Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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È una sera torrida di metà gennaio del 1979: alcuni uomini in divisa, accompagnati da altri in borghese, si riuniscono in un cimitero di una cittadina di provincia all’estremo Nord dell’hinterland porteño. Hanno attrezzi da scavo e iniziano a lavorare alla luce dei fari di un’ambulanza e di un’autopattuglia, lì parcheggiate per illuminare il lavoro in assenza di luce naturale. Cercano un corpo nel lotto 17; scavano, aprono una bara che rivela dei resti scheletriti e uno dei presenti esclama: “Non può trattarsi di lei, questi sono fianchi da uomo!”. Mentre i due ufficiali commissari, uno della polizia provinciale e l’altro della polizia dipartimentale di Tigre, negano che ciò sia possibile, il medico legale e gli uomini in borghese insistono che c’è un errore. Il corpo viene pertanto prelevato ed esaminato nella morgue del cimitero. In effetti si tratta di un uomo, quindi non della persona che stanno cercando i cui effetti personali conservati nella morgue confermerebbero la presenza in quel cimitero. Quindi tornano al punto della riesumazione e ricominciano a scavare nel lotto attiguo, il numero 19: poco prima della mezzanotte il feretro che viene aperto mostra i pochi resti, minuti e scarnificati, di una donna. È lei, o quel che rimane, della persona che stanno cercando da più di venti giorni.
Il commissario del dipartimento del Tigre, il mattino seguente, mentre viene duramente ripreso dal suo superiore per la tardiva identificazione e la caotica gestione della salma, si difenderà esclamando: “Comandante, lei dimentica che mi ha già buttato più di ottomila corpi nel fiume. Come potevamo identificarli tutti?”. La scena potrebbe assomigliare a centinaia di altre ripetutesi in Argentina negli anni della dittatura: la grande differenza è che il comandante in questione è Guillermo Suarez Mason, il direttore del famigerato Garage Olimpo, mentre i parenti della donna riesumata sono nientemeno che i suoi fratelli Ezequiel ed Enrique Holmberg e il loro cugino Alejandro Agustìn Lanusse, ex presidente militare “de facto” dell’Argentina: il cadavere in questione, che scotta tantissimo, è infatti quello di Elena Holmberg.
Il giorno in cui Elena Holmberg scompare, il 20 dicembre del 1978, in Argentina non si parla ancora di “desaparecidos”. Certamente corrono voci: si dice, si racconta, si sente dire, i giornali stranieri riportano strane notizie, non si sa a chi credere. Qualcuno scompare, altri vanno all’estero; ci sono ragazzi coinvolti nella lotta armata che entrano in clandestinità, altri non si sa, forse avranno fatto qualcosa; se ne parla tutt’al più sottovoce, ma certo non pubblicamente, visto che stampa e televisione nazionali rigettano drasticamente ogni accusa di violazione dei diritti umani e dell’esistenza di “campi di concentramento” che arriva dall’estero. Accuse che vengono bollate come frutto della campagna “anti-argentina”, organizzata dalle sinistre internazionali, volta a screditare l’operato della Junta Militar che finalmente, dopo anni di inaudita violenza politica, terrorismo e instabilità economica sembra aver finalmente pacificato e stabilizzato il Paese.
L’idea diffusa allora che gli scomparsi siano persone arrestate in quanto sovversivi o loro fiancheggiatori può anche avere un suo fondo di verità, ma nel caso di Elena Holmberg ciò va contro ogni evidenza: Elena non è ricca né famosa, ma porta uno tra i cognomi più illustri del patriziato nazionale, quello di uno di quei padri fondatori della Repubblica Argentina che respinsero prima gli Spagnoli e poi gli Inglesi assieme al Generale San Martìn. Il padre Adolfo, ancora vivente al momento dei fatti, è stato uno dei più importanti scienziati naturalisti del continente nonché esploratore e amico di Antoine de Saint Exupery con cui ha volato. L’ex presidente militare Lanusse, come già detto, è suo primo cugino mentre Videla e sua moglie Alicia Hartridge sono amici personali.
Quarantasette anni, coltissima, elegante, poliglotta, prima donna nel Paese a laurearsi presso l’Istituto degli Affari Esteri, Elena Holmberg rappresenta uno dei prodotti più squisiti di quella aristocrazia “criolla” repubblicana – composta da casate di possidenti terrieri, giuristi, militari e grandi letterati – che ha trasformato in meno di un secolo un vasto deserto acquitrinoso in una delle capitali economiche e culturali più raffinate dell’Occidente e l’Argentina in una delle potenze economiche nascenti più promettenti del XX secolo; “ça va sans dire”, quella stessa classe sociale invisa e osteggiata da Peròn e dal movimento populista da lui creato. Quindi tutt’altro che una sovversiva, tutt’altro che una simpatizzante di teorie populiste o socialiste, Elena Holmberg è anzi nota ai suoi amici e ai colleghi dell’Ambasciata Argentina di Parigi per essere una fervente antiperonista e anticomunista; talvolta in modo così esplicito e diretto da causare qualche imbarazzo anche all’interno degli uffici della delegazione, quando dichiara il suo appoggio incondizionato alla Junta Militar e al suo operato di repressione della guerriglia sovversiva, mentre anche i più conservatori tra i suoi colleghi non mostrano in modo troppo evidente le loro simpatie politiche.
