Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Gli anni Settanta sono stati un periodo particolarmente turbolento della recente storia italiana, una sorta di spartiacque fra il boom economico del dopoguerra e la complessa realtà dell’Italia degli ultimi lustri. Il Paese ha conosciuto, nel periodo compreso tra il 1969 e i primi anni Ottanta, un livello di violenza politica che trova ben pochi termini di paragone in Europa se si escludono forse Irlanda del Nord e Spagna, realtà nelle quali però le rivendicazioni di IRA e ETA sono state di natura fondamentalmente nazionalistica, religiosa e territoriale. In Italia lo scenario è stato molto diverso. Si può cioè affermare come, nel torno di tempi sorprendentemente rapidi, si sia passati dagli spensierati giorni del cosiddetto miracolo economico a una rabbia contestataria capace di esplodere in vera e propria violenza politica. Una reazione, dicono alcuni, anche se il rapporto di causalità è tutt’altro che pacifico, alla terribile strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, evento che, a posteriori e nell’immediatezza delle numerose vicende che racconteremo su questo sito, ha rappresentato per molti una sorta di conferma dei tentativi di riportare il nostro Paese su strade già dolorosamente percorse in un passato non troppo lontano.
In realtà, un malessere, che trova le sue radici in ambito politico, sociale e anche esistenziale, covava già nei fantastici anni Sessanta. Senza andare troppo indietro nel tempo — per esempio all’opera di marginalizzazione delle avanguardie sindacali più attive, durante gli anni della Ricostruzione e nei primi tempi del cosiddetto Miracolo economico — la cacciata del governo Tambroni, a seguito dei moti di Genova del giugno 1960, e i disordini di piazza Statuto a Torino nel giugno 1962 rappresentano certamente due squilli di tromba di un nuovo protagonismo operaio che sembra andare nel senso di quanto auspicato da importanti padri del pensiero operaista italiano come Raniero Panzieri, Lucio Libertini e Mario Tronti.
Perché se a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, erano stati i «ragazzi con le magliette a strisce» a opporsi all’ipotesi di un congresso del Movimento sociale italiano, due anni dopo, in quel di Torino, ad agire sul campo, in un’ottica fondamentalmente autonoma rispetto ai partiti della sinistra storica, non erano stati i fantomatici «agenti provocatori» citati dal Pci, ma in buona parte operai Fiat o dell’indotto, secondo una sorta di incontrollabile «anarchismo» capace di inquietare i tradizionali referenti politici della classe operaia italiana.
Gli anni Sessanta, insomma, appaiono secondo una luce diversa rispetto a quella, quasi di senso comune, dei film di Alberto Sordi o delle canzoni di Edoardo Vianello. L’elenco dei fatti rilevanti potrebbe essere lungo: lo scandalo dei fascicoli Sifar e il conseguente piano Solo del generale Giovanni De Lorenzo; le preoccupazioni per una economia che inizia a dare segnali di frenata già nel 1963; il convegno atlantista organizzato dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio che a metà anni Sessanta rende chiara, quasi alla luce del sole, una inquietante liaison tra mondo militare ed estremismo di destra contro il «pericolo rosso»; l’inusuale esibizione di forza nella parata del 2 giugno 1964 a Roma, di fronte a un Presidente della Repubblica commosso; il «tintinnar di sciabole» evocato da Pietro Nenni e la conseguente formula largamente depotenziata del cosiddetto «centrosinistra» a guida morotea; l’inquietante fine del colonnello Renzo Rocca — ex direttore del REI, l’Ufficio Ricerche economiche e industriali del Sifar— «suicidato» nel proprio studio secondo modalità mai chiarite.
L’ultima coda del decennio, infine, si caratterizzò per il rapido cambiamento del Paese, secondo un processo di laicizzazione e secolarizzazione, ravvisabile in piccoli, e in apparenza irrilevanti, fatti di cronaca capaci di far intuire, se letti tutti insieme, una evidente voglia di rottura di schemi ritenuti consolidati e oppressivi. Si pensi al caso de La Zanzara — giornaletto di un liceo un po’ snob della buona borghesia milanese, assurto agli onori della cronaca per le inchieste sui costumi sessuali degli studenti — che si risolverà in un processo, con relativa assoluzione, per stampa oscena e corruzione di minori. Anche il Sud più profondo cominciava a dare segnali di risveglio, con il caso di Franca Viola che, più o meno negli stessi mesi, si ribellava al suo sequestratore dando la stura a una vicenda giudiziaria che rimetterà in discussione usanze secolarmente osservate come il cosiddetto matrimonio riparatore.
Le prime occupazioni delle facoltà italiane da parte di un movimento studentesco inizialmente concentrato su rivendicazioni di carattere puramente universitario, tracimeranno presto in un proposito di rivoluzione della società — in alcuni casi confuso e disordinato, ma almeno fondato su basi teorico-intellettuali più salde del futuro movimento del ’77 — di ridiscussione dei rapporti tra padre e figlio, tra studente e professore, tra uomo e donna, tra sacro e profano, secondo una ideologia da qualcuno definita «egualitaria-permissiva», quasi frutto di una crasi tra le dottrine provenienti dal blocco del cosiddetto socialismo reale e quelle edonistico-libertarie di marca Usa.
Usciti di scena Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni XXIII, i successori sono personaggi grigi, cupi, da controriforma, che sembrano venir fuori da un film del filone politico-civile tipicamente anni Settanta. Gli americani eleggono Nixon per porre fine all’escalation in Vietnam, voluta dal presidente democratico Johnson (a sua volta salito al trono della potenza americana all’indomani dell’assassinio di JFK); in Urss, Krusciov viene commissariato da una troika dalla quale emergerà Leonid Breznev, il campione della stagnazione — ma anche, per alcuni tratti, della distensione nei rapporti con l’Occidente — che riaprirà i gulag e gli ospedali psichiatrici per i dissidenti politici. Paolo VI assisterà pressoché impotente alla riforma del diritto di famiglia e alla legalizzazione dell’aborto, secondo un rapido processo di secolarizzazione della società italiana e occidentale del quale già si percepirono i segnali evidenti all’indomani del Concilio Vaticano II.
