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Dove sono finiti i soldi della SED? Il sistema finanziario sommerso di uno dei partiti più ricchi del mondo

Redazione Spazio70

Dalla «KoKo» di Schalck-Golodkowski al conto n. 0628 di Honecker: l'opaca rete finanziaria della Germania Est tra Stasi e Partito

di Gianluca Falanga

Palast der Republik, aprile 1986. Apertura dell’undicesimo congresso della SED (foto di Klaus Franke. Fonte: Archivio federale tedesco)

Il patrimonio del Sozialistische Einheitspartei Deutschlands (SED), il Partito-Stato della Repubblica democratica tedesca (RDT) era strettamente intrecciato con l’ordine economico e sociale del socialismo di Stato nella Germania orientale. Verso la fine degli anni Ottanta, questo patrimonio figurava tra i più consistenti al mondo detenuti da un partito politico, insomma il Partito di Ulbricht e Honecker era una delle organizzazioni politiche più ricche al mondo. In un sistema in cui partito e Stato erano praticamente fusi, la SED riuscì, nel corso di decenni, a costruire un complesso reticolato di migliaia di proprietà immobiliari, quote di partecipazione in imprese statali, investimenti finanziari all’estero, riserve in contanti in valuta estera e conti esteri segreti. Gli storici stimano che il patrimonio della SED ammontasse a miliardi di marchi tedeschi (occidentali).

Più precisamente la configurazione del gigantesco patrimonio della SED accumulato fino alla fine degli anni Ottanta era così ripartita:

contanti e conti bancari: secondo stime, solo sui conti segreti della SED e delle sue organizzazioni di massa (es. la Freie Deutsche Jugend, organizzazione giovanile del Partito, oppure il sindacato unico Freie Deutsche Gewerkschaftsbund) o imprese, strutture ed enti statali della RDT direttamente controllati dal Partito erano depositati fino a 6 miliari di marchi tedeschi (valuta occidentale);

proprietà immobiliari: la SED possedeva migliaia di immobili della RDT, tra cui sedi del Partito, centro di formazione, strutture turistiche e ricreative, immobili di lusso come le villette riservate ai membri del Politbüro nella zona residenziale protetta di Wandlitz;

partecipazioni e imprese: la SED deteneva partecipazioni in numerose aziende nella RDT e all’estero, specialmente nella Germania Ovest, in Austria e in Svizzera;

oro e riserve in valuta estera: per conto del Partito, il Ministero per la Sicurezza dello Stato (Stasi), l’apparato di sicurezza del regime tedesco-orientale, aveva accesso a grandi quantità di valuta occidentale, riserve auree e titoli, sistematicamente accumulati.

Se si paragona la situazione patrimoniale della SED con quella di altri partiti politici nel mondo, emerge chiaramente la sua eccezionale posizione. Nelle democrazie liberali come la Repubblica federale tedesca, gli Stati uniti o il Regno unito, i grandi partiti si finanziano principalmente tramite quote associative, donazioni e contributi statali; grandi riserve finanziarie nell’ordine di miliardi sono piuttosto inusuali. Anche partiti economicamente molto forti come i Repubblicani e i Democratici americani raccolgono grandi donazioni, ma non possiedono patrimoni permanenti di entità paragonabile a quello che fu capace di accumulare la SED. Un termine di paragone in contesti politici simili a quello della RDT potrebbe essere il Partito comunista dell’Unione sovietica, ma in quel caso la trasparenza sul patrimonio reale è stata ancora minore rispetto al caso della SED, pertanto è difficile paragonare dati certi. Alle origini della ricchezza della SED vi era un meccanismo molto articolato, il patrimonio non derivava certamente da un’attività politica democratica e sottoposta alle regole della legalità, ma si basava sulla quasi totale fusione tra Partito e Stato.

Le fonti principali di provenienza delle risorse e dei beni mobili e immobili erano le seguenti:

redistribuzione statale: la quota versata al Partito dagli oltre due milioni di iscritti veniva direttamente trattenuta dal salario;

profitti delle imprese statali, solo in parte reinvestiti;

operazioni in valuta estera occultamente effettuate;

riscatto dei prigionieri politici della RDT da parte della Germania Ovest;

controllo politico dell’intero apparato statale.

