logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Il più vasto esperimento farmacologico della storia: il doping di Stato della DDR

Redazione Spazio70

L’accesso agli archivi della DDR fece venire alla luce le dimensioni della sistematica opera di frode sportiva, oltre qualsiasi immaginazione

di Gianluca Falanga*

Festival della ginnastica e dello sport della DDR al Zentralstadion di Lipsia (1987).

Premessa: il doping nello sport professionistico non è stato inventato nella DDR, i tedeschi orientali non furono i primi né i soli a ricorrervi e il doping non ha cessato di esistere con il collasso dello Stato socialista tedesco e la fine della Guerra fredda. Detto questo, il caso della DDR fu peculiare, per metodo, dimensioni e qualità criminale di un fenomeno risultante da precisi presupposti ideologici e interessi politici. Nelle società socialiste ispirate al modello sovietico si attribuiva allo sport un significato particolare. Nella tradizione del movimento sportivo proletario la cosiddetta “cultura fisica” serviva a combattere la “degenerazione fisica causata dal capitalismo” nonché a promuovere valori preziosi alla lotta di classe come la consapevolezza delle proprie forze e capacità e la disposizione al sacrificio per il collettivo. Nel secondo dopoguerra si aggiunsero nuovi motivi per la strumentalizzazione politica dello sport: l’entusiasmo per le prestazioni sportive di atleti di successo aumentava l’identificazione delle popolazioni con lo Stato e i regimi satelliti dell’Urss, al contempo, nel contesto della competizione fra i blocchi della Guerra fredda e le relative ideologie di riferimento, lo sport si prestava come surrogato della guerra e i trionfi sportivi come dimostrazione della superiorità del sistema socialista su quello capitalista. Sport is war minus the shooting, diceva George Orwell.

«UNO STRAORDINARIO MIRACOLO SPORTIVO»

Bambini alle Spartachiadi (1989): un capillare ed efficientissimo sistema di scouting esteso a tutto il territorio nazionale passava al setaccio ogni bambino negli asili e nelle scuole per assicurare al paese i talenti necessari per le diverse discipline olimpiche.

La dirigenza della SED riconobbe molto presto nella partecipazione alle competizioni sportive professionistiche internazionali lo strumento per conquistare rapidamente alla DDR, a suon di vittorie e primati, simpatie, prestigio e riconoscimento internazionale, consolidando il regime tanto sul fronte del consenso interno quanto su quello delle relazioni estere. Se in altri campi si arrancava, sulle piste di atletica o nelle gare di nuoto si poteva non solo competere, ma anche prevalere, gli atleti potevano dare un contributo fondamentale alla lotta per l’integrazione dello Stato socialista nella grande famiglia delle nazioni, il mondo intero avrebbe applaudito i cosiddetti “ambasciatori in tuta blu” sul podio dei vincitori, associato la bandiera e le note dell’inno nazionale alle loro impressionanti prestazioni e ai loro record. A giudicare dall’entusiasmo che suscita ancora oggi il mito dei campioni della DDR, impresso nella memoria degli appassionati sportivi, i risultati sono stati ragguardevoli. Il bilancio delle vittorie ha i numeri di uno straordinario miracolo sportivo: 755 medaglie olimpiche, 768 titoli mondiali e 747 europei. Ma a che prezzo furono raggiunti quei trionfi? Già i contemporanei se lo domandavano, sospettando che non potesse essere tutto soltanto merito dell’eccezionale sistema di selezione e promozione dei talenti, dei metodi di allenamento all’avanguardia, degli investimenti importanti dello Stato e della cura particolare per gli atleti e le loro motivazioni, che andavano oltre la sola passione sportiva, come voleva fare credere la propaganda del regime.

Locali ipobarici per la simulazione dell’allenamento in altitudine nel bunker sotto il centro di training della federazione sportiva nazionale DTSB a Kiensbaum. Realizzata nel 1977-79, la struttura era coperta dal segreto di Stato. Oggi è un museo. Foto: Stefanie Loos

La realtà dei fatti svelata dopo il 1989 racconta un’altra storia. L’accesso agli archivi della DDR fece venire alla luce le dimensioni della sistematica opera di frode sportiva, oltre qualsiasi immaginazione, la favola del miracolo crollò come un castello di carte, scoprendo dettagli raccapriccianti di quella che si rivelò subito essere stata una colossale impresa criminale, «il più vasto esperimento farmacologico della storia», come lo ha definito Ines Geipel, ex velocista della nazionale tedesco-orientale, oggi scrittrice e icona dell’associazione di assistenza alle vittime del doping: «Migliaia di bambini, adolescenti, teenager, l’elite sportiva di un paese, i migliori talenti, furono oggetto di ricerche chimiche, virilizzati ed espropriati dei loro corpi e delle loro anime.» Chi ne portava la responsabilità si precipitò immediatamente, alla caduta del Muro, a sopprimere la scomoda documentazione, ma le dimensioni della cospirazione sportiva per fini politici erano tali e i programmi tanto estesi e articolati da non consentire una completa eliminazione delle prove in tempi brevi. Nella fretta, per esempio, si dimenticarono degli studi segretati dei ricercatori dell’Istituto di ricerca per la cultura fisica e lo sport di Lipsia, ritrovate nel dicembre 1990 nei forzieri dell’Accademia di medicina militare dell’esercito a Bad Saarow, in Brandeburgo, dall’ex olimpionica tedesco-orientale Brigitte Berendonk insieme al marito, il biologo Werner Franke. Alle loro prime pubblicazioni si aggiunsero le approfondite indagini dello storico dello sport Giselher Spitzer negli archivi della Stasi, che permisero di ricostruire, in tutti i suoi passaggi cruciali, la storia del doping di Stato nella Germania orientale.

