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«Mi ha chiesto dei compagni delle BR». Parla l’ultimo visitatore di Ulrike Meinhof

Redazione Spazio70

Dalla rivista Re Nudo n°43 (luglio 1976)

L’avvocato Giovanni (Nanni) Cappelli lo conoscete non solo per le sue collaborazioni al nostro giornale, ma anche perché ha difeso tanti compagni nei suoi 5 anni di vita professionale. Nanni è stata l’ultima persona esterna al carcere a parlare con Ulrike Meinhof, la compagna della RAF (Rote Armee Fraktion) uccisa dal regime socialdemocratico tedesco la mattina del 9 maggio scorso. Le ha parlato per un’ora venerdì 7 maggio, di fronte a un agente dell’ufficio politico, a un funzionario del carcere e a un interprete ufficiale, nella stanzetta accanto alla sua cella al 7° piano del carcere di Stemmhein vicino a Stoccarda.

«UN’INTIMIDAZIONE ALL’USCITA DAL CARCERE»

Nanni: A Stemmhein i primi sei piani sono per i “comuni”, il settimo è tutto per loro quattro, i compagni della RAF; adesso sono rimasti in tre. Ti fanno tutte le perquisizioni (compreso svitarti la stilografica) di sotto, poi prendi l’ascensore, vai al settimo piano e ti fanno la perquisizione speciale.

Re Nudo: Come hai fatto ad arrivarci?

Nanni: con un cavillo legale: dovevo studiare la possibilità di una difesa internazionale al tribunale europeo dì Strasburgo, figurati!

Re Nudo: hai avuto grane?

Nanni: un’intimidazione sì: all’uscita del carcere dopo 10 chilometri la macchina dove viaggiavo coi compagni tedeschi, è stata fermata dalla polizia: mani in alto, tutti schiacciati contro la macchina, perquisizione, sei uomini col mitra dietro di noi. «Muoviti piano per cercare il passaporto — mi ha detto un compagno — perché sparano subito; mentre cercavo nella borsa ho sentito la punta del mitra sul fegato. Alla fine hanno detto: «Normale controllo stradale, andate pure».

Re Nudo: quale era l’impressione fisica, immediata, che ti ha dato Ulrike?

Nanni: una bella donna stanca, degli occhi profondi e attenti, il battito delle ciglia era frequente e denunciava lo sforzo di concentrazione, la fatica di parlare; non era sciatta, era pettinata, in pantaloni e maglietta, in ordine; non c’era niente che tradisse un «lasciarsi andare» nella sua persona. Non c’era certo, mentre le parlavo, la consapevolezza di voler morire; mi ha persino detto, a un certo punto: «Se hai intenzione di pubblicare qualcosa sul nostro colloquio, mandamela prima da visitare».

Re Nudo: di che cosa avete parlato?

Nanni: mi ha chiesto dei compagni delle BR, di qual è la loro situazione e poi mi ha chiesto della situazione politica italiana. A un certo punto mi ha interrotto: «Prevedete la possibilità dì un intervento della NATO nel vostro paese?» E siccome io avevo l’aria sorpresa mi ha parlato della possibilità di un intervento tedesco in Italia, cosa che secondo lei non è un’ipotesi affatto fantastica. In sostanza — mi ha detto — dopo la sconfitta degli Americani in Vietnam gli USA non possono più assolvere al ruolo di gendarme del mondo da soli; lo continueranno a fare per l’America Latina, ma delegheranno il campo europeo e terzomondista alla Germania.

Re Nudo: era una visione a lunga scadenza, questa, però…

Nanni: sì, certo, ma io, in tutto il colloquio, ho avuto l’impressione che Ulrike parlasse mirando a lunga scadenza, cercava di guardare lontano, il futuro prossimo non sembrava nel suo campo visivo.

Re Nudo: perché proprio la Germania, te l’ha detto?

«LA SUA VITA COME SACRIFICIO»

Nanni: Sì, diceva che in Germania si vive una situazione di «postfascismo», così l’ha definito, una situazione cioè in cui non c’è mai stato un reale rinnovamento rispetto il nazismo, né nella burocrazia, né nell’esercito, né nelle professioni, nei quadri dirigenti, né nella stampa, sempre in mano al padronato, né soprattutto nel movimento operaio che non sì è mai seriamente riorganizzato dal ‘34. In questa situazione è normale

che gli americani si fidino dei tedeschi e gli affidino questo ruolo repressivo a livello internazionale, quando non bastano le sanzioni economiche come in Portogallo e (fino ad adesso) in Italia.

Re Nudo: come vedeva lei i compiti di un’organizzazione rivoluzionaria nella situazione tedesca? Quali erano insomma le indicazioni che secondo te dava ai suoi compagni.

