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Processo alla Nco. La deposizione di Franco Califano

Redazione Spazio70

«Melluso sostiene che gli avrei toccato il sedere dicendogli "quanto sei bello"? Chi mi conosce sa che il sedere potrei averlo toccato alla sorella o alla moglie, magari...»

Napoli, 6 marzo 1985. Ore 11:30. Da un anno agli arresti domiciliari, il cantautore Franco Califano siede dinnanzi alla Corte. I reati a lui contestati sono gravissimi: associazione per delinquere di stampo camorristico e spaccio di stupefacenti. Secondo l’accusa il cantante non solo avrebbe spacciato cocaina per conto di Raffaele Cutolo, ma sarebbe stato anche affiliato alla NCO. A pesare su di lui sono le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (che si riveleranno del tutto infondate).

Giovanni Melluso, detto «il bello», uno dei principali accusatori di Enzo Tortora, ha dichiarato di aver trascorso delle serate in un locale in compagnia di Califano e di avergli ceduto per conto di Francis Turatello ingenti quantitativi di cocaina. Melluso ha affermato anche di aver dormito in una casa del noto cantautore situata in Corso Francia, aggiungendo che «il Califfo» gli avrebbe scherzosamente toccato il sedere.

Secondo il pentito Pasquale D’ Amico, ex luogotenente di Raffaele Cutolo, Califano non sarebbe un vero affiliato ma solo un fiancheggiatore e nel 1978 avrebbe cantato ad una festa dedicata a Raffaele Cutolo per poi ricevere come pagamento dal «Professore» circa 250 grammi di cocaina. Dopo aver letto i verbali che lo riguardano, il Presidente della Corte si rivolge a Califano.

«ERO AMICO DI TURATELLO, NON AVEVO BISOGNO DI ALTRO»

— Signor Califano, vuole aggiungere altro a quanto ha già dichiarato?

La copertina di «Tutto il resto è noia» con Eros Turatello, figlio del boss milanese

«È mio interesse che il processo finisca in fretta, quindi non vorrei allungarlo con i miei discorsi inutili. Volevo semplicemente dire che io, è dall’inizio, dal periodo dell’istruttoria, che chiedo che si verifichino questi tre posti specifici che ha indicato il Melluso detto “il bello”, per vedere se veramente ci sono degli scalini per scendere in questo locale, per vedere se veramente il mio locale è nei pressi di via Veneto e per vedere se questa casa io l’ho avuta veramente nei pressi di corso Francia. Sono tutte cose facilmente riscontrabili. Le ho chieste da un anno, continuo a chiederle e continuo a non averle. Poi per quanto riguarda il sedere di Gianni il bello che io avrei toccato e gli avrei detto “quanto sei bello”, chi mi conosce sa che io il sedere potrei averlo toccato alla sorella o alla moglie, magari».

— Abbiamo bisogno di qualche chiarimento. Ad esempio, i suoi rapporti con Turatello quando sono sorti?

«Ho iniziato la mia amicizia con Turatello quando sono arrivato a Milano tantissimi anni fa, quando ho iniziato la mia attività di autore. Quando conobbi Turatello avevo ventiquattro anni e lui ne aveva diciannove circa. Aveva il figlio appena nato, conobbi lui, la mamma e il figlio. Ebbi poche occasioni di coltivare questa amicizia perché lui è stato dentro, il più delle volte. Quindi ho avuto modo di frequentarlo solo nei periodi in cui era a disposizione. Nei periodi in cui lui era assente io frequentavo molto la mamma, che chiamavo zia Luisa. Il figlio invece mi chiamava zio. Non l’ho tenuto a battesimo come si è detto, comunque se questo fosse vero io ne sarei anche orgoglioso. Amo i bambini, lo sanno tutti. Per quanto riguarda Francesco lui mi ha sempre tenuto al di fuori dai suoi affari. A questo proposito voglio dire che se io avevo la possibilità di fornirmi di questi quantitativi enormi di droga da Turatello non avrei dovuto fare ricorso a D’Amico. Non ci sarebbe stato nessun senso che io poi andassi a fare dei concerti gratuitamente dal momento che io, amico di Turatello, potevo avere a disposizione tutto quello che volevo in qualunque momento».

«LA DROGA? L’HO SEMPRE COMPRATA E PAGATA»

Francis Turatello

— Comunque Turatello gliela forniva questa droga?

«Ma assolutamente no. Io ne ho fatto uso qualche volta e l’ho sempre comprata e l’ho sempre pagata».

— Veniva spesso a Napoli, lei?

«Io vengo spessissimo a Napoli, sono figlio di napoletani e a Napoli vengo spesso a lavorare perché per fortuna sono piuttosto richiesto».

— E adesso, avendo ripensato ai tempi trascorsi, ricorda se a Cupa Capodichino è stato presente a quella festa?

«Ma può essere di sì, io non lo escludo mica, assolutamente. Quello che escludo è che ho fatto un concerto e mi sono fatto pagare in cocaina. Questo lo escludo assolutamente anche perché io pagavo i miei elementi di orchestra, i miei tecnici e i miei collaboratori con dei soldi, non con delle buste di cocaina».

