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Emanuela Orlandi: ecco «l’introvabile» audio delle sevizie con le voci maschili

Tommaso Nelli

Se il reperto integrale è conservato nel suo luogo naturale, viene semmai da chiedersi come mai ne esista una versione «diversa». Dove è stata custodita? Chi l'ha realizzata e per quale scopo?

C’è una novità nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi: l’audio delle sevizie con le voci maschili esiste. E si trova agli atti di due inchieste giudiziarie. Una delle quali è proprio quella relativa alla sparizione della cittadina vaticana avvenuta a Roma il 22 giugno 1983. La notizia non può né lasciare indifferenti e né scivolare in secondo piano, come se nulla fosse. Soprattutto se si guarda al clamore suscitato negli ultimi sei anni dall’episodio al quale fa riferimento. Vale a dire l’audiocassetta con i lamenti di una voce femminile prefiguranti torture di natura sessuale, rinvenuta a Roma, il 17 luglio 1983, nella scalinata di via della Dataria di fronte la sede dell’Ansa. In essa una parte della famiglia Orlandi ha sempre detto di riconoscervi la voce della propria sfortunata congiunta.

Dal 2016 in avanti quel nastro, ritenuto dagli inquirenti dell’epoca un film a luci rosse, è stato fatto sentire nelle trasmissioni televisive “Chi l’ha visto?” e “Quarto Grado”. A caratterizzarlo, una particolarità: l’assenza al suo interno di tre voci maschili, presenti invece nella trascrizione di quella registrazione fatta dal SISDE (il servizio segreto civile) nel luglio 1983. Una mancanza che ha sollevato domande, alimentando inquietudini e adombrando complotti. Di chi erano? Chi le ha tolte? E perché? Ma soprattutto: come mai non si trova il nastro con la loro presenza? Chi l’ha fatto sparire? E che cosa ci vuole nascondere?

NESSUN MISTERO

Copertina Audiocassetta via della Dataria, 17/7/1983

Partiamo proprio dalla fine. E con una verità chiara e semplice, che spazza via ogni sospetto: nessuno ha fatto sparire nulla. Perché una copia integrale di quel nastro è custodita tra i documenti dell’inchiesta sui mandanti dell’attentato al Papa, ma soprattutto tra quelli sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Cioè la sua sede naturale. Dove è stato riversato su un cd, etichettato col numero 6 (lo stesso dell’audiocassetta), in occasione di una serie di perizie foniche predisposte dai magistrati durante la seconda inchiesta giudiziaria sulla sparizione della giovane cittadina vaticana. Dove quel nastro però non fu proprio calcolato dagli esperti, chiamati a compararne altri per fugare altri dubbi dell’enigma.

Audiocassetta via della Dataria, Trascrizione SISDE, 25/7/1983

Ma a chi di voi ci segue da diverso tempo, o a chi ebbe occasione di assistere alla diretta sul caso Orlandi sul nostro canale YouTube il 13 luglio 2020, quest’informazione non dovrebbe suonare inedita. Perché ne parlammo in risposta alla domanda di un nostro ascoltatore e raccontammo come chi scrive avesse rinvenuto quel nastro tra gli oltre duecento faldoni dell’inchiesta del giudice Rosario Priore su chi sparò a Giovanni Paolo II. E che ora vi mettiamo a disposizione. Quindi un nastro presente in due inchieste non è certo un nastro “sparito”. Ma semmai è un nastro che non è stato cercato come si deve.

Proprio la sua presenza in due incartamenti giudiziari ad accesso pubblico fa capire come non ci fosse niente da nascondere. Perché nel Paese delle “manine” e delle “manone”, se quelle voci maschili si riferissero a chissà quale intoccabile, allora di quell’audiocassetta non ve ne sarebbe rimasta traccia. E ora si potrebbe equiparare ad altri “Graal” della storia d’Italia come alcune parti del “memoriale Moro”, il contenuto della borsa del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa o l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Ma non è questo il caso.

A CHI APPARTENEVANO LE VOCI DEL NASTRO?

Audiocassetta via della Dataria, Trascrizione SISDE, 25/7/1983

Passiamo quindi al “corpus delicti”: le tanto vituperate tre voci. Che cosa dicono? Possiamo rispondere per due di loro, perché la terza, verso il finale, rilascia una frase – «Vogliam travèl» – con tono metallico e che sa tanto di voce registrata. Il contenuto delle altre invece è a metà tra un film a luci rosse e una bettola di periferia. A metà registrazione si sente un uomo dire: «Io da questa me lo farei s******». E immediatamente dopo un altro vicino aggiunge: «No, fatti fare…». Poi, pochi secondi dopo, sui titoli di coda, dopo ulteriori lamenti, la già citata «Vogliam travèl».

