Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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Il 19 luglio del 1969 per gli uomini e le donne di tutto il mondo fu un giorno gravido di aspettative. C’era nell’aria la consapevolezza dell’imminenza di un momento irripetibile destinato a cambiare la Storia per sempre. Il modulo lunare della missione Apollo 11 entrava nell’orbita del nostro satellite naturale, con lo sbarco previsto per il giorno successivo. Un gruppo più ristretto di persone, però, in quello stesso 19 luglio, veniva coinvolto in un altro evento, ben più terrestre, capace anch’esso di influire, magari in maniera meno evidente, sulla storia di un intero Paese.
Quel mattino infatti, Dominick Jim Arena, capo della polizia di Edgartown, capoluogo della contea di Duke sull’isola di Martha’s Vineyard, fu chiamato a effettuare un sopralluogo su quella che sembrava la scena di un incidente d’auto, non immaginando neanche lontanamente ciò che lo aspettava. Due giovani pescatori da diporto, pochi minuti prima, avevano infatti segnalato la presenza di un veicolo sommerso e capovolto nel Poucha Pond, il canale situato tra il vicino isolotto di Chappaquiddick e la striscia di terra che lo ripara dai flutti dell’Atlantico.
Era un weekend piuttosto movimentato sull’isola, quello. Con la tradizionale regata annuale, frotte di turisti, goliardici e spesso alticci, rompevano la quiete dell’esclusiva località con schiamazzi e liti. Succedeva ogni tanto che un’auto venisse rubata per poi essere abbandonata altrove, dopo qualche scorribanda notturna.
Questo era quanto l’agente Arena si immaginava. La scena che gli si presentava di fronte, tuttavia, sembrava proprio quella di un incidente. Una grossa berlina nera giaceva sommersa nel canale, accanto ai piloni dell’angusto ponticello di legno che lo attraversava. I segni lasciati dalle gomme e dal differenziale sul cordolo del ponte, privo di parapetto, indicavano un’uscita di strada in movimento. Dopo ripetuti tentativi di immersione, resi vani dalle forti correnti causate dalla bassa marea, Arena convocò i vigili del fuoco e il sommozzatore locale, John Farrar. Tutti avevano presto confermato la presenza di un corpo all’interno dell’autovettura, quello di una giovane, esile, ragazza dai capelli biondi.
Quando l’unità radiomobile aveva poi ricevuto l’esito della ricerca dei dati della targa, l’agente Arena aveva sussultato. L’automobile risultava registrata a nome di Edward Moore Kennedy, senatore dello Stato del Massachussets, il minore —e unico superstite— dei quattro Brothers della dinastia più influente d’America.
Iniziava così uno dei casi più controversi della recente storia americana, quello dell’incidente di Chappaquiddick. Un caso che tuttavia, almeno nel nostro Paese, non gode della stessa notorietà e attenzione che i media da sempre dedicano ai due fratelli maggiori, John Fitzgerald e Robert, entrambi assassinati in circostanze attorno alle quali è sorto un vero florilegio di teorie del complotto, talvolta assurde e mai pienamente suffragate da prove certe.
Verrebbe da dire che la minore popolarità del caso si debba in fondo al fatto che Ted Kennedy, a differenza dei fratelli maggiori, non sia stato assassinato nonostante la vicenda Chappaquiddick gli sia costata la candidatura alla Casa Bianca. O forse perché, dopotutto, il più giovane dei fratelli si assunse pubblicamente la piena responsabilità dell’incidente e delle sue conseguenze, ammettendo di aver tenuto una «condotta indifendibile» per il fatto di aver denunciato l’accaduto alle autorità con gravissimo ritardo.
Alla fine, nella memoria collettiva, il caso è perfettamente riassunto nel discutibile titolone del Sunday News dell’epoca: «Teddy escapes, blonde drowns». Discutibile sì, ma che ha efficacemente rappresentato —o contribuito a creare— l’opinione più diffusa e condivisa sull’evento. Cioè, che alla fine, il senatore sia fuggito tanto dalla scena dell’incidente quanto dalle sue responsabilità e che la ragazza coinvolta si sia trovata là in qualità di bionda, in una versione minore del caso Monroe.
Un malaugurato incidente i cui contorni sono sempre rimasti oscuri soprattutto a causa dell’enorme, inspiegabile, ritardo di quasi dieci ore con il quale Ted Kennedy denunciò l’accaduto —un fatto che ha dato adito a speculazioni di ogni tipo comprese quelle sulla relazione tra il senatore e la vittima.