Nanni: non vedeva nessuna prospettiva rivoluzionaria per la Germania e i compiti che attribuiva al movimento, sia dentro che fuori dalla prigione, erano compiti internazionalistici, di denuncia della natura dello Stato tedesco e del suo ruolo internazionale; lei dava molta importanza infatti a che si parlasse della Germania da noi, e di come se ne parlasse e se questo ruolo repressivo internazionale stava diventando chiaro a noi, o no, e come era visto il movimento tedesco qui.

Re Nudo: Ma in questo quadro che fai che visione aveva lei della sua vita?

Nanni: La sua vita come sacrificio, però con compiti politici, di denuncia; infatti cercavano sempre di fare casino all’interno del carcere, al processo, ogni volta che potevano. Certo era una prospettiva infernale per la loro vita; io uscendo mi ricordo di avere pensato «Ma come fanno a resistere?».

Re Nudo: Che l’abbiano fatta fuori è cosa certa, perché non mi sembra importante sapere se la corda gliel’hanno messa loro intorno al collo o no, quando tu tieni in isolamento sensoriale una persona per anni; ora noi ci chiediamo perché il regime tedesco vuole eliminare fisicamente i detenuti politici.

Nanni: secondo me in tutti i paesi a capitalismo avanzato c’è la progressiva tendenza alla distruzione fisica dei detenuti politici. In Germania il fenomeno è solo più avanti: ne hanno già fatti fuori 5: due sono morti per tumore alla gola che è uno dei più facilmente diagnosticabili e curabili, uno dissanguato per le ferite che non gli hanno curato, uno di sciopero della fame alla fine del quale non gli hanno neanche fatto una fleboclisi, e adesso Ulrike. Però anche in Svizzera: Petra Krause imputata sempre senza processo per i NAP è in carcere da due anni in isolamento totale e le è venuta una forma tumorale agli occhi, ciononostante non ha diritto al medico di fiducia e neanche quello di vedere i suoi esami clinici. In Italia Mario Rossi è stato due mesi di fila in isolamento in una cella sotto il livello del mare e nello stesso periodo hanno fatto un agguato a sua sorella; intanto all’Asinara, l’isola di fronte alla Sardegna dove già esiste una colonia penale, stanno facendo nuovi reparti speciali per i politici…

Re Nudo: ma che bisogno hanno, perché secondo te l’eliminazione fisica dei «politici»?

Nanni: un regime a capitalismo avanzato, socialdemocratico, non può tollerare una opposizione extraistituzionale, quindi in un primo tempo tenta di criminalizzarla, cercando di stringere i compagni nei ranghi dei «comuni»…

Re Nudo: cioè un rovesciamento del vecchio nostro slogan «siamo tutti detenuti politici» in «siamo tutti detenuti comuni»?

Nanni: esattamente, ma quando i compagni resistono al processo di criminalizzazione che si fa su di loro e insistono a considerarsi politici e prigionieri di guerra, allora si rende necessaria la loro eliminazione, cioè di loro non si deve più sentir parlare e, se non è possibile, devono morire. Ci sono molti modi per uccidere la gente anche senza sparargli addosso… Del resto questo meccanismo coinvolge anche gli avvocati difensori; in Germania ormai li considerano apertamente i mandanti dei gruppi armati, ma vedi che cominciano anche in Italia, per esempio con la perquisizione a Torino dei difensori dei brigatisti. Cioè: quando come avvocato non stai al gioco di considerare dei criminali comuni i compagni imputati, allora diventi subito un potenziale complice e vieni additato all’opinione pubblica come quello che li difende perché è uno di loro e quindi diventi anche tu un criminale.

Re Nudo: Sei tornato in Germania dopo l’omicidio della Meinhof?

Nanni: sì, la domenica stessa; sono andato alla riunione dei difensori e ho avuto la sensazione precisa che non si aspettino niente dall’interno della Germania, ma solo un movimento di solidarietà e di crescita politica internazionale. Poi sono andato alla sera ad una assemblea a Francoforte su «l’attentato alla difesa politica», roba che a Milano ci sarebbero 150 persone, lì 8.000; e da tutti quanti veniva fuori come unica proposta politica la lotta clandestina. lo ho fatto un intervento dicendo che, d’accordo, guai al mito della legalità, però anche guai al mito dell’illegalità, perché sono tanti i fronti sui quali battersi e perché a quanto pare l’autoisolamento non paga, Solo Cohn-Bendit era d’accordo con me perché aveva vissuto l’esperienza francese e quella italiana oltre quella tedesca, dove manca, e mi sembra importante, quella solida base che è un’opinione democratica e un movimento operaio non asservito al regime.