IL CONTO SEGRETO DI HONECKER

Alexander Schalck-Golodkowski (foto di Eva Brueggmann, marzo 1988. Fonte: Archivio federale tedesco)

Un ruolo centrale nell’accumulazione e gestione di queste risorse fu svolto dalla cosiddetta Sezione di Coordinamento commerciale, meglio nota con l’abbreviazione KoKo (dal tedesco Kommerzielle Koordinierung), diretta dall’alto funzionario economico del regime e (in segreto) colonnello della Stasi Alexander Schalck-Golodkowski.

Questa struttura, incardinata presso il Ministero per il Commercio estero della RDT, controllata dall’apparato di sicurezza attraverso la struttura segreta AG BKK (Arbeitsgruppe Bereich Kommerzielle Koordinierung) e che rispondeva direttamente al capo della SED e capo di Stato della RDT Erich Honecker, operava tramite oltre 180 società di copertura in Paesi occidentali, attraverso cui venivano canalizzati milioni di marchi, in parte da attività legali, in parte da operazioni opache o illegali. Le fonti di finanziamento comprendevano il riscatto di prigionieri politici da parte della Germania Ovest, l’esportazione di prodotti della RDT e il commercio internazionale di valuta e la vendita di armi a Paesi in guerra (in parte indipendentemente dalle alleanze politiche del blocco sovietico, come nel caso delle forniture militari a entrambi i contendenti nella guerra scoppiata fra Iran e Iraq nel 1980). Questi fondi alimentavano un bilancio ombra della SED, parallelo al bilancio ufficiale, privo di qualsiasi controllo democratico o legale.

Una componente particolarmente delicata di questa struttura finanziaria sommersa era il cosiddetto «conto del Segretario Generale n. 0628», istituito nel 1974 su espressa richiesta di Erich Honecker presso la Deutsche Handelsbank. Si trattava di un conto speciale alimentato con fondi provenienti dalla KoKo, tra cui fondi deviati della Stasi e ricavi in valuta estera. Pur non avendo una firma ufficiale sul conto, Honecker ne disponeva di fatto attraverso le strutture del Partito. Fino al 1989, il saldo accumulato su questo conto e su fondi correlati superava i 2,2 miliardi di marchi tedeschi. Secondo un’inchiesta dello Spiegel, Honecker aveva accesso a una riserva di almeno 100 milioni in contanti. Da questo fondo venivano tratte le risorse per finanziare iniziative politiche e di rappresentanza, per esempio il sostegno a regimi amici come quello sandinista in Nicaragua o quello polacco in difficoltà negli anni Ottanta, oppure operazioni per sopperire a carenze interne alla RDT come l’acquisto di frutta per sedare il malcontento pubblico o in occasione di grandi eventi che attiravano l’attenzione internazionale.

Sebbene non si trattasse formalmente di un conto segreto privato, nella pratica la linea tra controllo personale e istituzionale era estremamente sfumata. Questo meccanismo conferiva a Honecker un potere che si può definire quasi monarchico sulle finanze del Partito.

LA CACCIA AI FONDI SCOMPARSI DELLA SED

Il «logo» del Partito del Socialismo Democratico tedesco (Partei des Demokratischen Sozialismus)

Dopo la caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989 e il collasso della RDT nei mesi successivi, anche le strutture economiche della SED finirono sotto una enorme pressione. Prima ancora che le istituzioni statali fossero sottoposte al controllo giuridico e democratico, i dirigenti della SED, comprendendo rapidamente che il sistema politico era destinato a crollare e con esso anche il controllo sui fondi, iniziarono sistematicamente a trasferire, occultare o esportare parti del patrimonio del Partito. Vi fu dunque una fase di spostamenti patrimoniali mirati, mai del tutto chiarita, che ebbe gravi conseguenze politiche e giuridiche.