Insomma, anche il caso Chappaquiddick vede la sua parte di teorie del complotto o del cover up più o meno note. Sorprendentemente, però, tra queste ce n’è una piuttosto verosimile o che almeno risulta l’unica credibile. Di sicuro più della stessa ricostruzione dei fatti data dallo stesso Kennedy. Vediamole tutte.
Nella sua versione ufficiale, Ted Kennedy dichiarò di aver partecipato sin dal tardo pomeriggio di sabato 18 luglio 1969 a un barbecue organizzato in occasione della regata annuale presso il cottage di Chappaquiddick, come momento di ritrovo tra i suoi amici e di ringraziamento per lo staff, tutto al femminile, delle cosiddette Boiler Room Girls ossia le sei segretarie che fino all’anno prima avevano lavorato indefessamente alla campagna elettorale del fratello Robert.
Il barbecue si era poi protratto fino a tarda sera, complice la scarsa organizzazione della grigliata, e si era trasformato in un party animato da balli e canti nel quale si era versato più alcool del previsto. A questo punto Mary Jo Kopechne, una delle sei assistenti, adducendo stanchezza e uno stato di malessere, avrebbe richiesto a Ted Kennedy di essere accompagnata al suo hotel a Edgartown, sull’isola di Martha’s Vineyard, prima che le corse giornaliere del traghetto terminassero. Kennedy, non volendo disturbare il suo autista intento a cenare, avrebbe preso le chiavi della sua Delmont per accompagnare Mary Jo verso l’imbarcadero, salvo poi sbagliare strada all’incrocio tra la Chappaquiddick Road e la Dike Road, svoltando quindi a destra in quest’ultima anziché a sinistra.
Alla fine della strada, Kennedy si sarebbe accorto solo all’ultimo momento del ponte, molto angusto e con un angolo all’imbocco, per poi finire in acqua nonostante la brusca frenata e la velocità molto contenuta. Il senatore sostenne ripetutamente di aver tentato invano di abbassare il finestrino e aprire la portiera. Disse di non ricordare come avesse fatto a uscire dall’auto capovolta, nonostante rammentasse con precisione tutto il resto. Dichiarò quindi di essersi immerso più volte, nell’acqua torbida e vorticosa per via dalla corrente, nel tentativo di estrarre Mary Jo. Poi, esausto, sarebbe corso verso il cottage dove, senza farsi vedere dalla comitiva, avrebbe chiesto aiuto all’amico e suo legale Paul Markham e al cugino Joe Gargan, con i quali affermò di essersi recato nuovamente sulla scena dell’incidente. Qui i due si sarebbero avvicendati invano nel tentativo di recuperare la Kopechne dalla vettura.
Rassegnatisi all’evidenza che non ci fosse più nulla da fare, Markham e Gargan avrebbero poi accompagnato Kennedy all’imbarco del traghetto ormai chiuso. Questi, sconvolto ed esausto, dopo aver promesso di denunciare subito l’accaduto, avrebbe nuotato fino all’altra parte del canale a Edgartown per poi andare a coricarsi sfinito e in stato di shock nel suo letto allo Shiretown Hotel. Solo il mattino dopo, recuperate le forze e la lucidità, si sarebbe recato presso la stazione di polizia locale per denunciare l’incidente, dichiarandosi colpevole di mancata denuncia di sinistro stradale e omissione di soccorso.
Questa è anche, con qualche variante, la tesi proposta da John Curran nel suo ottimo Chappaquiddick, film del 2017 che si prende alcune libertà narrative ma che, tutto sommato, ricalca la versione più nota degli eventi. Una delle teorie più popolari è infatti che Ted Kennedy abbia denunciato l’incidente con ritardo per smaltire gli effetti una possibile sbronza ed evitare così una condanna per incidente causato da guida in stato di ebbrezza. Un’altra versione ancora vede il senatore e Rosemay Keogh, un’altra delle Boiler Room girls, appartarsi per fare sesso nella Oldsmobile, senza però accorgersi della presenza di Mary Jo Kopechne che, stanca e con qualche drink di troppo, si sarebbe addormentata sul sedile posteriore.
