Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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Un pomeriggio d’autunno del 1966 un’auto della polizia californiana in normale servizio di perlustramento nel ghetto nero di Oakland giunta all’altezza di Grove Street rallentò e si fermò davanti a un capannello di persone. Su una catapecchia in mattoni rossi un cartello di legno portava la scritta Black Panther Party for Self-defense (Partito delle Pantere nere per l’autodifesa): ne uscirono sei o sette neri armati di carabine, pistole e fucili a pallettoni. L’auto della polizia scivolò via rapidamente e per radio dette l’allarme alla centrale. Due dei neri — uno studente in legge di 24 anni a nome Huey Newton e un attore di varietà fallito di 27 anni, Bobby Seale — salirono su una vecchia Ford del 1956 parcheggiata lì davanti e si misero tranquillamente ad aspettare con le armi in bella vista.
Dopo pochi minuti, arrivarono quattro auto della polizia. Un agente si avvicinò e chiese a Newton: «Ehi, che diavolo credete di fare con tutte quelle armi?». «E tu con la tua?», risposte impassibile Newton. Mentre si stava radunando una piccola folla di neri, Huey scese e mise un colpo in canna alla sua carabina M-1. I poliziotti cominciarono a preoccuparsi e ad allontanare i passanti. La discussione continuò per qualche minuto, sempre più tesa, poi la polizia — di fronte non tanto alle armi, quanto allo sfoggio inaudito di consapevolezza giuridica dei propri diritti fornito da quei neri — fece marcia indietro e sparì.
Questo episodio, raccontato da Bobby Seale nel suo libro Seize the time (Cogli l’occasione), segna la prima confrontazione, con il codice e con le armi, tra il Black Panther Party e l’ordine costituito dell’America bianca. Nei molti e spesso sanguinosi conflitti che a esso seguiranno, fra quello scorcio del 1966 e la fine del 1971, passa come una meteora, dall’oscurità alla fama all’annientamento, la storia del più celebre movimento nero del dopoguerra.
Oakland (450 mila abitanti, dei quali 200 mila neri) è un prototipo di piccola città industriale americana che riproduce, esasperandoli, tutti i problemi del Paese, con il suo campus universitario in ebollizione, il suo ghetto colmo di giovani disoccupati, la sua tensione razziale. Huey Newton e Bobby Seale, i due fondatori delle Pantere nere, non sono né dei poveri disperati né dei rivoluzionari di professione. Risiedendo nel ghetto, assistono quotidianamente alle sopraffazioni della polizia bianca contro la gente di colore e sanno che non tutti in questa polveriera, soprattutto i giovani, sono disposti a sopportare in eterno. Vivendo però e studiando anche nel campus del Merritt College, la lettura sia pure superficiale di opere quali I dannati della terra di Fanon, l’Autobiografia di Malcom X, i Pensieri di Mao e nello stesso tempo la constatazione comune a tanti studenti bianchi radicali del fallimento dei sit-in e delle marce per i diritti civili nel Sud, li spingono a cercare nuove forme di lotta.
Intanto le rivolte nei ghetti di Harlem (New York, 1964) e di Watts (Los Angeles, 1965) e l’assassinio di Malcom X (New York, 21 febbraio 1965) sembrano aver aperto un nuovo e più drammatico corso al movimento, fino ad allora prevalentemente riformistico, per l’affermazione del Black Power, il potere nero. Questo sfondo di tensione e di violenza interna dell’America johnsoniana, sempre più pesantemente coinvolta all’esterno in quella guerra del Vietnam che sarà l’altro vessillo ideologico della rivolta giovanile, spiega come la modesta scintilla accesa da Newton e Seale sia rapidamente dilagata snaturando forse l’essenza iniziale del movimento che era ingenuamente riformistica e legalitaria.
La prima «scoperta» di Newton, studente di legge, è infatti che nello Stato della California è consentito girare armati per «legittima difesa» e che in macchina un cittadino può liberamente portare una pistola con il colpo in canna. Ma soprattutto che il codice garantisce a tutti, anche in caso di arresto, una vastissima gamma di diritti. Solo che nel caso dei neri questi diritti vengono quasi sempre sistematicamente violati: anche a causa della totale ignoranza di troppa gente di colore e della naturale abitudine dei poliziotti bianchi a trattare i neri come cittadini non dell’America, ma di una colonia chiamata ghetto.
