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«Mirella Gregori, la ragazza inghiottita dalla terra»: il libro che può riaprire il caso

Tommaso Nelli

Il nuovo lavoro sul caso della ragazza romana scomparsa il 7 maggio 1983 rafforza la convinzione che elementi di verità possano essere cercati nello studio approfondito degli atti, nella verifica dei luoghi frequentati e nel riascolto delle persone legate da vincoli di vicinanza e amicizia (per esempio, Sonia De Vito)

Un libro che parte da un documento di quarant’anni fa, da noi pubblicato in esclusiva, potrebbe riaprire uno dei più noti cold case degli anni Ottanta. In Mirella Gregori, la ragazza inghiottita dalla terra (“Runa Editrice”, in libreria dal 23 marzo) c’è una storia nella storia. Quella del suo autore, Fabio Rossi, sottufficiale in servizio il 7 maggio 1983, presso la Stazione Carabinieri di Roma – Viale Libia, quando si persero le tracce della quindicenne romana. Rossi era in perlustrazione notturna automontata nella zona Parioli-Nomentano quando, dalla Centrale Operativa, arrivò la segnalazione della scomparsa di «una ragazza dalle parti del monumento del Bersagliere, a piazzale di Porta Pia». Era Mirella. «Così», ci racconta l’ex maresciallo, in pensione dal 2015, «facemmo un giro in quelle zone, nella speranza di trovarla. La madre aveva presentato la denuncia la sera stessa, ma non trovammo niente». La vicenda però gli rimase impressa – «Mi sono sempre chiesto che fine avesse fatto» – ma mai avrebbe immaginato di occuparsene in prima persona, soprattutto dopo tanto tempo. A Spazio70, Rossi ha deciso di raccontare per la prima volta il meticoloso lavoro di ricerca che sta alla base del suo libro.

Fabio Rossi

Fabio Rossi, “quando” e “come” è scattata la molla per questo libro?

Era il 12 novembre 2019 quando, vedendo il docufilm del programma tv “Scomparsi”, dedicato a Mirella Gregori, rimasi colpito dal documento del SISDE trovato e pubblicato dal giornalista Tommaso Nelli nel 2016, ma passato inspiegabilmente sottotraccia. Lì ho sentito la voglia e il dovere di fare qualcosa per Mirella.

Perché quel documento del SISDE è così importante?

Per quel che c’è scritto. Sonia De Vito, l’amica del cuore di Mirella, confidò a un’altra ragazza: “Lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo. Come ha preso Mirella, poteva prendere anche me”. Perché parlò così? Conosceva qualcosa o faceva solo delle supposizioni? Intendiamoci: la mia non è assolutamente un’accusa, anzi nel corso del tempo ho maturato l’idea che Sonia non c’entri nulla, non escludendo, però, che possa essere a conoscenza di particolari apparentemente trascurabili che, invece, potrebbero essere importanti. Però qualcuno le avrebbe dovuto chiedere delucidazioni su quelle parole, approfondendo quel documento invece di lasciarlo giacere tra gli atti in Procura. Invece non è stato fatto nulla. Né nel 1983, né soprattutto nel 2016 quando questo documento è venuto fuori.

Anche in virtù della sua esperienza nell’Arma, perché questo documento è stato trascurato dalle indagini? E perché la famiglia di Mirella Gregori non ha mai mostrato concreto interesse nonostante lo conosca da sette anni?

Intanto perché aveva come oggetto “Scomparsa di Emanuela Orlandi”, nonostante il contenuto fosse incentrato solo su Mirella. Un’inesattezza che fa capire come le attenzioni degli inquirenti fossero rivolte soltanto su Emanuela. Non mi so dare una spiegazione logica, se non quella di un errore di valutazione. Sulla famiglia non so, probabilmente perché a inchiesta chiusa non hanno avuto la forza dirompente di convincere qualcuno a chiedere tutti gli accertamenti del caso.