Questa versione spiegherebbe la presenza della borsetta della Keogh nell’automobile al momento del ritrovamento e spiegherebbe il fatto che la Kopechne sia stata abbandonata a bordo: semplicemente perché nessuno sapeva della sua presenza. Non è però chiaro come si possa passare un’ora a bordo di un’auto facendo sesso senza usare il sedile posteriore, oppure reclinare gli anteriori, senza accorgersi di qualcuno che dorme nell’abitacolo.
Secondo un’altra versione spesso ricorrente, Kennedy avrebbe volutamente provocato l’incidente lanciando l’auto fuori strada al fine di eliminare Mary Jo Kopechne, incinta di lui di qualche mese. Il fatto che l’autopsia non sia stata effettuata sul corpo della giovane è, secondo i fautori di questa tesi, la prova stessa del movente.
L’assenza di una prova, però, difficilmente può costituire la prova stessa. Testimonianze indipendenti sono tuttavia concordi sul fatto che i due si fossero conosciuti nei giorni precedenti l’organizzazione di quel fatidico weekend. Inoltre, gettarsi con un’auto in un canale durante una notte di luna nuova non è il modo migliore di uscire da una situazione simile, perlomeno se si vuole restare vivi. Ovviamente se invece l’incidente non si decide di simularlo.
Questo è ciò che sostiene una delle teorie più recenti, portata avanti da Bill Pinney nel suo libro Chappaquiddick Speaks. Pinney, antico residente di Chappaquiddick nonché giornalista ed editore, grazie a un corposo studio forense sulla dinamica dell’incidente, sostiene che in realtà Mary Jo Kopechne fosse già morta —o almeno creduta tale— a causa di un incidente avvenuto almeno un’ora prima rispetto a quanto dichiarato dal senatore, ossia le 11:15.
La tesi, a dire di Pinney, sarebbe suffragata dalla rivelazione sensazionale di un testimone d’eccezione: nientemeno che la cugina dello scrittore all’epoca diciassettenne che, quella sera e a quell’ora esatta, si era vista sorpassare da una berlina bianca che sfrecciava a una velocità molto sostenuta —un fatto ritenuto inusuale per quella tranquilla località. Da questo fatto Pinney deduce che gli occupanti di quell’auto stessero accorrendo in soccorso a Kennedy, il quale, probabilmente sotto l’influenza dell’alcol, era andato a sbattere a velocità sostenuta lungo la Dike Road —la strada sterrata che conduce al ponte di Chappaquiddick— impattando con la sua Oldsmobile contro dei macchinari per i lavori stradali.
Questo spiegherebbe le vistose ammaccature sulla fiancata destra dell’automobile. L’entourage del senatore, sopraggiunto di corsa per aiutarlo, avrebbe quindi inscenato l’incidente conducendo la Oldsmobile danneggiata fino al ponte, dove sarebbe poi stata fatta marciare mettendo un mattone sull’acceleratore e bloccando lo sterzo con una corda. Il segno di frenata presente sul ponte, secondo Pinney, sarebbe in realtà la sgommata provocata dalla repentina accelerazione e non un segno di frenata. La Kopechne, creduta morta, ma in realtà alle soglie del coma, sarebbe poi stata collocata all’interno dell’auto capovolta, dove la ragazza avrebbe ripreso momentaneamente i sensi per poi morire asfissiata nella bolla d’aria creatasi nella parte posteriore del mezzo. Questo, secondo Pinney, spiegherebbe anche l’assenza di tagli ed escoriazioni che la passeggera, seduta sul lato destro, avrebbe dovuto mostrare a causa dell’esplosione dei cristalli dei finestrini.
In realtà i segni dello pneumatico sinistro sulla superficie di legno del ponte possono essere spiegati anche con l’attrito causato dal trascinamento della ruota sinistra che, per effetto del differenziale posteriore aperto montato sulla Delmont 88, aveva preso a girare in senso opposto a quello della ruota motrice destra che per brevissimi istanti si era trovata in assenza di attrito sospesa nel vuoto, prima che la berlina volasse definitivamente in acqua.
Inoltre, nell’ipotesi della collisione con un altro veicolo resta da spiegare perché la fiancata dell’automobile non presentasse né i graffi né i segni di vernice che si riscontrano sempre in tali casi. È difficile pure credere che un incidente così grave da provocare tali danni all’auto e una perdita di coscienza così profondo nella vittima non abbia lasciato su quest’ultima escoriazioni, lacerazioni né ematomi, risultati assenti al primo esame post-mortem e durante la preparazione funebre.