Elena Holmberg è sì considerata una delle risorse migliori del corpo diplomatico argentino, ma diplomatica non è di carattere. È molto, troppo diretta a volte, e dimostra di non aver paura di niente e nessuno, forse troppo sicura per via del rango al quale sente di appartenere. A Parigi dal 1972, Elena ha grandissime amicizie ed entrature a tutti i livelli con la stampa francese e con i nomi più illustri della cultura e dell’aristocrazia parigine; questa è la sua dote personale che le garantisce di ottenere l’incarico come coordinatrice del “Centro Pilota” di Parigi, una dipendenza dell’Ambasciata Argentina sita in Rue San Martin il cui scopo è quello di raccogliere, esaminare e classificare qualsiasi notizia, articolo o intervista pubblicata in Francia e in Europa sull’Argentina e da qui muovere una campagna di controinformazione tesa a migliorare la percezione del Paese all’estero, smentendo o diffamando fonti e testimonianze che riportino violazioni atroci dei diritti umani o che vogliano infangare il prestigio dell’Argentina equiparandola al Cile della barbarie pinochetista.
Il lavoro di Elena in questo senso è meticoloso e fervido. Lei stessa ammette che i metodi di cui parla certa stampa straniera sarebbero condivisibili se applicati contro la sovversione, ma forse nemmeno lei ci crede fino in fondo, convinta com’è che tutto sia frutto della campagna di discredito orchestrata dalle sinistre internazionali ai danni del Paese. Nei giorni in cui Elena coordina la segreteria del Centro, infatti l’Argentina sta ormai concludendo i preparativi per accogliere i Mondiali FIFA del 1978, approvati durante la presidenza Peròn-Peròn e benedetti dalla Junta Militar come occasione per presentare al mondo un Paese finalmente rappacificato e sulla strada della ritrovata prosperità economica. Sono gli stessi giorni tuttavia in cui presso le delegazioni consolari argentine nel mondo piovono richieste di habeas corpus da connazionali residenti all’estero per i familiari scomparsi in madrepatria, denunce di privazione di libertà e di torture che lasciano increduli o attoniti alcuni impiegati e silenziosi e indifferenti altri; fuori, la stampa francese in special modo effettua una copertura martellante sul caso di Léonie Duquet e Alice Domon, due suore laiche francesi da poco scomparse per mano di “grupos de tareas” paramilitari, ma che il governo argentino continua ad affermare siano vittime di un sequestro da parte dei terroristi sovversivi.
Insomma, al Centro Pilota di Parigi lavoro non ne manca di sicuro ed Elena lo svolge con passione e precisione: eppure, appena iniziati i Mondiali, viene prima demansionata nel suo nuovo ruolo, dovendo riportare ora ad alcuni nuovi arrivati che non sanno il francese, non sono chiaramente diplomatici e non si compenetrano con le dinamiche e la disciplina dell’ambasciata: poco dopo viene richiamata a Buenos Aires presso la Cancelleria del Ministero degli Affari Esteri, senza che sia chiaro se vi sarà o no un nuovo incarico a Parigi o presso altre ambasciate. Che cosa è accaduto? I colleghi e gli amici di Elena sanno da lei che questi nuovi personaggi, presenti presso il Centro Pilota con nomi e documenti che risulteranno essere di copertura, sono rappresentanti dell’Armada, ossia della Marina Militare Argentina di cui è Ammiraglio fino al settembre 1978 Emilio Eduardo Massera, uno dei triumviri della Junta Militar che ha rovesciato la presidente Isabel Peròn nel marzo del 1976: e che Massera, più o meno segretamente, si sta ora servendo del Centro Pilota, di cui lui stesso ha caldeggiato la creazione, non solo per gli scopi originali ma per sponsorizzare una sua futura campagna elettorale alla presidenza dell’Argentina, per perpetuare e anzi accrescere il suo potere personale. L’ambizione di Massera è quella di essere un nuovo Peròn, e per fare questo ha bisogno di ripulire la propria immagine e orientare sia l’opinione pubblica interna che estera presentandosi come il grande conciliatore delle masse, l’unico in grado di traghettare l’Argentina verso una democrazia stabile dopo aver consolidato i risultati ottenuti dal governo militare in termini di repressione del terrorismo e di stabilità economica.