Il SISDE scrisse che «dall’ascolto del nastro si è tratta l’impressione che il soggetto passivo, di sesso femminile, sia stato sottoposto a sevizie, presumibilmente di carattere sessuale, da almeno tre persone di seguito. I soggetti attivi appaiono di nazionalità italiana e due di loro tradiscono un accento simile ad romanesco». Salvo poi chiedersi se quelle tre voci furono sovrascritte alla versione originale o meno. Noi invece ci chiediamo a chi appartenessero, ma non ci è dato sapere. Almeno per il momento. E comunque non è nostro compito stabilirlo, bensì spetta a chi ha i mezzi per poterlo fare e che nel 1983 fu chiamato ad accertare anche se la voce femminile fosse o meno quella di Emanuela Orlandi

Audiocassetta via della Dataria, Rapporto SISMI

Come scrissi già nel 2016 per la testata “Cronaca&Dossier”, riportando inedite, oltre quella del SISDE, anche le perizie di SISMI e Polizia Scientifica, su questo particolare si addensarono divergenze anche all’interno della stessa famiglia Orlandi. Per il SISMI la voce era di Emanuela: «L’impressione che deriva dal confronto della voce femminile registrata sui nastri sinora esaminati, con riferimento a quella relativa alla presunta “intervista” alla Orlandi (la registrazione fatta sentire alla famiglia Orlandi il 5 luglio 1983 nella prima telefonata dell’Amerikano, ndg), è che si tratti della medesima persona, in conseguenza della somiglianza del timbro e della tonalità della voce, anche se l’intensa emotività presente nella voce registrata dell’ultimo nastro, unitamente allo specifico contesto, rende più difficile il confronto stesso».

L’ipotesi del nostro Servizio militare fu avvalorata anche dallo zio della giovane, Mario Meneguzzi, e dal fratello di Emanuela, presente in studio nel 2016 a “Chi l’ha visto?” e quindi impossibilitato a sentire per la prima volta la registrazione nel 2017, come invece sostenuto da uno dei tanti video su YouTube dedicati alla vicenda Orlandi. Dissero invece di “no” la sorella Natalina, ribadendolo a “Chi l’ha visto?” dopo averlo fatto nel 1983 con i magistrati, la professoressa di francese del liceo di Emanuela Orlandi e una studentessa della “Da Victoria”, Raffaella Monzi. Interessante soprattutto quest’ultima che, forte della sua sensibilità musicale di cantora, specificò all’allora sostituto procuratore Domenico Sica il 28 luglio 1983 che «Emanuela appartiene alla categoria dei contralti e lo sviluppo della voce registrata non mi sembra di quella categoria».

PERCHÉ L’AUDIOCASSETTA FU FATTA RINVENIRE?

Audiocassetta via della Dataria, Relazione Centro Nazionale Criminalpol – Polizia Scientifica, 30/7/1983

Citando quindi un celebre romanzo di Leonardo Sciascia: a ciascuno il suo. Gli inquirenti indagano e accertano. I giornalisti verificano le notizie e scrivono. E ora possiamo affermare che questo “Graal” vaticano, così apparentemente introvabile, altro non è che un bicchiere da mercato rionale. Cioè un oggetto alla portata di tutti. Viene semmai da chiedersi “come mai” esista una versione cancellata di quel nastro; “dove” sia custodita; “chi” l’abbia realizzata e “perché”, a quale vantaggio, se poi il reperto integrale è conservato nel suo luogo naturale.

Ma anche queste risposte non sono materia nostra. Bensì di coloro che hanno portato quell’audio in tv e di coloro che lo hanno trasmesso. Per non parlare di una sua presunta versione più lunga, citata nel docufilm “Emanuela Orlandi – Un caso aperto”: dove si troverebbe, se il nastro agli atti è quello del 1983 che dura poco più di tre minuti?

Giunti a questo punto, chi è convinto che quella voce fosse di Emanuela Orlandi dovrebbe presentare un’istanza alla Procura di Roma per chiedere approfondimenti su quelle voci maschili tanto inseguite, a lungo invocate, e che ora sono a disposizione. E su tutte queste anomalie di nastri cancellati e/o allungati. Altrimenti perché sbandierare in favore di telecamera l’importanza di quel nastro avvalorando anche l’eventualità che quella voce fosse di Emanuela Orlandi?

Per quanto ci riguarda, si chiude così una storia deprecabile. Non piacevole da trattare, ma era doveroso approfondirla in tutte le sfaccettature. Anche le più scabrose. Perché era stata data in pasto alla grande platea in prima serata, favorendo tesi complottiste fondate sul nulla e ottime per alzare l’audience, salvo poi lasciare il discorso a metà. Sennonché le persone non meritano di essere confuse o destabilizzate da tanta morbosa pruriginosità, bensì di essere informate. Completamente. E se ci riesce una piattaforma come la nostra, perché non possono farlo coloro che hanno attrezzature e mezzi economici di gran lunga superiori?

Rimane comunque un interrogativo mai sopito su quel nastro. Il più importante. Perché fu fatto rinvenire? Il 17 luglio 1983 si era a meno di un mese dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, gli inquirenti non riuscivano a sbrogliare la matassa, resa ancora più intricata da alcuni messaggi di quei giorni che ipotizzavano un rapimento della ragazza in cambio della liberazione di Alì Agca. Una tesi di marzapane, come si è visto poi e come era intuibile al tempo, dato che quelle rivendicazioni erano prive di sigle e gli autori mai si accreditarono e mai dettero prove di detenere la ragazza.

Anche quell’audiocassetta sembrò avvalorarla, visto che sul “lato A” presentava un prolisso quanto sgangherato comunicato letto da un italiano che fingeva di essere turco. Sennonché sul “lato B”, per l’appunto, c’era quella voce femminile vittima di sevizie, che di fatto lanciava nella mischia la prima alternativa sulla fine di Emanuela Orlandi: uno scenario di violenza sessuale. Un’ipotesi che diverrebbe certezza se quella voce fosse davvero quella della ragazza, che contemplerebbe l’occultamento – se non distruzione – del suo corpo e che farebbe di quel nastro lo strumento per mandare un messaggio su che cosa si nasconde dietro questo enigma. Spesso i misteri cominciano perché si guarda nella direzione sbagliata.