Newton e Seale raccattano fondi vendendo per un dollaro l’uno i libriccini rossi dei Pensieri di Mao, comprati a 25 cents da un importatore cinese, e coi primi 200 dollari comprano fucili e organizzano bande armate di giovani neri che cominciano a pattugliare in auto del strade del ghetto di Oakland con l’incarico di «sorvegliare» i poliziotti perché non commettano angherie contro la gente di colore e non compiano arresti pretestuosi. A questi ragazzi delle pattuglie Newton ha fatto imparare a memoria quello che nel 1969 verrà poi codificato come Piccolo manuale di pronto soccorso legale in tredici punti.

Il programma politico delle Black Panthers (Image courtesy of the Online Archive of California, UCLA Special Collections)
E non a caso la denominazione completa del partito che a fine settembre 1966 era stato fondato da Huey Newton e da Bobby Seale (essendo anche gli unici iscritti al momento, si erano attribuiti l’un l’altro la carica rispettivamente di ministro della Difesa e di Presidente) è il Black Pather Parthy for self-defense, per l’autodifesa. Quello è il senso originario delle armi e del codice: ma questi due simboli contengono in potenza anche un messaggio rivoluzionario esplosivo e cioè la creazione di uno «Stato alternativo» che demitizza il sistema giuridico e di potere americano messo in piedi dalla razza bianca e tenta di sostituirlo con un sistema di ideali, di leggi, di potere nero. Il Black Power appunto.
In forma semplicistica, ma proprio per questo estremamente popolare e suggestiva, Bobby Seale nel libro già citato racconta così la nascita del movimento: «… Quando dunque organizzammo il Partito di legittima difesa delle Pantere nere, Huey mi disse: “Bobby, bisogna che elaboriamo un programma tale che le nostre madri che hanno sgobbato tanto per tirarci su, i nostri padri che hanno lavorato duro per nutrirci, i nostri fratelli minori che vanno a scuola ma ne usciranno semianalfabeti, capaci a stento a leggere, in grado di pronunciare solo parole storpiate, siano tutti in grado di capirlo”».
«In primo luogo vogliamo libertà, vogliamo essere in grado di condizionare il destino delle nostre comunità nere. Secondo: vogliamo il pieno impiego per la nostra gente. Terzo: vogliamo case degne di esseri umani. Quarto: vogliamo che tutti i neri di sesso maschile siano esentati dal servizio militare. Quinto: vogliamo un’istruzione come si deve per i nostri neri, in seno alle nostre comunità, tale da svelarci la vera natura della società decadente e razzista in cui viviamo e che indichi ai nostri fratelli e sorelle qual è il loro posto nella società perché se lo ignorano non c’è nulla su cui possano contare. Sesto: vogliamo che sia messo l’alt ai ladrocinii esercitati dagli imprenditori bianchi razzisti a spese dei neri nelle comunità nere. Settimo: vogliamo che si ponga immediatamente fine alla brutalità e agli assassinii di neri da parte della polizia. Ottavo: vogliamo che tutti i neri detenuti nelle carceri siano rilasciati perché non hanno avuto un equo processo, dal momento che sono stati condannati da giurie composte esclusivamente da bianchi, ciò che costituisce l’esatto equivalente di quanto accadeva nella Germania nazista agli ebrei. Nono: vogliamo che i neri, se devono essere processati, lo siano da gente come loro, intendendo con questo individui che abbiano la stessa estrazione economica, sociale, religiosa, storica e razziale. Decimo, per riassumere: vogliamo terra, vogliamo pane, vogliamo case, vogliamo di che coprirci, vogliamo istruzione, vogliamo giustizia e vogliamo pace».
L’attività del partito ebbe inizio con una serie di comizi improvvisati nel ghetto, di riunioni nella sede di Grove Street, e con una febbrile azione di reclutamento. Secondo la leggenda, la terza Pantera fu Bobby Hutton, che aveva appena 15 anni (sarà ucciso due anni dopo dalla polizia nello stesso ghetto di Oakland). In molti altri che si iscrivono, attratti più dalle armi e dalla suggestiva divisa paramilitare (calzoni neri, giacca di cuoio nero, basco nero, fucile nero) che non dalla ideologia, sono per ora nella stragrande maggioranza giovani neri che hanno fatto parte di gang giovanili (come David Hilliard, nominato «segretario per l’organizzazione») e hanno conosciuto il carcere, le sparatorie, le bastonate dei poliziotti.