Soprattutto è assai poco credibile l’idea che due o tre persone si immergano per infilare un cadavere —o presunto tale— in un’automobile già sommersa e capovolta, nel buio più pesto, al fine di simulare un incidente, invece di spedire auto e passeggero tra i flutti.
Tutto questo disturbo per coprire un incidente sospetto e denunciarne un altro altrettanto poco credibile. Senza dimenticare l’indugio nella denuncia dell’incidente che rappresentò, e ancora oggi rappresenta, il vero punto cruciale della vicenda. Insomma, «l’inspiegabile ritardo», come lo definì lo stesso Kennedy, foriero di tutte le speculazioni nate attorno a questo caso.
È appunto sull’increscioso indugio con cui viene denunciato l’incidente e sulle consecutive contraddizioni riscontrate nelle dichiarazioni di Ted Kennedy che si era focalizzata l’attenzione del tenente della polizia di Cape Cod, Bernie Flynn, il quale sostenne una tesi poi condivisa e resa pubblica pochi mesi dopo l’evento da Jack Olsen, giornalista d’inchiesta del Time, nel suo instant book The Bridge at Chappaquiddick. Il libro propone una tesi mai definitivamente provata, ma che a una attenta analisi dei fatti risulterebbe più credibile e ragionevole di tutte le altre ricostruzioni citate, inclusa quella sostenuta dallo stesso senatore. Secondo Olsen, Kennedy non solo non sarebbe stato alla guida della sua automobile, ma non si sarebbe nemmeno trovato sul luogo al momento dell’incidente restando quindi all’oscuro di tutto fino al mattino seguente.
La ricostruzione del giornalista si incardina su una testimonianza chiave, quella del vicesceriffo Christopher Huck Look. Il funzionario di polizia dichiarò infatti di aver incrociato la Oldsmobile di Ted Kennedy tra le 12:30 e le 12:45 della notte tra il 18 e il 19 luglio, ossia un’ora più tardi rispetto a quando il senatore collocò l’incidente. Dalla sua autopattuglia, Look aveva visto una Oldsmobile ferma nell’area sterrata all’incrocio tra la Chappaquiddick Road, Cemetery Road e la Dike Road, con a bordo un uomo al volante e una passeggera e, secondo la sua versione, qualcuno o qualcosa di non meglio identificato sul sedile posteriore.
Look era quindi sceso dall’autopattuglia con la torcia in mano per avvicinarsi alla Oldsmobile pensando di aiutare il conducente che, chiaramente non del posto, sembrava essersi smarrito e non sapere quale strada imboccare. Mentre il vicesceriffo era ormai a pochi metri dall’automobile, questa si rimise in moto indietreggiando e ripartendo a tutta velocità in direzione della Dike Road.
Look aveva riflettuto se non fosse il caso di inseguire il veicolo, ma dal momento che non vi era stata alcuna infrazione e che probabilmente il conducente aveva solo sbagliato strada, non aveva ritenuto necessario proseguire. Alla fine, si era detto, Chappaquiddick è un’isolotto dove non ha senso tentare alcuna fuga. Inoltre non aveva riconosciuto il senatore Ted Kennedy, né Mary Jo Kopechne, ma aveva registrato il modello di automobile e parte delle cifre della targa.
Quando il mattino dopo venne convocato sul luogo dell’incidente e assistette alla rimozione dell’automobile dal canale, si sentì male. Riconobbe l’autovettura e si ritenne colpevole di aver indirettamente causato la sciagura, mettendo in allarme il conducente e non effettuando l’inseguimento —cosa che avrebbe permesso, se non di evitare l’incidente, almeno di prestare immediato soccorso alle vittime.
Ciò che Olsen deduce da questa testimonianza —corroborata non solo dall’attendibilità del soggetto, ma anche dalle conferme dei suoi spostamenti durante quella notte— è che Kennedy, appartatosi con la Kopechne e vistosi avvicinare da un agente di polizia in una situazione imbarazzante, si sia allontanato a tutta velocità e, temendo di essere raggiunto, sia sceso dall’autovettura a metà strada sulla Dike Road lasciando proseguire da sola Mary Jo al volante della Oldsmobile per tornare quindi a piedi al cottage. In fondo, se la ragazza fosse stata raggiunta dalla polizia nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto facilmente giustificare di avere preso in prestito l’automobile del senatore per far rientro al motel ed essersi quindi smarrita.
