adulta (cittadini stranieri esclusi).
Werner Irmler ebbe un ruolo importante anche nella preparazione del passaggio all’elaborazione elettronica dei dati, che fu decisa dal ministro Mielke nel 1980, ma diventò operativa solo nel 1985 con l’entrata in servizio del «cervellone» elettronico ZPDB (Zentrale Personendatenbank). Del funzionamento di quest’ultimo e delle sue reali capacità abbiamo oggi conoscenza solo parziale, perché i server e i nastri magnetici sono stati distrutti alla caduta del Muro. L’informatica ebbe sicuramente l’effetto di accelerare il movimento delle informazioni, potenziare le capacità di incrocio dei dati e quindi di analisi e anche di gestire quantità di dati esponenzialmente superiori a quelli gestibili con gli schedari cartacei (che molte unità continuarono comunque ad usare fino al 1989). Tuttavia, le categorie alla base dell’attività di raccolta informativa restarono sempre legate a quelle del diritto penale politico. La Stasi non si emancipò mai da una concezione strettamente criminalistica e poliziesca.
Ciò significa che si raccolse moltissimo materiale e su moltissime persone, ma focalizzando sempre su determinati fatti e circostanze. La Stasi non era certamente onnisciente (nessuna organizzazione umana può esserlo), ciò non toglie che la sorveglianza nella Germania orientale fu un fatto sistematico e capillare, oltre che inerente e coerente alla dottrina ideologica che dominava la vita del paese. Alla fine, tale sorveglianza non servì a impedire il collasso del sistema, che cedette per motivi e fattori sia esterni che interni al regime, ma allora l’utopia cibernetica era fallita da tempo e con lei era andata morendo anche la fede nella superiorità del socialismo. La Sed e la sua Stasi avevano perso il controllo della dinamica sociale, la rincorrevano e alla fine dovettero soccombere, sepolti sotto la loro debordante e infine inefficace burocrazia del controllo totale.
Dopo il 1990, i «cibernetici» come il generale Irmler avrebbero dovuto riconoscere come la convinzione che ogni disfunzione potesse essere rimossa o corretta individuandone ed estirpandone la radice li aveva resi ciechi verso i problemi provocati dagli stessi presupposti ideologici del sistema, la cui correttezza non poteva essere messa in discussione. Così non fu. Irmler fu sollevato da ogni incarico il 6 dicembre 1989 e poco meno di due mesi dopo, precisamente alla data del 31 gennaio 1990, andò in pensione, con cinque anni di anticipo, dopo 38 anni di una brillante carriera nella polizia segreta, nel corso della quale era stato abbondantemente insignito di ogni ordine per i meriti riconosciutigli.
Insieme ad altri 23 ex ufficiali della Stasi di alto rango firmò, nel marzo 2001, una lettera aperta, pubblicata dal giornale marxista-leninista Junge Welt, per denunciare la «caccia alle streghe» contro i veterani della Stasi, minacciati dalla «giustizia dei vincitori» e diffamati dai mass media. I fatti ci dicono che negli anni Novanta la giustizia fu oltremodo clemente con il personale della Stasi.
Werner Irmler ha oggi 95 anni e vive a Berlino.