Da Oakland, il fenomeno delle Black Panthers si allarga a tutta la baia di San Francisco, dal ghetto le adesioni si estendono anche al campus per opera dei radicali bianchi: i giornali ne parlano, cominciano a circolare le prime fotografie. Dall’underground, le «Pantere» si avviano a diventare un mito. Nel dicembre 1966 intanto esce dalla prigione di Soledad in California dopo aver scontato 9 anni per assalto a mano armata e tentato omicidio, Eldridge Cleaver: è un ragazzo di 31 anni, anche lui nato nella middle-class nera (il padre è cameriere su un treno di lusso), ma fino dalla adolescenza sbattuto da una prigione all’altra, prima per un furtarello poi quand’era ancora studente alle medie per spaccio di marijuana. Alto quasi due metri e dotato di una agilità felina, aveva davanti a sé una carriera di idolo nel football americano, ma le scarpe chiodate resteranno per sempre appese al chiodo.
A Soledad, il carcere che tanta sinistra importanza avrà nei destini delle Pantere nere (George Jackson fu accusato insieme a due «fratelli» di averci percosso a morte una guardia dopo che tre detenuti neri erano stati uccisi: e di qui inizia la vicenda dei Soledad brothers che poterà all’arresto di Angela Davis, alla morte di Johathan Jackson nel tentativo di liberare due Pantere durante un processo e all’assassinio dello stesso George Jackson nel penitenziario di San Quentin), Eldridge Cleaver matura la sua coscienza rivoluzionaria: impara a scrivere, sviluppa le sue ossessioni, principale fra tutte lo stupro della donna bianca come atto insurrezionale.
«Il carcere», dirà più tardi in Soul on ice, l’opera letterariamente più valida del movimento, «ti assicura una sorta di stravolta pace dello spirito. Hai a disposizione ore e ore in cui sai che nulla accadrà: per anni non devi preoccuparti di vita sociale, balli, ragazze, non devi neppure prenderti cura della tua biancheria. La mente ti si fa acuta: studi e impari. E sondi te stesso».

Alcune delle «Pantere» che nel maggio 1967 hanno fatto irruzione, armi in pugno, all’interno del parlamento californiano
Sempre in carcere, dove tornerà dopo essere stato rilasciato, scopre il movimento dei «Musulmani Neri» e diviene Eldridge X, ministro del culto per la comunità nera del carcere, intrecciando una fitta corrispondenza con vari avvocati bianchi liberali. Uno di questi è una donna, Beverly Axelrod, molto introdotta negli ambienti culturali radicali di San Francisco e collaboratrice della rivista cattolica di sinistra Ramparts. Tra i due nasce un amore e la Axelrod imbastisce una campagna di stampa per il rilascio di Cleaver. Quando lui è rimesso in libertà, nel dicembre 1966, gli trova un posto come collaboratore della rivista. In occasione dell’arrivo a San Francisco della vedova di Malcom X, Betty Shabazz, Cleaver conosce le «Pantere» Newton e Seale che hanno organizzato un corteo armato per proteggerla. Si unisce così al Black Panther Party portandovi un duplice contributo che avrà una importanza determinante: lo spirito della rivoluzione nera emerso negli ultimi tempi nella dottrina di Malcom X e della sua fazione dei Black Muslims e l’appoggio di stampa, di ideologia e di mezzi finanziari della intellighentsia radicale bianca.
Sono questi due contributi che fanno compiere al Black Panther Party il salto dalla self-defense (non a caso questa parola verrà rapidamente cancellata dalla dizione ufficiale del partito) a velleità rivoluzionarie e alla vera confrontazione col sistema. La repressione non tarda a venire. Il 2 maggio 1967 il Parlamento della California si riunisce a Sacramento per votare una legge che proibisce ai neri di portare le armi. Il Black Panther Party reagisce con una sfida: 30 Pantere irrompono, armi in pugno, nella sala di riunione e leggono un documento nel quale si accusa lo Stato di voler «reprimere il diritto dei neri all’autodifesa».