Mary Jo Kopechne, invece, spaventata e credendo di essere inseguita, si sarebbe quindi trovata a correre lungo quella strada buia, sconnessa e priva di segnaletica, al volante di una imponente e veloce berlina con la quale non aveva alcuna familiarità —avendo fino ad allora guidato solo il suo Maggiolino VW— e nella quale toccava a malapena la pedaliera. Il sedile era infatti posizionato all’altezza di Ted Kennedy, 187 cm, mentre lei raggiungeva a malapena i 156.
Insomma, la Kopechne si sarebbe accorta troppo tardi del ponte finendo per volare giù nel canale a tutta velocità. Per quanto sorprendente, questa ricostruzione chiarirebbe molti punti oscuri e contraddizioni nella versione del senatore come le seguenti:
1) Ted Kennedy sosteneva di essere uscito per riaccompagnare Mary Jo Kopechne al suo motel sull’isolotto di Martha’s Vineyard prima che il traghetto terminasse il servizio a mezzanotte. Bugia: in realtà la Kopechne aveva lasciato la sua borsetta, la chiave della sua camera e altri effetti personali al cottage. Inoltre nessuno dei due aveva avvisato gli altri che si sarebbero diretti al motel, quando è ragionevole pensare che anche le altre colleghe e amiche di Mary Jo avrebbero potuto voler approfittare del passaggio in automobile.
2) Kennedy sostenne sempre di aver sbagliato direzione e di aver quindi imboccato la Dike Road per errore poiché non aveva familiarità con la strada. Bugia: solo in quel giorno il senatore aveva guidato avanti e indietro dal molo al cottage almeno per un paio di volte e nel pomeriggio aveva anche percorso avanti e indietro pure la Dike Road per andare alla East Beach, attraversando quindi anche il ponte sul Poucha Pond. Inoltre, come evidenziò il giudice, nessuno avrebbe mai potuto confondere la Chappaquiddick Road, perfettamente asfaltata, con la Dike Road, sterrata e piena di buche.
3) Kennedy sostenne di essere uscito di strada mentre guidava a una velocità di circa 20-25 miglia orarie (35-40 km/h circa). I segni lasciati dall’attrito degli pneumatici e dal contatto del differenziale posteriore contro il cordolo del ponte, indicano un’uscita di strada stimata da diversi periti attorno alle 35 miglia orarie (quasi 57 km/h). Questo spiegherebbe anche l’esplosione dei finestrini del lato passeggero, la rottura del parabrezza e lo schiacciamento del tetto, dovuti all’urto subito dall’auto che, ruotando per aria, impattava già capovolta contro la superficie dell’acqua. Le vistose ammaccature sulla fiancata destra si spiegano più che con la tesi di Pinney, con la forza dell’impatto con l’acqua e con il fatto che il relitto dell’auto venne fatto ruotare sul lato destro sul fondo irregolare del canale prima di essere raddrizzato e trainato fuori.
4) Kennedy dichiarò di non ricordarsi come avesse fatto a uscire dall’auto, avendo tentato invano di abbassare il finestrino, e di non essere riuscito a rientrare nel veicolo una volta fuori. Bugia: il finestrino del guidatore era completamente abbassato al momento dell’incidente, mentre i finestrini del lato passeggero erano andati in frantumi nell’impatto con l’acqua. Inoltre, se Mary Jo Kopechne fosse stata seduta nel lato passeggero, nell’esame post-mortem sarebbero stati riscontrati tagli e contusioni compatibili con la proiezione dei frammenti di cristallo temperato sul viso e sulle braccia nude della giovane, che invece non presentavano nessuno di questi segni.
5) Kennedy dichiarò di essersi reimmerso più volte in acqua, nonostante la corrente impetuosa, per estrarre Mary Jo dall’auto, e poi di essere corso al cottage. Bugia: in primis Kennedy, in seguito all’incidente aereo del 1964 costato la vita ai suoi collaboratori, aveva subito gravi e permanenti danni alla spina dorsale che gli causavano dolori costanti e lo obbligavano a indossare sempre un corsetto ortopedico capace di limitarlo fortemente nei movimenti. Inoltre la corrente di marea, all’ora in cui sosteneva di aver avuto l’incidente, era pressoché insignificante, mentre era molto forte a partire dal mattino seguente. In ogni caso, nelle sue condizioni, difficilmente sarebbe riuscito ad affrontarla.