Pratiche di doping per migliorare le prestazioni sportive, ricorrendo prima ad anfetamine, poi dal 1964 ad anabolizzanti, erano già diffuse nella DDR degli anni sessanta. L’introduzione di più efficaci controlli antidoping nelle competizioni internazionali all’inizio degli anni settanta fece temere ai dirigenti sportivi tedesco-orientali che la reputazione positiva del movimento sportivo professionistico della DDR, acquisita con gli strepitosi successi conseguiti alle Olimpiadi del 1968 e del 1972, potesse essere danneggiata dalla scoperta di atleti dopati. Fu insomma il timore di una perdita di controllo da parte dello Stato a fronte di una sempre maggiore diffusione delle pratiche di doping nel sistema sportivo nazionale a motivare la decisione della Sed del giugno 1974 di ordinare lo sviluppo di un piano segreto per sottoporre al severo controllo dell’autorità centrale l’intera filiera del doping, dalla ricerca scientifica all’utilizzo sistematico di sostanze dopanti, eufemisticamente definite “risorse di supporto” (unterstützende Mittel, breve UM). Il cosiddetto Staatsplanthema 14.25, stilato e approvato nell’ottobre 1974, era una specie di Progetto Manhattan dello sport. Fu predisposta un’organizzazione piramidale, al cui vertice c’erano il funzionario del SED Manfred Ewald, che presiedeva sia la federazione nazionale DTSB sia il Comitato olimpico della DDR, il vicedirettore del Servizio di medicina sportiva Manfred Höppner e il vicedirettore dell’Istituto di ricerca sportiva di Lipsia Alfred Lehnert. I tre fissavano le linee guida e le strategie di impiego delle “risorse di supporto” per cicli quadriennali. Mentre Lehnert coordinava la ricerca scientifica, Höppner seguiva i controlli prima delle competizioni all’estero e faceva pervenire i preparati scelti a medici e funzionari della federazione, i quali a loro volta li consegnavano ai centri di consulenza medica sportiva insieme agli elenchi coi nominativi degli atleti e precise istruzioni per il dosaggio. In fondo alla catena c’erano i medici delle sezioni sportive sul territorio e gli allenatori, che distribuivano personalmente le pastiglie agli atleti (per esempio steroidi anabolizzanti come l’Oral Turinabol, prodotto dell’azienda farmaceutica di Stato Jenapharm), monitorandone l’efficacia. Il sistema era concepito in maniera tale che gli atleti venissero sistematicamente dopati senza averne piena consapevolezza. Le famigerate UM o “pillole blu” erano spacciate per vitamine o sostanze di sostegno alla rigenerazione muscolare.

«LA FABBRICAZIONE DI UN ATLETA PERFETTO E INVINCIBILE»

Le pillole blu: deidroclorometiltestosterone, steroide anabolizzante sviluppato dalla VEB Jenapharm negli anni sessanta, fu somministrato su larga scala, specialmente nelle discipline del lancio del peso e del disco, nel nuoto e nella corsa.

Il segreto assoluto a tutti i livelli era garantito dalla Stasi, alla quale il partito aveva affidato la supervisione dello Staatsplanthema o “Piano Vittoria”, per verificare che tutto procedesse secondo le aspettative e i dettami dell’autorità politica. La struttura riservata preposta ad assicurare la segretezza era la terza sezione della Divisione XX (HA XX/3), che si occupava, fra le altre cose, di tenere sotto stretta osservazione gli atleti diffidenti o inaffidabili, di neutralizzarne il potenziale negativo con mirati interventi operativi coperti, di prevenire la fuga in Occidente di atleti famosi o a conoscenza di informazioni riservate, del monitoraggio degli atleti durante i soggiorni all’estero e del controspionaggio in ambito sportivo. Come in altri settori della società, anche in quello della “produzione” a tutti i costi di successi sportivi nulla poteva essere lasciato al caso. Nel corso degli anni settanta la percentuale di olimpionici che spiavano i compagni operando come informatori della Stasi passò dal 10% del 1972 al 20% del 1980. Negli anni ottanta la sezione HA XX/3 poteva contare su una rete informativa di circa 3000 atleti professionisti e allenatori.