È un gesto spettacolare che, ripreso in diretta dalla televisione, scatena l’entusiasmo nei ghetti di tutte le maggiori città americane e fa affluire a centinaia nuove iscrizioni al partito (che tuttavia anche nel momento di massimo fulgore nel 1969 non supererà mai i 5 mila iscritti). Ma il 27 ottobre dello stesso anno, in seguito a una sparatoria in cui un poliziotto di Oakland viene ucciso, Huey Newton è arrestato sotto l’accusa di omicidio.
Cleaver che nel frattempo sta emergendo come il leader della corrente rivoluzionaria del movimento, cerca l’appoggio di nuove forze. Nel febbraio 1968 confluiscono nel Black Panther Party lo SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committeee) di Stokely Carmichael e Rap Brown che sono i massimi teorici e gli elementi di punta del Black Power e il Peace and Freedom Party (Partito della pace e della libertà), un partito di radicali bianchi con molte simpatie tra gli studenti dello SDS (Students for a Democratic Society). Sono forze nuove e nuovi soldi, provenienti dalle fonti più disparate quali gli studenti, i ricchi progressisti, la gente del ghetto, il partito comunista americano. Certo servono a pagare pesanti cauzioni come quella di 30 milioni che servirà a rimettere in libertà provvisoria Newton, ma nello stesso tempo questo pericoloso convergere di un certo tipo di consensi spinge le Black Panthers verso l’illusione di essere pronte per la sfida all’America bianca e comincia a rendere più diffidenti le masse nere moderate. Si delinea insomma quella «doppia anima» del partito, quella spaccatura — ancora non avvertita dai più — che porterà le Pantere alla scissione e alla morte. Il primo effetto clamoroso della fusione è intanto quello di presentare Cleaver come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti per le elezioni di novembre (otterrà 200 mila voti).
Mentre in tutto il mondo soffia il gran vento della contestazione giovanile e il maggio di Parigi è alle soglie, in America il sistema risponde pesantemente alla sfida. Il 4 aprile 1968, Martin Luther King, l’apostolo della non violenza, è assassinato a Memphis (Tennessee) da James Earl Ray (almeno questo è l’uomo che si dichiarerà colpevole e verrà condannato a 99 anni di prigione). Mentre i ghetti neri sono in subbuglio e le Pantere nere invitano alla calma per motivi tattici, il 6 aprile a Oakland gli agenti circondano il quartier generale del partito in Grove Street, col pretesto di una perquisizione. A poca distanza, tre auto con sette Pantere a bordo circolano lentamente in perlustrazione. In quella di testa ci sono Cleaver insieme a Bobby Hutton: li supera un’auto della polizia a fari spenti, li blocca e ordina loro di uscire con le mani in alto. Segue uno scambio di colpi. Hutton viene ucciso: Cleaver ferito a una gamba viene prima portato in ospedale e poi imprigionato insieme agli altri cinque per «attacco a mano armata».
L’anno della grande sfida al sistema si chiude con la maggior parte dei capi del partito in carcere o in libertà provvisoria, mentre Nixon eletto presidente con uno strettissimo margine sul candidato democratico Humphrey (43,4 contro 42,7 per cento dei voti) promette al Paese il ritorno «alla legge e all’ordine». Lo sbandamento nelle file delle Black Panthers e le infiltrazioni di elementi provocatori manovrati dall’FBI non tardano a dare i loro frutti. In gennaio, due viceministri delle Pantere, Carter e Huggins, sono assassinati all’università di Los Angeles. In aprile a New York, il Procuratore generale rinvia a giudizio tredici membri del partito (undici uomini e due donne) accusati di aver tentato di sistemare cariche di esplosivo nel giardino botanico di Brooklyn in cinque grandi magazzini e in una stazione della Metropolitana.
L’accusa si basa sulla testimonianza di tre agenti dell’FBI che fingendosi radicali bianchi si erano infiltrati nel gruppo terrorista. In maggio, la polizia arresta Bobby Seale presidente del partito sotto l’accusa di aver fatto torturare e assassinare Alex Rackley, un iscritto sospetto di tradimento. Cleaver intanto rilasciato dal carcere fugge prima a Cuba e poi in Algeria. In dicembre, a Chicago, 14 poliziotti armati di pistole e fucili mitragliatori fanno irruzione alle 4 del mattino in una sede del partito: Fred Hampton, capo del locale «stato maggiore» delle Pantere e Mark Clark sono assassinati mentre sono ancora a letto.