6) Kennedy sostenne di essere rientrato di corsa al cottage per chiedere aiuto a Gargan e Markham senza farsi notare dagli altri membri della comitiva. Bugia: lungo la strada che il senatore dichiarava di aver percorso si sarebbe imbattuto a pochissima distanza dal ponte in almeno due abitazioni e in una stazione non presidiata dei Vigili del Fuoco, da dove avrebbe potuto richiedere aiuto. La prima abitazione era a 200 metri dal ponte. All’ora in cui Kennedy sosteneva fosse accaduto l’incidente, i proprietari erano svegli con luci accese e finestre aperte. Sentirono sì passare un’automobile, ma non avvertirono né il rumore di un incidente né gridare aiuto. Altresì i residenti di un’altra abitazione, posta lungo la strada che da metà della Dike Road portava verso il cottage, vennero invece svegliati dal latrare dei cani verso l’una del mattino, quando presumibilmente Kennedy, dopo aver lasciato Mary Jo Kopechne al volante, stava rientrando a piedi verso il cottage.
7) Inoltre, benché sul corpo di Mary Jo non sia mai stata condotta una vera autopsia, gli immediati rilevamenti post-mortem confermarono che la ragazza non era morta annegata sul colpo, ma che era sopravvissuta almeno due ore nell’acqua fredda e nella totale oscurità all’interno della bolla d’aria formatasi a ridosso del sedile posteriore, quando la Oldsmobile si era capovolta e inclinata con il muso verso il basso, finendo per poi morire asfissiata per mancanza d’ossigeno. Questo dimostra invece che Kennedy e i suoi amici mentirono, perché se fossero stati presenti sulla scena dell’incidente, avrebbero facilmente potuto rendersi conto che Mary Jo era rimasta viva. Il rilevamento post-mortem e la preparazione funebre rivelarono che la giovane era perfettamente vestita, ma che non indossava le mutandine.
8) Kennedy sostenne di essere tornato sul posto con Joe Gargan e Paul Markham per tentare più volte di ripescare Mary Jo. Bugia: questa versione è totalmente assente sia nella sua conversazione con lo sceriffo Arena sia nella sua dichiarazione autografa del mattino seguente, mentre appare una settimana dopo in occasione della sua dichiarazione televisiva. È quindi poco credibile che una informazione così rilevante non sia stata data per una settimana intera.
9) Kennedy sostenne di ricordare gli orari successivi all’incidente e fino al suo rientro a Edgartown perché aveva osservato l’orologio della vettura di Gargan. Bugia: la Plymouth Valiant noleggiata da Gargan non era dotato di orologio.
10) Al portiere dell’hotel in cui risiedeva Kennedy, questi apparve verso le 2:20 del mattino, asciutto, in ordine e perfettamente sereno. Non fradicio, esausto, sotto shock e disorientato per una possibile commozione cerebrale che, secondo quanto dichiarò, i suoi medici personali gli avevano riscontrato. Inoltre, sommando le tempistiche dichiarate da Kennedy tra l’incidente, i tentativi di soccorso e gli spostamenti, questi non avrebbe mai potuto presentarsi a quell’ora e in quello stato alla reception dell’hotel.
11) Il mattino seguente, gli ospiti dell’hotel Shiretown che incontrarono Ted Kennedy e conversarono con lui riferirono di un suo atteggiamento totalmente sereno, sobrio e disinvolto. Solo nel momento in cui Gargan e Markham lo avvicinarono e gli parlarono a bassa voce, il senatore apparve improvvisamente sconvolto e interruppe bruscamente la conversazione che stava intrattenendo con i vicini di stanza.
Secondo questa tesi, Kennedy non si trovava dunque a bordo dell’automobile ed era ignaro di quanto era occorso a Mary Jo Kopechne. Perché allora assumersi la responsabilità penale dell’incidente?
Nel momento in cui il senatore ricevette la notizia del decesso, egli sapeva di essere stato visto da un agente di polizia a bordo della sua auto assieme alla ragazza e non poteva escludere di essere stato riconosciuto. Di qui la necessità di retrodatare il momento dell’incidente a pochi minuti dopo la partenza dal cottage, fugando così ogni speculazione riguardo a quanto accaduto nell’ora piena nella quale i due, invece, si erano allontanati dal party senza avvisare nessuno, prima di essere visti dal vicesceriffo.