Questo progetto non è tuttavia condiviso dalla Junta, all’interno della quale i dissidi sono fortissimi, vuoi per questioni di posizione ideologica, vuoi per le personalità individuali dei suoi integranti: Videla, marziale, austero, poco avvezzo al contatto con il pubblico, introverso e avulso dalle logiche politiche, vede il Proceso di Reorganizaciòn Nacional come una tappa inevitabile durante la quale estirpare con ogni mezzo lecito e non la sovversione, prima di tornare ad elezioni democratiche “controllate”. Massera, invece, ha una sete di potere sconfinata e se vuole essere lui il nuovo presidente della Nazione Argentina, le elezioni a venire deve essere lui a controllarle (e possibilmente a farle arrivare anticipando le dimissioni della Junta Militar): per questa ragione non solo il Centro Pilota di Parigi viene asservito ai suoi scopi, ma all’interno della stessa ESMA (la famigerata Escuela de Mecànica de la Marina nota il come centro di detenzione e tortura in cui viene eliminata la maggioranza dei desaparecidos) viene formata la cosiddetta “pecera” (l’acquario”). Qui, detenuti che hanno dimostrato maggior resistenza fisica alle torture per via dell’autodisciplina appresa durante la militanza e che sono in possesso di capacità strategiche come la conoscenza di lingue straniere, nozioni di elettronica, editoria, etc vengono mantenuti in condizioni “privilegiate” di detenzione e obbligati a eseguire lavori di intelligence, ricerca e più tardi promozione pubblicitaria per Massera, talvolta in condizioni di semilibertà, facendo capo all’ufficio stampa dell’ex Ammiraglio in centro a Buenos Aires.
Lavorare ai fianchi di Videla e dell’Esercito per indebolirlo, screditarlo e “tirargli un morto sul tavolo” sono tutti “lavori” di intelligence richiesti da Massera con il contributo dei suoi collaboratori presso il Centro Pilota e la ESMA. I morti sul tavolo non sono certo pochi: Léonie Duquet, una delle due monache francesi la cui scomparsa crea immenso imbarazzo alla presidenza di Videla, era nota anche come colei che aveva avuto cura per anni del figlio disabile di questi, venuto a mancare pochi anni prima; le pressioni dunque ricevute direttamente da Videla per far luce sul suo caso furono molto forti. Un altro diplomatico, l’ambasciatore argentino in Venezuela, Hector Hidalgo Solà, scompare durante una visita a Buenos Aires nel 1977; va menzionato che le uniche due ambasciate “fedeli” all’Esercito nella spartizione dei poteri della Junta sono rimaste quella di Washington e, appunto, quella di Caracas, mentre le altre rappresentanze diplomatiche sono ormai controllate soprattutto dalla Marina. La scomparsa di Hidalgo Solà, operata da agenti della ESMA ma che si cerca di attribuire ai sovversivi, ha una tremenda ripercussione nella stampa nazionale creando non poco imbarazzo a Videla.
Ma perché Elena Holmberg? Secondo quanto testimoniato dai suoi colleghi e da alcuni dei suoi amici più cari, Elena non solo aveva capito e disapprovato il progetto politico di Massera, ma aveva affermato di esser giunta in possesso di informazioni riguardanti diversi incontri avvenuti in Francia, Romania e Italia, tra Massera ed Eduardo Firmenich, leader di Montoneros in esilio, organizzati sotto l’egida di Licio Gelli della cui loggia massonica Massera era un iscritto della prima ora. A che cosa avrebbe dovuto portare l’incontro tra uno degli uomini della Junta e il suo teorico peggior nemico, il leader della più temuta firma terroristica della nazione? A quanto pare ci sarebbe stato uno scambio di denaro pari a una somma tra 1.000.000 e 1.300.000 dollari dell’epoca (non è chiaro se da Massera a Firmenich o viceversa) per suggellare un armistizio tra Montoneros e la Junta per tutta la durata dei Mondiali del 1978 e a questo punto, viene lecito domandarsi se anche in vista di una successiva presidenza “democratica” di Massera. Queste stesse informazioni sarebbero state presenti nel rapporto in mano di Hidalgo Solà durante la sua visita a Buenos Aires. Una foto di Massera, Gelli e Firmenich ritratti assieme a Villa Wanda sarebbe il documento principe di questa nota informativa di cui parlava Elena, ma di cui non si è mai trovata traccia.