A New York fa intanto storia un ricevimento organizzato in casa di Leonard Bernstein, il celebre direttore d’orchestra e compositore: ospiti d’onore, in mezzo a signore ingioiellate e ad alcuni fra i nomi più prestigiosi della cultura e dello spettacolo, sono alcune Pantere venute «in tenuta da guerra». Il New York Times commenta: «… Questo cosiddetto partito è ormai l’incrocio fra una ideologia mao-marxista e una organizzazione paramilitare di tipo fascista. Certamente i diritti costituzionali dei suoi membri vanno rispettati; ma ricevimenti come quelli di Bernstein degradano chi li offre come chi vi partecipa e sono un insulto alla memoria di Martin Luther King…».

Angela Davis e il leader tedesco-orientale Erich Honecker
Quando Huey Newton esce di prigione, ai primi di agosto del 1970, trova un partito già in via di disgregazione: il legame con la base nera del ghetto, che si era tentato di rinsaldare un anno prima con tutto un programma di «colazioni per i bambini neri poveri» e di «scuole della liberazione» per i giovani, è diventato sempre più precario. Di contro più pesante è diventata sul partito l’ipoteca ideologica e finanziaria dei radicali bianchi, mentre, da Algeri, Cleaver seguita a predicare la «rivoluzione armata».
Il 7 agosto, dopo la sparatoria nel tribunale della contea di Marin in California dove vengono uccisi Jonathan Jackson, altre due «Pantere» e un giudice, Angela Davis viene accusata di aver fornito le armi per il complotto e successivamente arrestata dall’FBI. Angela, la brillante ex allieva di Marcuse, studentessa alla Sorbona e in Germania, iscritta al Partito comunista, diventa di colpo, grazie alla pubblicità fattale dalla stampa, il personaggio principale della rivolta nera. E proprio questo fatto dimostra il fallimento delle Black Panthers sia come partito che doveva stabilire un legame con le masse, sia come gruppuscolo rivoluzionario che è stato prontamente scavalcato non appena i suoi esponenti sono finiti in galera o hanno smesso di «far notizia» perché hanno perso il loro fascino romantico di fronte a quella intellighentsia pronta ad adottare subito nuovi personaggi più alla moda come Angela Davis o più drammatici come George Jackson.
La crisi interna esplode agli inizi del 1971. David Hilliard, un fedelissimo seguace di Newton e di Seale fin dagli inizi, assume l’incarico di «Ispettore generale» e cerca di ampliare la funzione del partito al servizio della comunità nera, criticando quella impostazione rivoluzionaria di Cleaver che secondo il gruppo di Oakland condurrà il partito alla distruzione a opera della polizia e dell’FBI o lo costringerà alla lotta sotterranea staccandolo così dalla sua base naturale e popolare che rimane quella del ghetto.
Questa nuova impostazione ha il pieno appoggio del Partito comunista americano, ma viene respinta dai gruppi di New York e di Kansas city che capeggiati da David Cox sostengono che questo tentativo di salvare il partito in un momento difficile significa in realtà svuotarlo di ogni forza e farlo regredire. Il 26 febbraio, sbigottiti, i telespettatori americani assistono in diretta come è ormai normale per tanti avvenimenti tragici o esaltanti della loro storia, alla spaccatura ufficiale delle Black Panthers. L’ospite presente in studio è Huey Newton, il suo interlocutore è Eldridge Cleaver in collegamento telefonico da Algeri. Newton afferma che il terrorismo quando è fine a se stesso pregiudica ogni movimento rivoluzionario e serve solo a favorire la repressione poliziesca. Cleaver chiede l’espulsione di Hilliard per aver «diviso il partito», Newton accusa lui di «corruzione» e di «nefasta influenza».
Poche settimane dopo, l’organo del partito, Black Panther, esce con in copertina la figura della moglie di Cleaver, Kathleen, che ha sul volto i segni di percosse: la scritta dice «Liberiamo tutti i prigionieri politici». Nell’articolo, Cleaver viene accusato di averla seviziata e di aver ucciso e sotterrato il suo presunto amante, un nero americano che era fuggito da Cuba dirottando un aereo. Cleaver reagisce espellendo Newton dal partito e accusandolo a sua volta di imborghesimento (per il fatto di vivere a Oakland in un attico dove paga 400 mila lire al mese di affitto), di amicizie omosessuali e di corruzione (perché si fa pagare ogni conferenza un milione e mezzo di lire che si guarda bene dal distribuire al partito).