Per Ted Kennedy, uomo politico in lizza per la Casa Bianca, sposato con una moglie che aveva già subito due aborti spontanei consecutivi ed era da poco incinta del terzo figlio, l’essere sorpreso dalla polizia a bordo di un’auto con una segretaria giovane, attraente e nubile, e magari con qualche bicchiere in corpo, avrebbe rappresentato un gravissimo scandalo capace di costare divorzio e candidatura presidenziale. Figurarsi se poi, a causa della sua scappatella e della vigliacca fuga dall’autovettura, si fosse saputo che Mary Jo Kopechne aveva finito per uccidersi.
Benché in questo scenario non sussistesse nessun capo di imputazione possibile, la responsabilità morale rinfacciata al senatore avrebbe annientato reputazione e carriera politica. Paradossalmente, su consiglio del suo entourage, Kennedy avrebbe preferito costituirsi e accusarsi spontaneamente della fattispecie di reato più grave di cui era imputabile secondo le leggi del Massachussets, ossia quella di abbandono della scena di un incidente causato in qualità di conducente e di lesioni personali gravissime come conseguenza di sinistro stradale.
Imputazioni che con la sua fedina penale intonsa e il suo ruolo politico non avrebbero causato una pena maggiore a due anni con la certezza della condizionale. Questo approccio, che può sembrare masochistico, nella visione di Ted Kennedy e del suo entourage, avrebbe da un lato permesso di prevenire un processo e la relativa indagine istruttoria con gli inevitabili approfondimenti e dall’altra di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da meschini pettegolezzi, mostrando il senatore nella luce di vero eroe tragico che, dopo aver seppur invano cercato di salvare la vita della povera passeggera, si era assunto poi la piena responsabilità dell’accaduto, accettandone in modo stoico ed esemplare le conseguenze penali e morali.
È probabile, benché ormai impossibile da provare nelle opportune sedi, che se davvero vi è stato un cover up riguardante le tragedie della famiglia Kennedy, sia stato proprio questo il caso. Ed è curioso che nonostante questa ricostruzione sia stata tra le prime a essere avanzata e abbia molti punti che la suffragano —qui ne abbiamo raccolti succintamente alcuni— sia stata riproposta in poche occasioni. Solo nel 1994 la BBC produsse un documentario-intervista in cui i testimoni dell’epoca concordarono in più punti con la tesi avanzata da Olsen.
Ciò probabilmente è accaduto perché nell’economia del pensiero cospirazionista è più facile credere a una tesi del complotto che veda Ted Kennedy in una posizione penalmente più grave di quella che gli è toccata e non il contrario. La tesi di Flynn e Olsen solleva Kennedy da un’accusa penale, però lo mette in una luce moralmente più grave: quella di chi per puro calcolo politico ha mentito per coprire uno scandalo sessuale non una volta, ma tutta la vita, a costo di accusarsi di un reato non commesso.
Se ai nostri occhi può sembrare poco sensato che qualcuno, tanto più potente, possa incolparsi di un reato che non ha commesso, bisogna però calarsi nella mentalità puritana e bigotta degli Stati Uniti di fine anni Sessanta, a seguito della quale uno scandalo sessuale, soprattutto in presenza di un decesso, avrebbe avuto per un politico una ripercussione reputazionale più grave di un malaugurato incidente mortale.
Una mentalità forse oggi non più così tanto intransigente, anche se ancora trent’anni più tardi lo scandalo Lewinsky fece tremare Bill Clinton in un momento in cui il presidente godeva della sua massima popolarità, al punto da far ripetere a un giornalista che l’unico modo per rovinargli la carriera sarebbe stato di farlo trovare a letto con una ragazza morta o un ragazzo vivo.
Ebbene, nel caso Chappaquiddick la ragazza morta c’era eccome. Se lo scandalo non poteva essere evitato, poteva almeno essere ridimensionato sviando i sospetti da una condotta immorale e colpevole tramite l’ammissione di un tragico incidente nel quale nulla c’era da nascondere.
In realtà se questo è stato il piano, non ha funzionato a dovere. La posizione morale di Kennedy non ne uscì affatto bene perché quando il senatore si assunse la colpa dell’incidente presso la stazione di polizia di Edgartown, ancora non poteva sapere della lunga e straziante agonia toccata a Mary Jo Kopechne.
Infatti benché sul corpo della giovane non sia mai stata condotta una vera autopsia —fatto che ancora oggi nutre le teorie del complotto più svariate— gli immediati esami post-mortem confermarono che non era annegata sul colpo, ma sopravvissuta almeno due ore all’interno della bolla d’aria che si era formata a ridosso del pavimento antistante il sedile posteriore, quando la Oldsmobile si era capovolta e inclinata con il muso verso il basso, per poi morire asfissiata.