Nonostante gli elevati costi umani di questa politica fossero ben noti ai responsabili (dei circa 15.000 atleti coinvolti, in larga parte minorenni, almeno un 20% riportava danni fisici e psichici permanenti), il sistema criminale non venne ridimensionato, al contrario fu ampliato e ulteriormente radicalizzato. Per raggiungere l’obiettivo del primo posto nel medagliere alle Olimpiadi in programma a Los Angeles nel 1984, vale a dire battere gli Usa in casa loro, si lavorò alla “fabbricazione” di un atleta perfetto e invincibile ricorrendo ad un’arma miracolosa da sviluppare nell’ambito della nuova frontiera del doping: l’utilizzo degli ormoni della crescita, il doping del sangue, il transfer genetico, l’eritropoietina, la combinazione personalizzata di sostanze dopanti e psicofarmaci. Le vittime di questa follia, fra l’altro piuttosto gravosa per le casse della DDR nell’ultimo decennio della sua esistenza, furono assegnati a una serie di gruppi di ricerca e sottoposti come cavie umane ad esperimenti. Lo testimoniano documenti della Stasi degli anni ottanta, in particolare i verbali dei colloqui riservati fra Höppner alias IM “Technik” e il suo gestore, files scampati alla distruzione quasi completa dei fascicoli riguardanti la lunga e intensa collaborazione confidenziale di Höppner con la Stasi.

Heidi Krieger, negli anni ottanta pesista e discobolo della nazionale tedesco-orientale. Documenti attestano che nel 1986, quando vinse l’oro agli Europei di atletica leggera, le furono somministrati in pochi mesi 2590 milligrammi di steroidi. Nel 1997 ha cambiato sesso e assunto il nome Andreas.

Nel dicembre 1983 partì all’Istituto di medicina sportiva di Kreisha, vicino Dresda, la sperimentazione della somatropina su sciisti (in vista dei Giochi invernali di Sarajevo), nuotatrici e ginnaste. L’ormone veniva estratto dall’ipofisi di cadaveri umani, con rischio elevatissimo, per chi si sottoponeva alla terapia, di contrarre il virus dell’AIDS, l’epatite o la malattia di Creutzfeldt-Jakob. Altri effetti collaterali molto gravi erano alterazioni degli organi interni e della fisionomia, tumori e danni al muscolo cardiaco. Ciò nonostante, nel 1988, fu deciso l’impiego estensivo degli ormoni della crescita su scala nazionale. Inoltre, fra la primavera del 1984 e il 1986 fu intensificata la collaborazione con i sovietici nel campo delle tecniche di manipolazione genetica e trasfusione, col coinvolgimento di almeno un centinaio di atleti. Al contempo, però, il sistema cominciava a dare segnali di erosione: circa il 20% dei medici sportivi abbandonò il mestiere e anche fra gli atleti erano in aumento i casi di resistenza contro la somministrazione dei preparati e gli esperimenti. Relazioni della Stasi documentano anche preoccupanti tendenze ad aggirare il controllo statale centrale, insomma il piano del 1974 andava lentamente disintegrandosi: sezioni periferiche del partito e società sportive di Stato, affamate di vittorie e con l’intento di primeggiare nella competizione interna, mettevano in piedi interi sottoprogrammi decentrati di doping fuori controllo, allenatori e atleti importavano illegalmente sostanze dopanti e droghe dall’Occidente per arricchimento personale.

La resa dei conti giudiziaria dopo il crollo del regime nel 1989 non fu morbida come in altri settori. Il ciclo di processi penali che ebbero luogo fra il 1998 e il 2000 vide tutti i principali attori dello Staatsplanthema 14.25 condannati a pene detentive o pecuniarie per lesioni, aggravate dalla giovane età di moltissime vittime. I ricorsi intentati da Ewald e dal dottor Pansold, medico ufficiale della Dynamo (oggi ancora attivo per RedBull in Austria), portarono alla storica sentenza della Corte costituzionale tedesca del febbraio 2000, che, oltre a confermare le condanne, decretò che il doping di Stato della DDR era da equipararsi ad un’organizzazione criminale. I processi contribuirono a consolidare conoscenze e sensibilità dell’opinione pubblica per questo tema, il governo federale tedesco aggiornò le disposizioni di legge in materia di doping inasprendo le pene previste fino a 10 anni di carcere, il parlamento approvò nel 2002 la prima legge di assistenza per le vittime del doping nella DDR, predisponendo un fondo di oltre 2 milioni di euro che risarcì 194 ex atleti. Seguì nel 2015 un secondo stanziamento di 10 milioni e mezzo di euro destinati a un migliaio di danneggiati. Molti di più sono però quelli che vivono la loro sofferenza fisica e psichica nel loro privato, senza uscire allo scoperto o senza attribuirla direttamente alla passata carriera sportiva. Anche se si è riusciti a infrangere il silenzio omertoso dei primi tempi, vi è ancora in molti vergogna e sfiducia, paura di venire giudicati complici di quel sistema. E a patire le conseguenze di lungo termine del doping sono anche i figli degli atleti dopati. La questione insomma è lungi dal potersi considerare chiusa. La pesante ipoteca del miracolo sportivo della DDR continua a pesare sulle generazioni.

* Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito poche settimane fa per Laterza.