Sulla scia di queste roventi polemiche nascono perfino i primi bagliori di una guerra civile tra Pantere delle due opposte fazioni: un seguace di Cleaver viene ucciso ad Harlem e qualche settimana dopo in uno scantinato si trova massacrato un seguace di Newton. In marzo, Stokely Carmichael dichiara in una intervista a un giornale: «Le Pantere nere sono praticamente finite». Più di quattro anni sono trascorsi da questo epitaffio. Anche Angela Davis è finita più o meno nel dimenticatoio, travolta dall’implacabile meccanismo di quella instant history americana che vuole sempre nuovi eroi (siano rivoluzionari o prodotti del sistema non fa differenza) per altrettanto rapidamente bruciarli. Il libro della Davis, An Autobiography, per il quale l’editore quando Angela era sulla cresta dell’onda le aveva versato cento milioni di anticipo, sta avendo poche recensioni e scarso successo. Delle Black Panthers non ho trovato quasi più traccia negli archivi dei giornali americani dove ho svolto le mie ricerche per il periodo successivo al 1971.
All’apparenza è come se quasi un decennio dalla fondazione del partito fosse trascorso invano. Gli iscritti sono meno di 500, le sedi di Denver, Seattle e Los Angeles hanno chiuso. A New York sopravvive nel sottobosco della criminalità nera legata al traffico di droga, un fantomatico Black Liberation Army (esercito nero di liberazione) che ogni tanto si rivendica la paternità di qualche attentato dinamitardo o dell’assassinio di qualche poliziotto. Le uniche città dove il Black Panther Party mantiene un minimo di organizzazione sono Chicago, Washington e Oakland. Qui i due fondatori originari, sopravvissuti alla violenza della repressione, a molti processi, allo scisma, si rifanno una verginità col ritorno del Partito al riformismo e alla legalità. Bobby Seale nel 1973 ha speso 300 milioni in una campagna per l’elezione a sindaco di Oakland. Non ha vinto ma ha ottenuto un buon successo con 40 mila voti dopo aver condotta per mesi una campagna basata sulla cooperazione razziale, il doposcuola per i bambini del ghetto, la protezione dei vecchi e delle donne nere dalla violenza, la lotta contro la droga e l’analfabetismo.
Huey Newton vive quasi asceticamente nella sua famosa «prigione dorata» in un grattacielo nella zona residenziale di Oakland. Sta ultimando almeno tre libri, il più importante dei quali è naturalmente una autobiografia (dal significativo titolo di «Suicidio rivoluzionario») e gli altri due sono una raccolta di poesie e una raccolta di saggi; nel frattempo studia varie discipline, dalla matematica alle filosofie orientali allo strutturalismo. Gli fanno compagni una guardia del corpo e una segretaria: sul terrazzo ha un telescopio puntato sul carcere che lo ospitò. Nell’ultima intervista concessa in questi anni, a chi gli chiedeva se il Black Panther Party potesse essere ancora considerato un partito rivoluzionario, ha risposto: «… Un riformista e un rivoluzionario potrebbero intraprendere la stessa azione in qualunque momento particolare della storia, ma la differenza sta nel fatto se quella azione ha una possibilità di successo o se finisce in un vicolo cieco… Io devo stare molto attento a lavorare insieme ai liberali e ai progressisti perché questo potrebbe portarmi nel vicolo cieco della conciliazione: a loro volta, i radicali possono portarmi a una forma di alienazione a farmi perdere il contatto con la coscienza reale della comunità nera…».
Su questa presa di coscienza retrospettiva di Newton e sul lavoro politico capillare che Seale sta svolgendo dentro il sistema, un nuovo Black Panther Party potrà forse lentamente ridarsi un volto e una giustificazione storica. L’America del 1975 è indubbiamente diversa da quella degli anni Sessanta ma il problema razziale è ben lontano dall’essere risolto e potrebbe in ogni momento drammaticamente tornare in primo piano nella stretta della crisi economica e della disoccupazione che ha colpito la forza di lavoro nera in misura quasi doppia di quella bianca.