— Non sarebbe stato un concerto, sarebbe stata la sua presenza e quindi qualche precisazione…

«Ma come le ripeto, io ero amico di Turatello, me l’hanno sempre fatta pagare anche troppo questa amicizia, è diventata una palla al piede e mi è diventata una specie di associazione per delinquere nel tempo e io, come le ripeto, amico di Turatello non avrei avuto bisogno di nessun D’Amico».

«FATTURE E PAGAMENTI? HO UN MANAGER E UN SEGRETARIO»

[Iniziano le domande del Pubblico Ministero]

— Adesso ha avuto due anni per riflettere su quella festa a Cupa Capodichino, quindi ricorda se ha partecipato a quella festa, chi l’ha pagata e chi l’ha invitata? Questa è la seconda parte dell’imputazione perché se si dovesse dimostrare che Melluso ha detto delle cose non esatte non dimentichi che c’è la seconda parte dell’imputazione sulla quale lei non ha risposto.

«Allora, io ho un manager che mi fa il calendario. Ho un segretario che quando lavoro va a fare le fatture, si fa pagare eccetera. Io non conosco le amministrazioni dei locali per cui non posso ricordarmi…»

— Il manager è vivo.

«Sì, sì. Il manager è vivo.»

— Glielo poteva chiedere.

«Sì, sì ma io l’ho fatta quella serata, non…»

— Chi l’ha pagata? chi l’ha invitata?

«Chi mi ha invitato non lo so perché non sono io che tratto le serate, come le ripeto».

— E lei non ha avuto nemmeno la curiosità di andare a chiederlo al suo manager?

«Ma era una serata come un’altra, non era una serata in cui io mi sono fatto pagare con della cocaina».

«IL D’AMICO HA DETTO ANCHE IN TV CHE NON SONO UN CAMORRISTA»

— Ho capito ma proprio perché lei dice che non si è fatto pagare con la cocaina le chiedo chi l’ha invitata e pagata in denari, non in cocaina.

«I proprietari dei locali».

— No. Sto parlando di Cupa Capodichino, non è un locale. Forse non mi sono spiegato. Sto parlando della festa alla quale lei avrebbe partecipato a Napoli a Cupa Capodichino quella sera, lei non ricorda con esattezza, ha detto.

«No».

— Un cantante ha degli impegni, qualcuno li segnerà pure, il segretario, la segretaria…

«Ma cos’era una serata all’aperto questa? io mi riferivo a quella serata che diceva D’Amico in cui…»

— E a quella ci stiamo riferendo. Proprio a quella.

«Ma non era a Secondigliano quella? ah è più o meno quella la zona?»

— Chi l’ha pagata? chi l’ha invitata?

«Ma non lo so io, non dipende da me sapere queste cose. Se ne occupano l’impresario e il segretario».

— E non l’ha chiesto o fatto chiedere all’impresario? è una cosa che l’ha mandata in carcere, non è una curiosità così.

«Sì, ho capito, mi ha mandato in carcere però ci sono tante altre…»

— E ne abbiamo parlato.

«Il D’Amico ha detto anche in televisione che io non sono camorrista».

«DICEVANO PURE CHE AVEVO UNA MACCHINA BLU, INVECE ERA GRIGIA»

Franco Califano in una foto di metà anni Settanta

— Ho capito. Io sto parlando della seconda parte. D’Amico ha detto che lei non è camorrista però ha detto anche che è stato pagato, retribuito con duecentocinquanta grammi di cocaina.

«Io, appunto, a questa cosa mi sono ribellato dicendo: possibile che io mi rivolga a D’Amico e faccia un viaggio con tutti i camion miei per andare a prendere la cocaina quando sono amico di Turatello…»

— Ho capito, ma le chiedo, è possibile che lei sta in carcere e non ha avuto la curiosità di chiedere al suo impresario: “chi ci chiamò quella sera e quanto ci diedero?”

«Guardi, quello che mi sta dicendo lei è incredibile perché io parlo sempre di Melluso in questo processo, perché il D’Amico per me non esiste in questa causa per me».

— No, no, esiste, esiste D’Amico guardi, esiste.

«Lo so che esiste, cioè, secondo me non è…»

— Duecentocinquanta grammi di cocaina dice lui, dice D’Amico.

«Sì e dice pure che avevo una macchina blu e invece era grigia metallizzata».

— Ed esisteva già da quando lei è stato interrogato, non è che è sorto stamattina D’Amico. E lei non si è informato dal suo impresario per sapere chi l’ha pagata? chi l’ha invitata?

«No, perché non mi aspettavo questa domanda. Lo posso fare comunque e farglielo sapere. Non c’è nessun problema».


Risultando del tutto estraneo ai fatti, Franco Califano sarà assolto con formula piena. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 2010 al settimanale «L’Espresso», parlando del noto cantautore Melluso dichiarerà: «Devo chiedergli perdono, perché oltre a essere innocente, è stato al mio fianco in serate indimenticabili alle quali partecipava il boss Francis Turatello (…) Consumava cocaina, amava fare la bella vita e si circondava di donne, ma non è mai stato uno spacciatore: soltanto un grande artista che la camorra mi aveva chiesto di screditare».