La cosa certa è che Elena, poco prima di essere richiamata in Argentina, durante uno dei ricevimenti ufficiali in occasione di una visita di Massera all’ambasciata parigina, si dirige con un sorriso alla moglie dell’Ammiraglio, ripetendole due volte questa domanda a voce alta, davanti a tutti i presenti: “Ma che bella questa collana, anche questa te l’ha regalata Firmenich? O no?!”. A poco servono gli ammonimenti: uno fra tutti quando durante un viaggio nel Midi francese con una sua amica, si salva grazie alla sua destrezza al volante da un incidente d’auto potenzialmente mortale, perché qualcuno ha tagliato i freni della sua Volkswagen. Ma Elena non ha ascoltato nemmeno gli avvertimenti degli amici: il suo amico e collega Gregorio Dupont la avverte di non parlare, di non muovere le acque, sconsigliandola di parlare con i suoi amici giornalisti francesi e raccontandole dei sequestri che stanno succedendo in Argentina in quei giorni. “Non lo scrivono sui giornali, Elena, ma c’è gente che sparisce per molto meno”. Tuttavia Elena non gli dà retta, o non ci crede. Gregorio Dupont lo sa: a lui è solo toccato essere rimosso dal suo incarico al Ministero degli Esteri due anni prima, per un commento su Massera fatto durante una cena a cui partecipava quella che poi era emerso essere una delle amanti dell’Ammiraglio. Quando quattro anni dopo Gregorio decide di parlare di Elena davanti ai giudici, suo fratello Marcelo viene scambiato per lui, sequestrato e ucciso.
Ci sono occhi e orecchie tesi ovunque. Il pomeriggio del 20 dicembre 1978 Elena è quindi in compagnia di Bruno Bachelet e Laure Boulay, due giornalisti francesi suoi cari amici cui ha promesso di farli incontrare con Jorge Rafael Videla per un’intervista, ma a cui desidera anticipare alcune informazioni di loro sicuro interesse più tardi a cena, quella sera. Proprio mentre esce dal garage del suo edificio, all’angolo con la trafficatissima ed elegante Avenida Santa Fe, una Chevy azzurra con a bordo due uomini colpisce la sua 128 familiare impedendole la fuga: Elena viene prelevata e condotta nella Chevy, che riparte a gran velocità.
Ai fratelli Enrique ed Ezequiel, che quella sera stessa iniziano la loro ricerca personale della verità, appare chiaro che si tratti di un sequestro anomalo: le loro conoscenze altolocate e le amicizie nell’Esercito li portano fino al Ministro degli Interni Harguindeguy che dopo un paio di telefonate sbotta dicendo loro: “Non perda tempo, Holmberg; vada a vedere Ojeda (il capo della Polizia Federale). Questo è chiaro. Questo viene dal Centro Pilota di Parigi. Sì, sì questa è opera di quel figlio di puttana di Massera”. Il corpo di Elena affiora due giorni dopo nel fiume Lujàn. E’stata strangolata e annegata: il corpo però viene identificato e riesumato solo dopo quasi tre settimane, inizialmente scambiato per uno dei tanti corpi di N.N. che appaiono in quei giorni nei fiumi del paese e su cui non bisogna investigare troppo a fondo.
Il cugino, quel General Lanusse ex presidente militare che ha combattuto il terrorismo di ERP e Montoneros ma che ha riportato il Paese a elezioni democratiche nel 1973, è sicuro della matrice dell’omicidio: sa che si tratta di un lavoro fatto dalla Marina per conto di Massera. Tuttavia lui stesso può fare poco nonostante le sue conoscenze e la sua autorevolezza perché si è messo contro tutta la Junta Militar denunciando internamente i cosiddetti “procedimientos por izquierda”, ossia le operazioni clandestine e le violazioni sistematiche dei diritti umani che ha condannato con veemenza. Condanna che gli costa non solo l’isolamento da parte degli altri militari, ma anche la carcerazione con accuse di peculato e del sequestro e uccisione del suo segretario Edgardo Sajòn. Lanusse sarà testimone d’accusa contro la Junta durante il processo a carico della giunta militare.
Importanti invece saranno le indagini che soprattutto Enrique porterà avanti, data la sua condizione di ex militare, arrivando perfino dentro le installazioni della ESMA a interrogarne gli ufficiali. Tuttavia un coro di no, non so, non ricordo costellano non solo le ricerche personali, ma anche le successive inchieste ufficiali e i verbali del Processo alle Giunte Militari che si terrà nel 1985, sotto la presidenza Alfonsìn. Solo le testimonianze di tre detenute superstiti identificano gli esecutori materiali del sequestro e dell’uccisione di Elena, ma senza ulteriori prove non si arriverà mai ad una incriminazione formale.
La responsabilità dei vertici della Marina e degli “specialisti” della ESMA a livello giuridico non è quindi mai stata chiarita ed identificata, ma le responsabilità morali e materiali di questo illustre omicidio appaiono oggi sempre più evidenti.