Lei ha chiesto alla sorella di Mirella perché non abbia mai fatto niente con questo documento?

No, ma glielo chiederò.

Dopo l’atto del SISDE, come ha impostato il suo lavoro?

Ho analizzato, in tempi di pandemia, i documenti del fascicolo su Mirella custoditi nell’archivio della Procura di Roma e ho cercato testimonianze inedite.

Prima di parlare dei frutti della sua ricerca, chi era Mirella Gregori?

Una brava ragazza, semplice, “acqua e sapone”, come mi è stata descritta dalla sorella (Maria Antonietta, ndg) e molto affettuosa.

Che cosa ha trovato di saliente in Procura?

Prima dell’unificazione dei casi Gregori e Orlandi, per Mirella si era fatto poco. Giusto un’indagine su un gruppo di coetanei, poi tutti scagionati, fra i quali c’era anche un compagno di classe della terza media che si chiamava Alessandro, come la persona che citofonò a casa di Mirella e la convinse a scendere in quel maledetto 7 maggio.

E dopo l’unificazione (avvenuta nel 1985 a seguito dell’avocazione delle indagini da parte della Procura Generale che istruì il rito formale)?

Il caos. Perché i due casi non sono collegati, come scritto dai magistrati, tanto che l’accanimento in questa direzione degli ultimi anni, da parte di tutta una serie di soggetti, non fa che aumentare il male su entrambe le ragazze.

Torniamo a quel 7 maggio 1983. Come scompare Mirella e che cosa non quadra?

Alle 15, Mirella rispose al citofono. Sulle prime non riconobbe l’interlocutore, poi riattaccò e disse alla mamma che era “Alessandro”, un suo compagno delle medie, di cui era stata innamorata, che voleva incontrarla per un saluto alla statua del Bersagliere insieme ad altri amici. Una stranezza, perché erano trascorsi due anni dalle medie e lei lo aveva visto soltanto due volte. Però uscì lo stesso, di corsa e senza documenti. Si fermò nel bar dei genitori di Sonia, situato sotto casa sua, e parlò con l’amica di questo appuntamento. Dopo un quarto d’ora circa, andò verso Porta Pia e sparì. Non torna la dichiarazione di Sonia sul fatto che Mirella si sarebbe poi diretta a Villa Torlonia con questo gruppo, perché lei alle 16:30 aveva appuntamento con una sua amica compagna di classe.

Perché Sonia rilasciò queste affermazioni? Dalla lettura dei documenti che idea ha di lei?

Una ragazza come altre, un pochino più grande e matura di Mirella, perché già lavorava ed era fidanzata ufficialmente (come si diceva all’epoca). Le sue dichiarazioni, contrastanti con quelle di altre persone (come la sorella di Mirella), hanno dato adito a sospetti. Ma penso che pure lei e la sua famiglia siano rimasti segnati da questa orribile storia.

In base a che cosa lo dice?

Dalle parole dell’allora cameriere del bar, Giuseppe Calì.

La copertina del libro, in uscita il 23 marzo per la Runa editrice

Un’altra novità del suo libro?

Sì. Ci ho parlato e mi ha raccontato che, dopo la scomparsa di Mirella, l’atmosfera nel bar si fece tetra. Il padre di Sonia era terrorizzato, praticamente chiuse i ponti con tutti. Un atteggiamento di massima difensiva che, per quanto deprecabile, era comprensibile e che ha condizionato anche la figlia.

Lei è andato a cercare Sonia?

Sì, ma non l’ho trovata. Ho parlato col figlio minore, che mi ha detto come i genitori, Sonia e soprattutto il marito (l’allora fidanzato), non vogliano più saperne di questa storia, perché ha provocato molto dolore e hanno detto tutto ciò che sapevano agli inquirenti.