Anche la posizione del corpo della Kopechne, recuperato in pieno rigor mortis, indicava che la ragazza si era rifugiata in quella posizione incapace di orientarsi nell’acqua fredda e nella totale oscurità. Questo peggiorò la posizione di Ted Kennedy. Il senatore non poteva infatti prevedere la reazione di sdegno dell’opinione pubblicata causata dal fatto che la sua omissione di denuncia era diventava la vera causa della morte della giovane. La Kopechne avrebbe potuto ancora essere salvata se i soccorsi fossero stati allertati in tempo.
Il silenzio e l’isolamento dei giorni successivi all’incidente vennero infine interrotti da due eventi di fortissimo impatto mediatico, ma che contribuirono a dividere l’opinione pubblica e a danneggiare la credibilità del senatore.
Il primo fu la sua commossa partecipazione al funerale della Kopechne, in compagnia della moglie Joan, durante il quale sfoggiò un poco credibile collare ortopedico di cui non aveva mostrato alcuna necessità nei giorni precedenti né in quelli successivi all’evento. L’atteggiarsi a eroica vittima in un momento simile provocò un effetto decisamente contrario nel pubblico. Il secondo fu la storica dichiarazione televisiva in cui assumeva la responsabilità dell’accaduto e si dichiarava estraneo a ogni condotta dubbia o immorale (excusatio non petita…).
Come nel caso di alcune celebrità mediatiche dei nostri giorni, questa dichiarazione sarebbe poi stata analizzata infinite volte finendo per essere interpretata come un clamoroso autogol comunicativo. A spiccare, in maniera marcata, fu più l’ansia di mostrarsi innocente e riconquistare il consenso degli elettori che l’intenzione di trasmettere il cordoglio per la povera Mary Jo Kopechne.
Anche la mite condanna inflitta dal tribunale —sospensione della patente per un anno e due mesi di detenzione, con sospensione condizionale della pena— fece e fa ancora oggi indignare buona parte dell’opinione pubblica che ritiene come alla fine, in un caso o nell’altro, Ted Kennedy se la sia cavata troppo a buon mercato.
Eppure una maledizione sembrava comunque essere caduta su di lui. Alla fine, il matrimonio con Joan naufragò comunque. Lei perse il figlio che portava in grembo a causa dello stress emotivo provocato dalla vicenda fin qui descritta. Pochi anni più tardi, Ted rischiò di perdere il figlio dodicenne, Ted Jr, a causa di un cancro al quale sopravvisse al costo dell’amputazione di una gamba.
Soprattutto il sogno di essere eletto presidente fu destinato a non realizzarsi mai, sia nel 1972 che nel 1979 quando tentò ancora la scalata alla Casa Bianca. Allora, in un’altrettanto memorabile, disastrosa, apparizione televisiva, tornò a parlare dell’incidente di Chappaquiddick, ma soprattutto non seppe motivare in modo credibile le ragioni per cui voleva diventare presidente.
Durante l’esercizio della sua lunga e fruttuosa carriera di senatore, Ted Kennedy tornò più volte a ricordare pubblicamente con amarezza la notte tra il 18 e il 19 luglio 1969. Indipendentemente dal fatto che abbia detto o meno la verità sulla dinamica dell’incidente, è probabile che il senso di colpa sia stato molto più grave di quanto non abbia mai ammesso.
Se vogliamo, in questa vicenda possono vedersi tutti i contorni di una novella gotica di Mary Wilkins Freeman o Vernon Lee. L’ambientazione in un idillico villaggio del Nordest protestante e puritano; la bionda fanciulla che muore annegata in uno stagno come conseguenza della violazione di un tabù morale; l’uomo che ne ha causato la morte, capace di sfuggire al castigo terreno grazie alla sua posizione sociale, perseguitato dallo spirito della defunta che torna a tormentarlo imponendogli la vera condanna di non trovare mai pace e la realizzazione degli obiettivi tanto agognati.
Quel che invece troppo spesso viene dimenticato, oppure resta sullo sfondo del racconto come un dettaglio, è una giovane e graziosa ragazza di ventotto anni. Mary Jo Kopechne, figlia unica di una famiglia modesta, instancabile lavoratrice e brillante attivista politica, amata e stimata da tutti coloro che la conoscevano. Di questa triste vicenda dovrebbe essere la vera protagonista.
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