Una parte delle risorse venne trasferita a fondazioni, società o persone fisiche in Occidente, nel tentativo di sottrarle alla magistratura e alla neonata holding di Stato Treuhandanstalt, istituita nella fase terminale della RDT con il compito di privatizzare le imprese di proprietà statale per garantirne laddove possibile l’efficienza e la competitività, in alternativa procedendo alla loro chiusura e liquidazione. Società come la Transinter GmbH a Berlino Ovest o la Novum GmbH a Vienna ebbero un ruolo centrale in queste operazioni di spostamento di capitali. Nel frattempo, imprese del Partito furono «privatizzate» in grande fretta, trasferendone la proprietà a ex funzionari della SED a prezzi simbolici. Una commissione d’inchiesta del parlamento tedesco (Bundestag) concluse che almeno 160 milioni di marchi del patrimonio della SED erano spariti, ma la cifra reale potrebbe essere stata assai più alta. Anche il partito successore della SED, trasformatasi alla fine del 1990 in Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS), cercò di salvaguardare parte dei beni attraverso fondazioni o organizzazioni «satelliti», come la Fondazione Rosa-Luxemburg, circostanza che naturalmente non passò inosservata, suscitando accesi dibattiti pubblici.

Dal punto di vista legale, il Bundestag legiferò nel 1994 per consentire il sequestro retroattivo dei beni della SED e delle organizzazioni di massa della RDT, strettamente legate al Partito-Stato, illegalmente trasferiti. I numerosi procedimenti giudiziari intentati, tuttavia, non portarono a nulla, per la mancanza di prove concrete oppure perché i fondi si trovavano su conti esteri fuori dalla portata degli inquirenti. Anche la cooperazione internazionale con le autorità in Svizzera, Liechtenstein e Lussemburgo portò a successi solo molto limitati. Alcuni conti sospetti furono individuati, ma la documentazione era spesso lacunosa e molte società risultavano ormai sciolte.

A CHI APPARTENEVA VERAMENTE LA «PROPRIETÀ DEL POPOLO»?

Erich Honecker, in un’immagine istituzionale dell’agosto 1976 (fonte: Archivio federale tedesco)

In sintesi, il patrimonio della SED non era trasparente né statico, ma un sistema dinamico e volutamente opaco, concepito per assicurare la stabilità del potere politico di fronte a ogni evenienza. Non esisteva il favoleggiato conto segreto privato miliardario di Honecker, ma si è accertato che il capo della SED ebbe accesso a un conto speciale, con disponibilità miliardarie, non soggetto ad alcuna supervisione statale. La separazione tra controllo personale e istituzionale era intenzionalmente ambigua, non motivata da ragioni di arricchimento privato ma funzionale all’obiettivo di rafforzare l’autorità assolutistica della leadership del Partito anche sul piano finanziario.

L’elaborazione di questi eventi resta uno dei capitoli più complessi e delicati della riunificazione tedesca. Ancora oggi non si conosce con precisione l’entità dei beni scomparsi, trasferiti o occultati in reti opache e conti offshore. A ciò si aggiunge che il tentativo di preservare il patrimonio della SED oltre la fine del sistema socialista non fu un caso isolato, ma una strategia deliberata comune ai gruppi dirigenti e dell’alta nomenclatura di Partito e di Governo, tesa a garantirsi margini d’azione anche in un nuovo contesto politico, sotto forma di capitali, immobili o influenza.

L’eredità politica della SED non si manifestò solo nel partito successore PDS (successivamente confluito nella Linke), ma anche nella lunga controversia, oggi ancora aperta, su un punto molto delicato e cruciale: a chi apparteneva davvero il patrimonio di Stato della RDT, che il regime chiamava Volkseigentum (proprietà del Popolo)? Un bilancio complessivo vede gran parte del patrimonio tracciabile della SED e della RDT identificato, confiscato e liquidato. I proventi, ammontanti a miliardi di marchi, sono stati trasferiti ai Länder orientali della Germania (ex territorio della RDT) e sono confluiti negli anni in misure di sostegno al cosiddetto Aufbau Ost (ricostruzione dell’Est).

Di conseguenza, la restituzione formale della maggior parte di questi beni può considerarsi conclusa. Tuttavia, esistono ancora oggi singoli procedimenti in cui sono al centro dell’attenzione rapporti patrimoniali poco trasparenti, beni occultati o conti all’estero. In casi particolarmente complessi, come quelli rispondenti alla Sezione KoKo, vi sono ancora oggi procedimenti e indagini in corso, ma si tratta di poche eccezioni.