In Italia la bomba alla Fiera campionaria di Milano del 25 aprile 1969, quelle sui treni dell’agosto dello stesso anno e il cosiddetto Autunno caldo, con le rivendicazioni salariali del settore metalmeccanico e l’assassinio dell’agente Antonio Annarumma, rappresentarono il presagio di un contesto, la cosiddetta strategia della tensione e poi gli anni di piombo, che si staglierà in tutta la sua chiarezza nel momento in cui si depositeranno le polveri e i detriti proiettati dalla madre di tutte le stragi italiane, quella di piazza Fontana.
Dal 12 dicembre 1969, giorno del tragico attacco coordinato a Milano e a Roma, le autorità politiche e giudiziarie mostreranno una incredibile inadeguatezza capace di ripresentarsi, come triste costante, per tutte le stragi italiane, comprese quelle dell’estate 1980 (Ustica e Bologna).
In un contesto come quello attuale, caratterizzato da una oggettiva difficoltà nel rileggere con equilibrio eventi anche recenti della storia recente, gli anni Ottanta del secolo scorso rappresentano un periodo capace di stimolare prese di posizione sostanzialmente inconciliabili. Alcuni ne parlano come di una sorta di prodromo dei successivi disastri che hanno colpito il Paese, con gli italiani vittime, più o meno consapevoli, di una vera e propria mutazione antropologica in gran parte frutto del disimpegno e dell’edonismo sparso a piene mani con l’avvento delle televisioni commerciali.
Altri, al contrario, definiscono gli Ottanta come l’ultimo sprazzo di gloria di un’Italia che, tutto sommato, dicono, aveva raggiunto Gran Bretagna e Francia tra i Paesi maggiormente industrializzati. Una visione prettamente nostalgica che si proietta in maniera speculare, rispetto alla precedente, anche su valutazioni nodali, relative ai grandi temi del decennio, come quello della corruzione del sistema politico.
A ben vedere, i due schieramenti, dopo aver divorziato sulla valutazione da dare al decennio, si fronteggiano anche su altri temi consequenziali: da quelli cruciali — come l’integrazione europea, la globalizzazione, l’immigrazione, l’avvento dell’informatizzazione di massa — fino a quelli più legati a un gusto o a una esperienza di tipo soggettivo — come la musica, il cinema, il football o l’evoluzione dei rapporti interpersonali.
Tematiche che rischiano di essere drammaticamente superate o residuali se confrontate con gli eventi che sempre più impetuosamente sembrano stagliarsi all’orizzonte. Si pensi all’avvento dell’Intelligenza artificiale, con i possibili inquietanti risvolti sul mondo della produzione e del controllo/manipolazione del consenso, oppure alla nuova Cortina di ferro che rischia di minare il dogma, che fino a qualche anno fa pareva incontestabile, di un mondo globalizzato. Senza ovviamente contare i timori per l’esplosione di una nuova, definitiva, guerra mondiale.
Spazio 70, negli ultimi tempi, ha quindi progressivamente modificato la propria linea editoriale, estendendo e attualizzando i propri contenuti alla luce del non comune patrimonio documentale e conoscitivo accumulato in quindici anni di attività. Ci siamo evoluti per non fare la fine dei dinosauri, ma anche perché riteniamo di avere qualcosa da dire sul presente.
Il nostro progetto si è quindi ulteriormente affermato sulla rete, come un vero e proprio network, secondo due direzioni di marcia a nostro avviso del tutto interdipendenti: quella della ricerca storica sugli ultimi cinquant’anni e quella del giornalismo d’inchiesta. Pur partendo dal quindicennio lungo più volte citato, abbiamo sviluppato una indagine che non si esaurisce con quel periodo né tantomeno all’interno dei confini italiani.
Spazio70 — forte di iniziative editoriali, anche sulla carta, e di una presenza costante nel mondo social e perfino nella rete Telegram — gode ormai dell’attenzione di alcune centinaia di migliaia di follower capaci di apprezzare quotidianamente un approccio non professorale, ma scrupoloso nell’utilizzo delle fonti. Una linea editoriale, la nostra, orientata al racconto dei fatti e del tutto autonoma nella scelta dei temi da trattare.
Alcuni, volendo fare un complimento, ci definiscono imparziali. Si tratta di una definizione errata nella misura in cui può essere confusa con un giudizio di equidistanza. Se l’imparzialità è una illusione, un giudizio di equidistanza — considerato il tenore degli argomenti qui affrontati — sarebbe simile a una accusa di collateralismo. Di conseguenza, pur non ritenendoci né imparziali né tanto meno equidistanti, proveremo come sempre a far piazza pulita, quantomeno sulle nostre pagine, di mistificazioni (riconducibili a ragioni politiche o peggio commerciali) così come di veri e propri falsi storici.
In un mondo dove spesso è facile imbattersi in una certa prevedibile faziosità, noi vogliamo continuare a non prendere in giro i nostri lettori. Da qui la volontà di realizzare una sorta di servizio pubblico che, partendo da una analisi di anni soltanto apparentemente distanti, sia in grado di offrire quantomeno gli strumenti per interpretare «il tempo che ci è stato dato, con tutte le sue difficoltà».
Insomma: il punto di caduta, frutto di processi lontani, con il quale spesso drammaticamente saremo chiamati a fare i conti in questi anni.