Siamo certi di questo? Perché in quel bar, negli ultimi tempi prima della scomparsa, Mirella e Sonia furono viste dalla madre di Mirella parlare a più riprese con un uomo che la donna poi riconobbe in un individuo del personale di vigilanza del Papa, quando il Santo Padre le concesse udienza nella parrocchia di S. Giuseppe al Nomentano (la stessa di Mirella, ndg) il 15 dicembre 1985.

Questo è un altro nodo che gli inquirenti avrebbero dovuto sciogliere, chiedendo all’epoca ai genitori della De Vito di questo benedetto “signore degli aperitivi”, come l’ha ribattezzato lei, Nelli, nei suoi articoli. Non avevano una strada da seguire. Avrebbero dovuto provare a vedere se quel poco di cui disponevano poteva portare da qualche parte di importante.

Lei si è fatto un’idea su chi potesse essere quell’uomo?

Di certo non Raul Bonarelli, il funzionario della vigilanza vaticana accusato soltanto perché abitava nella strada parallela a casa dei Gregori e scagionato dopo il confronto con la mamma di Mirella. Lui però, intercettato al telefono con la moglie, disse una cosa importante…

Quale?

Che quell’uomo poteva essere una delle persone della parrocchia vicine al prete dell’epoca. Però anche qui nessuno gli ha chiesto conto di quelle parole.

Ma non poteva esserci un altro “Alessandro” nella vita di Mirella? Per esempio, proprio nella parrocchia?

Mi sono posto la domanda. Anche perché se Mirella a Porta Pia avesse trovato una persona che non conosceva, se la sarebbe data a gambe. Incontrando una persona che conosce o di cui si fida, il discorso cambia.

Ma Mirella, riconosciuto che il citofonista non si chiamava “Alessandro”, potrebbe aver detto una bugia alla mamma perché voleva tener nascosta la frequentazione con un individuo più grande?

Avevo fatto questa ipotesi, però Maria Antonietta mi ha convinto che Mirella mai sarebbe stata capace di fare una cosa del genere. Ho pensato: “La sorella non può mentirmi su questo”.

Quindi il citofonista, spacciandosi per “Alessandro”, l’avrebbe ingannata?

Sì, Mirella è stata sicuramente ingannata.

Nell’ultimo ventennio questa storia, come altre, è imperversata in tv e sul web. Come valuta l’impatto dei media sull’economia investigativa della vicenda?

Dannoso. Ho letto svariati libri, ma portano avanti teorie impensabili. Il serial killer, la storia del Vaticano, complotti incredibili e fantascientifici. Tutti parlano, ma senza lo straccio di un riscontro.

Che ne pensa della possibile commissione parlamentare di inchiesta?

Che non potrà fare nulla e che accomunare di nuovo Mirella Gregori con Emanuela Orlandi è deleterio.

Nell’epigrafe lei cita George Orwell. Sulla vicenda sono state dette menzogne?

Più che altro, cose forti. L’avvocato Egidio, legale della famiglia al tempo, disse che Mirella forse guadagnava i soldi in modo moralmente non accettabile. Per un’affermazione così, occorrono delle prove, non un’interpretazione a piacimento di una frase detta per scherzare da Mirella alla mamma. Io parlo anche da padre, ci stanno questi dialoghi spiritosi tra genitori e figli, soprattutto adolescenti.

Alla commissione parlamentare preferirebbe una riapertura dell’indagine da parte della magistratura per arrivare alla verità?

Bella domanda. Penso di sì. Questo libro contiene degli spunti che qualche magistrato solerte potrebbe prendere come elemento di partenza per una nuova inchiesta che riguardi soltanto ed esclusivamente Mirella Gregori. Se reiteriamo lo stesso errore (quello dell’accomunare questo caso con quello di Emanuela Orlandi, ndg) non andremo da nessuna parte. Mirella va ricercata nelle situazioni che abbiamo detto: verificare i luoghi che conosceva, la parrocchia soprattutto, risentire Sonia De Vito… Riprendendo in mano gli atti, come ho fatto io, si può ancora fare qualcosa per questa ragazza. Ne sono certo.